Le mille declinazioni delle birre Ale e le intriganti particolarità delle Lambic

Alta e spontantanea: quando la fermentazione crea un universo di varietà

Pexels Elevate 1269025Dopo aver parlato di bassa fermentazione nella prima parte di questo speciale sulle birre, tocca ora ai rimanenti due tipi della nostra spumosa bevanda, l’alta fermentazione e la minuscola famiglia delle birre a fermentazione spontanea. Le birre ad alta fermentazione, dette Ale, nonostante si caratterizzino per una complessità sensoriale e gustativa piuttosto ampia, costituiscono più o meno solo il 10% del consumo mondiale. Ma in passato la situazione era completamente diversa: se per arrivare all’esplosione delle Lager (lo stile principe della bassa fermentazione) sarebbe stato necessario attendere fino a poco prima della metà Ottocento, nel corso dei secoli tra il XII e il XIX a fare la parte del leone nel mondo della birra sono state le Ale.
Un tipo che è espressione tipica delle birre britanniche, prodotte con malto d’orzo, cereali non maltati, prevalentemente mais. Sono birre la cui gradazione alcolica va da pochi gradi saccarometrici fino a 15 e più (gradazione alcolica tra i 2 e i 6/7 gradi). Una famiglia che si basa sull’attività di lieviti appartenenti alla specie Saccharomyces Cerevisiae, utilizzata nella produzione del pane come del vino. Le cellule di questi lieviti prediligono temperature tra i 13 e i 23 gradi – maggiori rispetto a quelle preferite dal Pastorianus della bassa fermentazione – e, nell’esercitare il proprio metabolismo, tendono ad aggregarsi in colonie, offrendo con ciò una superficie di spinta all’anidride carbonica in tumultuosa risalita, il che le porta a muoversi verso l’alto e ad addensarsi in corrispondenza della superficie del tino di fermentazione (da cui il nome, top fermentation in inglese; obergärung in tedesco).

Lo pseudonimo assunto dalle birre ad alta fermentazione, Ale, è un termine la cui etimologia rimanda probabilmente alla voce latino alere, ovvero alimentare, nutrire; ma un’ipotesi alternativa preferisce puntare sulla parentela con il celtico alausa. Certo è che dopo l’introduzione del luppolo in Inghilterra dalle Fiandre nel XV secolo, il termine “ale” si riferiva a una bevanda fermentata non luppolata. Dominatrici dunque della scena per larghissima parte del secondo millennio dopo Cristo, le Ale possono essere immaginate come le appartenenti a un albero genealogico che ha avuto a disposizione molto tempo per ramificarsi in numerose direzioni, ciascuna delle quali corrispondente a una specifica tipologia birraria.

A livello organolettico si tratta di birre molto di carattere, grazie alla produzione di esteri, fenoli e altre sostanze che ne vanno ad arricchire il ventaglio aromatico con note, tra le altre, di frutta matura, spezie e fiori. Molte birre ad alta fermentazione sono rifermentate in bottiglia (o in fusto), con il birraio che, al momento del confezionamento, aggiunge mosto, lievito o zucchero per attivare un’ulteriore fermentazione. Questo procedimento permette di allungare la vita della birra e di affinarne il gusto. Comunque, semplificando molto, si può dire che la percezione di note che si potrebbero riportare a sentori di banana, pera, mela, albicocca, pesca (e così via) in prima o piena maturità è una specie di indicatore che induce legittimamente a supporre come la birra in assaggio possa probabilmente rientrare nell’ambito delle Ale. Tuttavia, è sempre meglio non essere troppo rigidi in questa fase di riconoscimento, alla luce del fatto che ci sono alcune questioni da tenere presenti, tipo che alcuni ceppi di lievito ad alta fermentazione sono sostanzialmente neutri, cioè assai blandamente aromatizzanti.

