«Mollo tutto per fare il vignaiolo»: Mattia Zannoni, talento e passione

Il 34enne ravennate ha messo in piedi a Bertinoro la Tenuta Quattro Gemme seguendo un richiamo che si era fatto irresistibile. Ora il sogno è divenuto realtà

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Mattia Zannoni

Parlando con Mattia Zannoni, il 34enne vignaiolo ravennate fondatore della neonata Tenuta Quattro Gemme di Bertinoro, mi è venuto subito in mente il libro Walden ovvero Vita nei boschi, capolavoro ottocentesco di Henry David Thoreau sul rapporto dell’uomo con la natura. Il perché lo si può evincere dalle parole dello stesso Mattia, che per l’attrazione verso il mondo del vino ha fatto scelte davvero radicali.

Qual è stato il tuo percorso verso il diventare vignaiolo?
«La passione per il vino è nata da quando avevo 18 anni, per poi crescere con visite, degustazioni, corsi, e alla fine, nel 2019, il richiamo verso il mondo del vino si è unito all’interesse per la natura quando ho preso in mano l’orto di mio nonno, che non era più in grado di gestire. In quel momento lavoravo nel mondo della “qualità saldature” nel settore dell’oil&gas, piattaforme e offshore, ed ero il responsabile qualità in un’azienda di Ravenna, quindi il classico lavoro d’ufficio. L’esperienza dell’orto ha significato conoscere la terra e i suoi prodotti, l’attività mi prendeva tantissimo, si è ampliata. Poi arriva il Covid ad accelerare una situazione che covavo già: toccare con mano il lavoro della terra (adesso molto più frequente per via del lockdown), per quanto faticoso, mi aveva fatto venire dei dubbi su cosa veramente volessi fare “da grande” e queste riflessioni si sono unite alla passione per il vino, e quindi dentro di me ho iniziato a valutare la situazione. E qui entra in gioco la figura fondamentale della mia compagna, Giulia, l’unica che appoggiava i miei dubbi e la scelta che stavo maturando. Insomma, alla fine è arrivata la grande decisione: mi licenzio, vendiamo la nostra casa e partiamo con l’idea di trovare una tenuta e fare vino. Tutti mi dicevano che ero impazzito a lasciare un lavoro fisso e ben remunerato dopo tredici anni, mentre Giulia – che intanto è diventata mamma del nostro Manuel, che ora ha otto mesi – mi appoggiava in tutto e per tutto».
Arriva così la Tenuta Quattro Gemme.
«Sì, la ricerca dura un anno e mezzo. Volevo un posto che mi facesse innamorare. Visto che tutto era partito in modo passionale e irrazionale, anche la scelta del luogo doveva esserlo. Ovviamente non c’erano le possibilità economiche per acquistare una mega azienda già strutturata, e alla fine quello che è arrivato, nel 2021, è davvero un podere basico, che non era nemmeno un’azienda agricola, nella zona marginale di Bertinoro, lato Meldola-Teodorano. Mi sono innamorato appena l’ho visto, a pelle. La vigna era l’unica cosa tenuta bene, perché il proprietario l’aveva sempre data in gestione, tutto è molto isolato, ma per me è un paradiso. Complessivamente sono 26 ettari, undici sono produttivi, e di questi, tre sono di vigna. L’abbiamo chiamato Tenuta Quattro Gemme. Ha un potenziale enorme, credo che le idee da mettere in atto non finiranno mai. Mentre cercavamo il posto giusto, però, ne ho approfittato per fare esperienze nel settore agricolo, per capire cosa mi aspettava. Ho fatto un corso esperienziale in un’azienda vitivinicola in Toscana, poi in una malga in Trentino a lavorare come aiuto-casaro, il tutto perché volevo capire come nascessero gli alimenti che ci arrivano sulla tavola».
Mi dicevi che però nella tenuta c’è ancora qualche problema logistico.
«Purtroppo sì, perché il rudere che c’è all’interno del podere non posso ristrutturarlo né demolirlo e rifarlo, è vincolato per motivi paesaggistici e storico-culturali. Però io volevo lavorare e vivere quel posto tutto il giorno e allora abbiamo preso una roulotte che abbiamo piazzato là, per fortuna c’è l’elettricità. Ho passato un periodo che mi ha fatto capire quanto il mondo della natura sia sì faticoso ma anche bellissimo. Ci sono tanti aspetti difficili, anche burocratici, che non mi aspettavo, poi gli agenti atmosferici, come la grandine, che quest’ano mi ha già fatto danni. Bisogna stare attenti, è un mondo bellissimo, però fa anche un po’ paura. Comunque in collina e in campagna si conoscono persone meravigliose, come i miei vicini di terra, Annamaria e Vanni, che mi aiutano in tutti i modi e che mi hanno accolto come un figlio. E a proposito di figli, mio babbo, dopo diverse perplessità iniziali, si è appassionato tantissimo al progetto e ora mi dà una grande mano in azienda».
Parliamo dei tuoi vini. La ’23 è stata la tua prima vendemmia.
«Esatto, la ‘22 abbiamo scelto di non vinificarla, perché non conoscevo la vigna e ne ho approfittato per fare degli esperimenti: visto che ho tutto Sangiovese, l’idea era di fare tre prodotti completamente diversi pur provenendo dalla stessa vigna. In realtà le vigne sono due, una grande e una piccola, ma il clone è lo stesso. Ho notato che l’uva vicino al bosco, nella vigna grande, era diversa, maturava molto lentamente e aveva uno sviluppo aromatico diverso, quindi ho deciso che
da quella vigna poteva nascere lo Spensierè (un rosato rifermentato, ndr), con una vendemmia molto anticipata al 27 agosto (tutta a mano in piccole cas- sette). Alla fine tutti e tre i miei vini nascono da vendemmie separate, anche se è più costoso e faticoso, perché era l’unicomodo per avere prodotti diversi. Dunque il 10 settembre abbiam fatto la seconda vendemmia, da cui è uscito il Baracòn, dedicato a mio nonno, un Romagna Sangiovese Doc, con l’idea di fare una vinificazione come l’avrebbe fatta mio nonno trent’anni fa, ma con qualche accortezza attuale. Quindi una vinificazione molto naturale, che non fa filtrazioni nè chiarifiche e viene imbottigliato per scelta solo in bottiglie magnum da un litro e mezzo, perché il soprannome di mio nonno, Baracòn appunto, è quello di “uno da baracca”, quindi una magnum un po’ in controtendenza, perché non è un vinone costoso e importante ma perché deve essere sulla tavola di una cena conviviale. La terza vendemmia, infine, è stata fatta il 14 settembre solo nella vigna piccola, che sorge a qualche metro da un piccolo laghetto, al cui centro emerge una roccia di spungone, tipica di questo territorio, che aiuta tanto a smorzare l’argilla. L’acqua mi ha riportato al mare, a cui sono molto legato. Questo vino è un Romagna Sangiovese Doc Mga Bertinoro, ma per ora non posso dir nulla sul nome».

