Delle Selve, sulle colline di Rimini un’eccellenza tutta da scoprire

L’azienda nella frazione Santa Cristina conduce una politica di vinificazioni naturali

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Alberto Volanti in vigna

Nell’ultima propaggine del comune di Rimini prima di quello di Verucchio, in una micro-valle nella seconda linea di colline rispetto al mare da cui si scorgono San Marino e la Val Marecchia, si trova la frazione di Santa Cristina (a 200m sul livello del mare), casa dell’azienda agricola Delle Selve. Qui, in un ambiente che definire rigoglioso e magnifico è alquanto riduttivo, crea i suoi vini Alberto Volanti, 29enne figlio dei proprietari della tenuta, che dopo la laurea in ingegneria di qualche anno fa è stato folgorato dall’universo enoico.

Alberto, qual è la storia di Delle Selve?
«I miei genitori hanno rilevato questo posto nel 2011, era una cantina che aveva chiuso una decina d’anni prima e la loro idea era riqualificare questa parte di valle e mantenere viva l’azienda, in attesa di un eventuale subentro dei figli. Io allora avevo 15-16 anni, la vigna veniva curata ma non c’era la cantina. Arriviamo al 2020: dopo la laurea in ingegneria stavo per fare un master ma è saltato tutto per il Covid, allora ho iniziato a vivere qua, visto che la casa era vuota, e alla fine sono rimasto. Ho re- alizzato la cantina e da qualche anno, insieme a Davide Ciavatti, che lavora con noi dal 2011, stiamo cercando di fare le cose seriamente. La nostra posizione ci isola dal mare, le correnti non arrivano fin qua e per questo l’azienda è un po’ diversa da quelle che si trovano sulla costa, anche per il comportamento delle piante. Mi piace dire che l’influenza del mare si sente nella
terra, non tanto nell’aria, che il mare mitiga e quindi rende molto più calda, non il massimo per le vigne, soprattutto negli ultimi anni. Complessivamente abbiamo cinque ettari di vigna e 1.200 ulivi. Tutto l’impianto risale all’inizio degli anni ‘90, noi non abbiamo tolto né ripiantato nulla, quindi si parla di piante che hanno tra i 25 e i 35 anni, che per la Romagna è una bella età per avere una buona qualità».
Che vitigni hai?
«Nella vigna più alta ci sono innesti di Rebola su Merlot, un po’ di Montepulciano e Sangiovese su tre cloni; in quella più in basso ci sono Cabernet Sauvignon, Syrah, Sangiovese in due cloni, Barbera, Grechetto Gentile, innesti di Grechetto Gentile su Croatina, Trebbiano, un po’ di Garganega e Sauvignon Blanc e tre file di Moscato. Abbiamo anche una piccola vigna nella frazione di San Paolo, più giù, con un terzo di Grechetto gentile e un terzo di Vernaccina riminese, un clone autoctono trovato credo nel dopoguerra che non son riusciti a ricondurre a nulla e a cui han dato un nome apposta. A Rimini la vinifica solo un’altra cantina, è un vino che faccio da un paio d’anni e che sto ancora provando».
Come lavorate in cantina?
«La cantina esiste dal 2020 ed è tutto materiale usato, come si faceva una volta, con vasche di cemento degli anni ‘60 su cui puntiamo tanto, restaurate, che secondo me lavorano meglio dell’acciaio a livello termico (non abbiamo alcun frigorifero), tengono di più i cambi di temperatura. Poi abbiamo anche vetroresina e acciaio, che più che altro ci servono come contenitori temporanei, e che si possono chiudere con qualsiasi volume. Infine le barrique, introdotte qualche anno fa, che utilizziamo prevalentemente per la base spumante, che però quest’anno non abbiamo fatto, e per la Vernaccina. Le fermentazioni sono tutte spontanee, non usiamo alcun tipo di additivo, se non un minimo di solforosa, facciamo solo travasi e non facciamo altre pratiche invasive».
Illustrami un po’ i tuoi vini.
«Siamo una realtà che definirei microscopica e facciamo un sacco di micro-produzioni, soprattutto da uve bianche, anche se sono molto attacato al Sangiovese. Partiamo dal nostro metodo classico (sul quale sto cercando di imparare il più possibile), che si chiama Ugo ed è dedicato a mio nonno: ogni annata è completamente diversa e dal 2022 ho trovato un mio stile, che però uscirà nel 2027. In questo momento sono appena uscito con un blend di Sangiovese, Trebbiano e Grechetto. Poi c’è Aura, che è un rifermentato in bottiglia molto “funky” da Montepulciano e Sangiovese. È un po’ affumicato, molto particolare; poi ecco Bianco, un altro blend con quello che non uso in purezza, quindi ogni anno è diverso, proprio come concezione. Quello che ho adesso è Albana, Trebbiano e un mix di uve da vigna vecchia. È l’unico vino che a volte faccio con uve non mie, prendendole da una vigna a sud di Rimini di cui mi fido. Progetto Matilde è nato l’anno scorso in collaborazione con due amici, ed è Trebbiano e Pagadebit con un po’ di moscato. Erretre è invece un Sauvignon Blanc, particolare perché non c’entra molto con le caratteristiche tipiche del vitigno, essendo molto più orientato alla parte sapida e minerale. Viene dalla punta più bassa della vigna, una zona quasi paludosa, mi piace un sacco come si esprime, al naso evoca il letto del fiume vuoto, i sassi. Purtroppo ne ho poco e riesco a farne solo un migliaio di bottiglie. Poi Unica è la Rebola fatta col nostro stile, quindi
molto fresca e minerale, non è troppo pesante, preferisco piuttosto raccoglierla leggermente in anticipo, perché non voglio fare la Rebola varietale, voglio abbassare la componente zuccherina, che in quest’uva è alta, per avere più acidità. Il Rossopoco è un rosato da Montepulciano e Sangiovese che mi rappresenta molto, perché non amo per niente i rosati da salasso o comunque fatti con uve mature, dunque ho raccolto presto per avere lama acida e sale».
Come rossi, invece?
«Il Frusaglia è il Sangiovese tipico romagnolo, con un bel tannino carico, grande apertura ma comunque struttura, mentre il Frusaglia Spaziotempo è una sorta di riserva (non vado dietro alle denominazioni, non mi interessa): ho isolato un solo clone che mi dà note che mi piacciono e gli faccio fare 8/9 mesi di tonneau usati, mentre dalla nuova versione, la 2023, userò il cemento. Invece “IL” è un Cabernet Sauvignon in cui sono andato a cercare proprio il varietale, quindi acino intero per preservare la parte vegetale e un mese di macerazione per fare una bella estrazione, così si sentono proprio l’erba e il peperone».

