Incontro con Biondillo, architetto e scrittore che svela percorsi urbani

Conferenze a Ravenna (il 3 marzo) e a Faenza (il 4) dell’esperto milanese di psicogeografia e narrazione del territorio

Gianni Biondillo Architetto Scrittore

Gianni Biondillo (credits Yuma Martellanz)

L’Ordine provinciale degli Architetti organizza un’occasione di confronto, aperta a tutti, con il milanese Gianni Biondillo, architetto a sua volta. Noto al pubblico soprattutto come scrittore dei romanzi polizieschi che hanno come protagonista il commissario Ferraro, Biondillo è tuttavia anche autore di saggi legati al territorio (con la sua città Milano, in testa). E soprattutto di questi “paesaggi” parlerà il 3 marzo alle 17, alla Biblioteca Classense di Ravenna nell’incontro intitolato “Heidegger aveva torto. Narrazioni tossiche e bipedismo”, e sabato 4 alle 10, al Museo di Scienze Naturali di Faenza in una conferenza dedicata a  “Sentieri Metropolitani. Topografare la città a piedi”.

Di seguito una breve intervista all’autore sui temi dell’architettura e della dimensione urbana
Cosa ne pensa del ruolo sociale dell’architettura oggi?
«In un certo senso, 15-20 anni fa, ci ha fregato il mito dell’archistar. Prima che nascesse la moda di questi strani personaggi calati dall’alto che diventavano molto trendy, in tv e sulle riviste, il ruolo dell’architetto era quasi oscuro: ma l’architetto sapeva cosa faceva, un’attività importantissima, modificare la realtà costruendo case ed edifici, e con una responsabilità. Poi l’abbiamo trasformato: oggi è una sorta di parrucchiere, che fa la sfumatura alta o bassa, ma i giochi veri li fanno i grandi capitali, la politica, ecc. e gli architetti servono soltanto per tagliare il vestito. E la categoria ha accettato questo ruolo: mentre dovremmo tornare a ricordarci che siamo innanzitutto cittadini, come un panettiere, un idraulico o un avvocato. Dobbiamo tornare a sentirci parte di una grande comunità: certe narrazioni tossiche ci stanno facendo credere che per essere architetti bisogna farlo strano, progettare torri sbilenche, quando invece dovremmo capire che c’è poco da costruire, ma molto da lavorare sul costruito. Un tema che coinvolge la produzione di CO2, i cambiamenti climatici e via dicendo. Nel corso del Novecento abbiamo costruito milioni di metri cubi che oggi sono abbandonati: cosa ne facciamo? È un tema che deve coinvolgere tutti i cittadini. Quel che fa l’architetto deve interessare tutti. Perché possiamo vivere senza libri, e lo dico da scrittore, ma non senza case…».
Lei ha insegnato a lungo psicogeografia all’università. Cosa significa?
«È una visione nuova e molto stimolante che dovrebbe diventare patrimonio condiviso, superando le banali disquisizioni delle trattazioni sul paesaggio cui siamo abituati. Nelle mie lezioni si parla di antropologia, sociologia, musica, poesia… La complessità del mondo va vista sotto molti sguardi, ma il filo conduttore è che dobbiamo attraversare il territorio a piedi. Non c’è alternativa. Cambiare la narrazione del Novecento sull’automobile, sull’aeroplano, che ci ha reso sempre più solipsisti: occorre raccontare una nuova idea di mobilità, di lettura del territorio, anche attraverso esperimenti collettivi. Io faccio da anni, in molte città, questa camminate collettive: oggi del resto ce ne sono in mezza Europa. Ho scritto un libro sulle tangenziali di Milano fatte a piedi: tutto un territorio che non viene mai raccontato da nessuno, ma c’è… Bisogna voltare le spalle al centro storico e vedere quei posti dove non andreste mai».
Intende l’emarginazione periferie?
«Io credo che non ci siano “non luoghi”. Tutto il territorio è interessante: non mi piace definire una “periferia”, altrimenti già la stigmatizzo. Ogni luogo ha sue peculiarità, le sue fragilità, che vanno guardate, interpretate e risolte».
Che differenza c’è fra le due conferenze che terrà a Ravenna e Faenza?
«Le ho divise concettualmente, per fare due discorsi diversi. Sarebbe preferibile seguirle entrambe, una è più teorica e l’altra più applicata. Nella prima, quella di Ravenna, parto dall’uomo primitivo per dire che l’umanità è tale da quando ha scelto di stare su due piedi. In 400 mila anni abbiamo conquistato il mondo camminando, dobbiamo sempre tenerlo presente. Nella seconda, quella di Faenza, farò esempi di come scoprire le città a piedi. Succede a Milano, Marsiglia, Parigi, Colonia: c’è una nuova urbanistica che si fa a piedi, si guarda alla città non dall’alto ma da dentro».

 

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