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Tre cantine per tre vini: assaggiamo il Baracòn
Mattia Zannoni non ha per ora una sua cantina ma si appoggia a tre cantine diverse: «Quando ho avuto l’idea dei tre vini ho pensato di vinificarli dove credo che ognuno di questi abbia le caratteristiche e l’esperienza per fare quel preciso vino, quindi una cantina mi fa il rifermentato, una il sangiovese Romagna, un’altra il Bertinoro. La cosa fondamentale è che sono tutti e tre luoghi in cui sono io, con l’aiuto di un amico enologo, a scegliere le procedure (tipo di fermentazione, travasi e tutto il resto), se no non avrebbe senso». A Ravenna i vini di Te- nuta Quattro Gemme si possono trovare da Clarice, Pizza Futura, Farcia, Molinetto, poi Barbè-Cue e Nata&Sonia a Porto Fuori e I Figli del Sole a Cervia. Dei tre vini di Mattia, noi, dopo lo Spensierè (vedi “Sbicchierate” del 13 giugno), abbiamo assaggiato ora il Baracòn, un Romagna Sangiovese doc non chiarificato e non filtrato. Si tratta di un vino di grande schiettezza e onestà, che si porta appresso tutta la convivialità del Sangiovese (Mattia lo definisce “agricolo” e mi trova d’accordo). Il naso non ha bisogno di strolgare granché, è diretto e pulito, leggermente vinoso, con aromi di viola, sottobosco e frutti rossi maturi. La freschezza rende la beva facile, non per niente viene imbottigliato solo in magnum. Ha un bel corpo snello e un tannino educato

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