La Campanara: da canonica a osteria, «valorizziamo le nostre tradizioni»

Roberto Casamenti per il locale di Galeata è stato nominato oste dell’anno da Slow Food. «Cerchiamo di far sentire a casa i nostri ospiti». Tra tortelli alla lastra e capretti allevati allo stato brado

La Campanara Osteria Staff«Essere un oste nel 2023? Secondo me significa soprattutto far sentire a casa l’ospite che viene a provare la tua cucina. L’accoglienza è sempre stato un aspetto fondamentale nella mia filosofia».
Parola dell’oste migliore d’Italia – almeno secondo l’ultima edizione della guida di Slow Food – Roberto Casamenti dell’osteria La Campanara (premiato insieme alla moglie Alessandra Bazzocchi). «In realtà ce ne sono di certo tanti meglio di me, ma devo ammettere che i riconoscimenti fanno piacere, d’altronde lavoriamo per far star bene la gente. E le segnalazioni sulle guide, o della stampa, aiutano anche la nostra attività, in particolare per chi come noi lavora in un piccolissimo borgo isolato e i clienti, nel nostro locale, devono volerci venirci appositamente».

Il piccolo borgo in questione è Pianetto di Galeata, tra Corniolo e Forlì, di dove sono rispettivamente originari Roberto e Alessandra, che hanno aperto la loro osteria nell’ormai lontano 2005, grazie a una delle più classiche storie di “cambio vita”. «Io facevo il geometra, mia moglie era maestra. Ci siamo conosciuti tardi e insieme abbiamo scoperto il mondo del buon cibo, ci piaceva girare l’Italia tra produttori e osterie. Poi, quando per lavoro avrei dovuto vendere al prete la vecchia canonica di Pianetto, in disuso da 50 anni, ci siamo detti: “Perché non la compriamo noi e ci facciamo un’osteria? Male che vada diventerà la nostra casa”. Andò bene, invece…».

La Campanara Galeata

Uno scorcio della Campanara a Pianetto di Galeata

Qual è la vostra filosofia in cucina?
«Proporre un cibo semplice, quello delle tradizioni, ma con prodotti di alta qualità, seguendo la stagionalità, per valorizzare la nostra cultura e la nostra tradizione. Ossia tutto quello che in Italia abbiamo iniziato a distruggere quando sono arrivati i soldi, dal cibo fino alle vecchie abitazioni dei contadini, lasciando crollare case bellissime e sostituendo i nostri piatti con quelli della globalizzazione. Per fortuna in questi anni c’è stata una riscoperta del nostro Appennino, della vita nel borgo e la speranza è che in futuro sempre più persone ci tornino, nei borghi».

Di cosa va più orgoglioso, dal punto di vista gastronomico?
«Innanzitutto di essere visto, da queste parti, come quello che ha scoperto che la semplicità, le nostre tradizioni, possono essere carte vincenti. Un esempio specifico nel nostro caso è il tortello alla lastra, che quando abbiamo iniziato a proporlo era ormai un nostro ambasciatore dimenticato. Da diversi anni, invece, è tornato nelle fiere, nelle sagre di paese e quasi tutti i ristoranti ora lo propongono con orgoglio».

Nel vostro menù c’è anche molta Toscana però…
«La nostra zona è la Romagna Toscana. Fino al 1922 qui c’era il Granducato di Toscana e la contaminazione è inevitabile. Per fortuna però c’è anche tanta Romagna, a partire dalla pasta tirata assolutamente al matterello. Che si affianca a salumi, paté di fegatini, zuppe e ribollita toscane».

Il piatto preferito tra quelli che proponete?
«Cito il capretto con le patate, anche per sottolineare come le nostre carni arrivino da animali allevati allo stato brado, mai da allevamenti intensivi. E questo è possibile anche grazie alla lungimiranza di un sindaco, quello di Santa Sofia, che ha salvato il macello comunale, che è possibile utilizzare da tutti, qui in zona».

Altri prodotti fondamentali per la vostra cucina?
«Puntiamo sulla bovina romagnola allevata secondo i principi di cui parlavamo prima, il raviggiolo di latte crudo, il pane artigianale di Santa Sofia… Solo per le verdure non abbiamo produttori in zona e dobbiamo cercare cose buone un po’ più lontano dal nostro territorio».

Campanara Tortello Lastra

i tipici tortelli sulla lastra

Su Rai Tre siete ormai ospiti fissi di “Geo”, dove lei si diletta anche ai fornelli…
«Sì, ma nella realtà a guidare la cucina è mia moglie, con la brigata dei nostri ragazzi, mentre io mi occupo della sala, degli acquisti, dei rapporti con i fornitori…».

Non abbiamo parlato ancora di vini.
«Puntiamo anche in questo caso sui vini romagnoli, ci piacciono i naturali, di cui abbiamo una buona selezione. Credo poi che tutti insieme, in Romagna, dovremmo sforzarci per portare sempre più in giro l’Albana, l’unico vero vitigno davvero “nostro”, da cui è nato finalmente un grande progetto di vino, secco».

C’è un posto del cuore dove andare a mangiare quando non lavora?
«È facile, nel senso che è già conosciuto: Da Gorini a San Piero in Bagno. Lui è un ragazzo straordinario, rappresenta l’innovazione della tradizione. Quando abbiamo voglia di pesce arriviamo invece fino a Fano dalla signora Maria, che ha 90 anni, senza un congelatore, e ti dà da mangiare quello che vuole lei. Ma meglio non farle troppa pubblicità, che poi magari caccia via la gente…».

Partecipate tutti gli anni a manifestazioni nel Ravennate, non è che state pensando di aprire una Campanara anche qui?
«Abbiamo avuto tante offerte in giro, ma la vita è una sola e vorrei viverla senza troppo stress (sorride, ndr). Quindi no, ci limitiamo a partecipare a eventi, come quelli appunto del “Giovinbacco” a Ravenna e “Sapore di Sale” a Cervia, con la nostra pizza fritta per esempio, ogni volta un trionfo. Abbiamo un bel rapporto con i ravennati, tanti sono nostri clienti, anche perché in molti sono originari della nostra campagna, che si è spopolata nei decenni dopo la guerra, con tante persone per esempio che sono andate a cercare lavoro all’Anic o al porto…».

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