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GLI ASSAGGI: Sauvignon Blanc “Erretre” e rosato “Rossopoco”, personalità e coraggio
Molto, molto difficile scegliere i preferiti tra i vini di Delle Selve. Avevo provato in passato il metodo classico, Ugo 1925, uno spumante elegante ed equilibratissimo, e recentemente avevo parlato su queste pagine del Bel Bianco, un uvaggio realizzato in collaborazione con l’osteria Da Oreste di Santarcangelo, suadente e beverino. A questo giro scelgo l’Erretre e il Rossopoco. Il primo è un Rubicone Sauvignon Blanc 2022 di grande personalità e originalità, si potrebbe dire anomalo, per la sua mancanza, al naso, dei tipici sentori del varietale, su tutti la bacca di bosso. Quello che arriva è invece l’inconfondibile odore del sasso bagnato, di un ruscello che scorre nel bosco. Insomma, un’esperienza quasi sinestetica. Coerentemente, questa mineralità la si ritrova in bocca, dove l’Erretre si presenta fresco, perfettamente equilibrato e molto avvolgente. Insomma, un vino che teme davvero pochi confronti.
Rossopoco è invece un Rubicone Rosato 2022 da Montepulciano e Sangiovese. Anche qui siamo di fronte a una bottiglia che sorprende per originalità, un vino verticalissimo e super sapido che, a occhi chiusi, non diresti mai si tratti di un rosato. Il Montepulciano comunque emerge, fin dal colore (un vero e proprio cerasuolo) e dal naso, che ci parla di spezie e tabacco. Un vino lungo, che non cerca smancerie, dall’atteggia- mento punk. Secondo me perfetto con patate e tomino al forno.

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