Le nazioni storiche per l’alta fermentazione sono la Gran Bretagna e il Belgio, a cui si sono aggiunti, in tempi molto più recenti, gli Stati Uniti. Tradizionalmente le birre anglo-americane impiegano lieviti poco incisivi a livello aromatico. Al contrario, la cultura brassicola belga è fondata su birre molto caratterizzate dal lievito. Tra le Ale più conosciute e consumate ci sono le Stout, irlandesi, che sono scure e dal gusto molto pieno e amaro, con schiuma densa e persistente, di cui un buon esempio è la spettacolare Guinness, poi le inglesi Porter, anch’esse scure, nate a Londra nel ‘700 e bevute dai lavoratori del porto (a me piace la St. Peter’s Old Style), e nturalmente tutte le birre che riportano nel nome la dicitura Ale, come Apa, Brown Ale, Cream Ale, Wheat Ale, Belgian Ale.
Due parole van dette sulle IPA (India Pale Ale), che vanno molto da qualche tempo, nate in Inghilterra e molto diffuse negli Usa, che sono versione più forte della Pale Ale e che devono il nome al fatto che una volta erano bevute sulle navi in rotta verso l’India. E sono Ale anche le birre d’abbazia belghe, le trappiste belghe e olandesi, le Weizen della Baviera, le Oud Bruin delle Fiandre, le Blanche (belghe, dal sapore fresco e piacevolmente acidulo, presentano un aroma fruttato e floreale) e le splendide Barley Wine.

Per completare il discorso sui diversi tipi di birra esistenti, occorre citare anche la piccola famiglia delle birre a fermentazione spontanea, le mie preferite. Queste si differenziano dalle altre per l’assenza dell’inoculo del lievito da parte del birraio: in altre parole la loro fermentazione non è indotta artificialmente, ma è il frutto della “fecondazione” spontanea dei microrganismi (lieviti e batteri) presenti nell’aria. La regione simbolo di questa arcaica tecnica di produzione è il Pajottenland, situata a sudovest di Bruxelles tra i fiumi Senne e Dendre, dove i lieviti che si trovano nell’aria vengono naturalmente a contatto con il mosto, si moltiplicano e rendono possibile la trasformazione degli zuccheri in alcol. Lo stile per eccellenza è il Lambic, la madre di tutte le birre a fermentazione spontanea, ed è l’unico stile tradizionale appartenente a questa famiglia a essere sopravvissuto nei secoli. Per legge, il frumento non può essere inferiore al 30%, il resto è malto d’orzo. Il luppolo utilizzato è invecchiato all’aria anche fino a tre anni, così da perdere quasi del tutto l’aroma e il potere amaricante, mantenendo invece l’effetto antisettico che contribuisce al non deterioramento di una birra che necessita di un lungo periodo d’invecchiamento. La fermentazione avviene in botti di legno di secondo passaggio, che hanno contenuto vini quali Madeira, Porto oppure Cognac. Il colore va dal paglierino, passa per il dorato più carico, fino alla tonalità che ricorda la buccia di cipolla nelle versioni più invecchiate. All’interno del metodo Lambic c’è poi la Geuze, birra che viene prodotta miscelando Lambic invecchiati con altri più giovani, che abbiano ancora zuccheri residui per permettere che il tutto rifermenti in bottiglia. Una Geuze da urlo è la Boon Mariage Parfait.

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MARIAGE PARFAIT DI BOON, UNA GEUZE DA MANUALE
Scoperta anni fa quando ancora esisteva il Tempio del Benessere (ossia il Barnum), e da allora irrinunciabile, la Mariage Parfait del belga Boon è una birra Geuze clamorosa, dalla sapidità estrema e decisamente acida. Al naso i sentori sono terrosi e acetici, con sfumature muffate, tipici del genere. Ha un bellissimo color biondo torbido, con schiuma eburnea. Avvolgente ed elegante al palato, sono i sentori agrumati a dare il ritmo. Non che conti qualcosa, ma nel 2021 ha vinto la medaglia d’oro nella sua categoria all’European Beer Star.

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Le birre trappiste, solo 12 in tutto il mondo
Si definisce birra trappista (i cistercensi della stretta osservanza, o trappisti, sono un ordine monastico di diritto pontificio nato a metà del ‘600), solo se è stata prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo. Lo scopo economico della produzione è diretto solo al sostentamento dei religiosi e alla beneficenza, non al profitto finanziario. Il mondo della birra trappista vede oggi 12 marchi in tutto il mondo: Achel, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e WestVleteren sono in Belgio. La Trappe e Zundert nei Paesi Bassi, Stift Engelszell in Austria, Spencer negli Stati Uniti, Tynt Meadow in Inghilterra e l’antichissima Tre Fontane in Italia, nel cuore di Roma. In questo momento Tre Fontane produce due birre, la Tripel e la Scala Coeli, quest’utlima davvero buonissima.

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