«Il porto di Ravenna non ha agganciato la ripresa dei traffici»

L’osservatorio di Legacoop sui trend della movimentazione merci nel decennio 2005-15: «Lo scalo è in stagnazione. Serve una strategia»

porto ravennaIl porto di Ravenna resta leader italiano per i volumi movimentati di rinfuse solide ma non è stato capace di agganciare il trend del settore, da sempre core business dello scalo ravennate, che dal 2010 vede una crescita dei traffici nell’Adriatico superiore al Tirreno ma trainata da altri porti come Trieste e Venezia. È la fotografia che emerge da una ricerca dell’ingegnere Salvatore Melluso presentata il 16 dicembre in occasione del convegno Mareterra organizzato da Legacoop Romagna e dedicato al futuro della portualità. L’analista usa la parola stagnazione per etichettare la situazione del porto di Ravenna.
Partendo dai dati del rapporto elaborato dal gruppo di lavoro del ministero delle Infrastrutture, emerge a livello nazionale una crescita delle rinfuse pari all’11 percento nel primo semestre 2016 (per Ravenna il 16). Ma sono i grafici degli andamenti nel decennio 2005-15 a dare la base per le riflessioni di Melluso: Ravenna è passata da 12milioni di tonnellate a 10 dopo l’abisso di 8 nel 2009 mentre Venezia è passata da 6 milioni a quasi 8 riducendo il gap. La differenza di prestazione nello stesso intervallo di tempo è ancora più marcata nel traffico container.

Dieci anni fa i porti dell’alto-medio Adriatico erano tutti nello stesso ordine di grandezza (i quasi 200mila teus di Ravenna stavano a pari con Luka Koper in Slovenia, tra i 300mila di Venezia e i 100mila di Ancona) mentre oggi le distanze sono esplose: 800mila per Luka Koper in Slovenia, 550mila per Venezia, 220mila per Ravenna. Dei cinque porti presi in esame Ravenna è quello con la crescita minore.

La ricerca promossa dalla lega delle cooperative sottolinea che «la focalizzazione sulle rinfuse solide ha consentito una buona risposta alla crisi, grazie soprattutto alla flessibilità produttiva e alla capacità di spaziare su un’ampia varietà merceologica, ma non consente di individuare direttrici prioritarie su cui basare un percorso di sviluppo in grado di riverberarsi sul territorio». La concentrazione delle attività sulle rinfuse, inoltre, fa dire a Legacoop che «non ha senso parlare di logistica retroportuale perché questa si fa solo in banchina e tutto il resto è puro trasporto poco qualificato».

Anche il tanto dibattuto Progettone, ufficialmente noto come progetto Hub Portuale, trova spazio nelle pagine del resoconto illustrato al convegno. Con parole di preoccupazione: «È la messa in discussione di una ipotesi strategica, non sta a noi dire se corretta e condivisibile, in assenza finora di proposte strategiche alternative».

Ed è proprio l’elemento strategico quello su cui fa leva Legacoop: non basta approfondorire i fondali ma serve la visione di una rotta verso cui indirizzare il porto per fare in modo che il tempo necessario alla realizzazione di qualunque nuova infrastruttura, che sia l’escavo o un nuovo terminal container per cui servirebbero 8-10 anni (ma il nuovo presidente ha già escluso che serva), non sia tempo sprecato. E infine guai a pensare che fatti i fondali, risolti i problemi: sono ancora i collegamenti mancanti con la rete di trasporto, stradale e ferroviaria, a strozzare gli sviluppi dei traffici.

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