Lo scalpitante trebbiano, ricco di sorprese e utilità

In Romagna copre quasi un terzo delle superifici coltivate a vitigno con il maggior concentramento in provincia di Ravenna

Trebbiano Di RomagnaChe fine ha fatto il Trebbiano di Romagna? Il Trebbiano è uno dei vitigni più coltivati in Italia, una grande famiglia che non esclude di certo la Romagna che è una degna rappresentante di questa varietà. Ora, non fate gli schizzinosi e non storcete il naso quando si parla del Trebbiano solo perché finisce imbottigliato nei vini da poco prezzo, perché questo vitigno è ricco di sorprese.
Un vino di solito dall’acidità fresca quasi dissetante che rende il vino scalpitante al palato e con un naso leggero, quasi neutro, caratteristica, quest’ultima, perfetta per fare il Brandy.

D’altronde con il Trebbiano alias Ugni blanc, i francesi ci fanno il Cognac e molto altro.
Tornando al nostro Trebbiano c’è da dire che, nel panorama enologico della nostra regione, il Trebbiano romagnolo si posiziona ad un 32% per superficie coltivata in Emilia-Romagna. Inutile dire che il maggiore concentramento lo troviamo in provincia di Ravenna, con circa il 75% della superficie vitata.

Ricordo quando ero un ragazzino e giravo per campagne e aziende romagnole, che del trebbiano me ne parlavano e c’era anche fiducia in questo vitigno da parte di molti produttori. Mi raccontavano di come producesse molto e di come fosse un problema in termini di qualità, anche se dava soddisfazione, mi dicevano, vedere come un grappolo di Trebbiano, più grande rispetto agli altri, riempiva la mano di chi vendemmiava.
Ricordo che c’era chi andava studiando i diversi cloni di Trebbiano, provava macerazioni spinte, tagli con vini provenienti da altre uve per cercare farlo piacere al grande pubblico.
Girando per enoteche e scaffali il Trebbiano romagnolo si trovava ed erano rappresentazioni dell’idea che ogni azienda si faceva su questa varietà.

Poi qualcosa è successo. Forse le mode, la mancanza di soddisfazione dei vignaioli, hanno fatto si che non si parlasse più né di Trebbiano né di quanto fosse incantevole berlo in estate. È diventato un vino da secondo scaffale, quello dei supermercati per intenderci, dove lo trovate celato in ogni tipo di confezione magari con nomi di fantasia.
Più facile trovare chiare diciture “Trebbiano Toscano” o “d’Abruzzo” che Trebbiano romagnolo. Eppure, anche se molti lo ignorano, questa varietà a bacca bianca è un simbolo della nostra Romagna quanto il nervoso Sangiovese e l’inflessibile Albana.
Il Trebbiano romagnolo non è considerato un pregiato frutto dei nostri vigneti ingiustamente visto che ha caratteristiche tali da poter essere vinificato in spumante come in versione secca ferma o per fare il brandy o basi alcoliche per altri distillati.
Insomma, le sue utilità sono così tante che non possiamo ignorarlo e declassarlo come vitigno minore giacché tutti, alla fine, lo sfruttano. Il Trebbiano romagnolo è naturale protagonista della viticoltura della nostra pianura. È resistente alle malattie, fiorisce dove altre varietà periscono e frutta ottime quantità con una gradazione media.

Il quadro olfattivo del Trebbiano romagnolo è piuttosto leggero, tecnicamente è considerato un’uva quasi neutra e per questo perfetta, appunto, per la preparazione di acquaviti e basi alcoliche. Ci sono state sperimentazioni in passato che hanno dimostrato che alcuni cloni di Trebbiano romagnolo, però, hanno un buon quadro olfattivo e armonia di gusto nei limiti del Trebbiano. Tanto è vero che in passato leggevo di una sperimentazione dove un biotipo derivante da un clone specifico di Trebbiano denominato “Cenni” risultò essere di buon profumo fruttato, floreale e armonico di palato perché i parametri di acidità erano piacevoli.
Il Trebbiano Romagnolo fa parte della storia di queste terre ed è un vino semplice e di immediata beva che si presta bene per un aperitivo estivo a base di crudità, che non impegna il naso con ridondanti profumi e facilita il piacere di una beva dissetante. Il vino non è solo corpo, struttura e tanti profumi ma anche semplice gioia di bere. Esattamente come possiamo fare con un bel calice di buon Trebbiano romagnolo.

Aceti, spumanti, Vin Santo e Gin: i mille volti di un vino semplice

Il mosto di Trebbiano romagnolo si usa anche come mosto cotto per fare Aceto Balsamico di Modena Igp e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Dop.

Dal Trebbiano Toscano, altro clone si ottiene uno dei vini passiti più famosi al mondo: il Vin Santo.

Le uve del Trebbiano romagnolo e non solo, diciamo la famiglia dei trebbiani, sono le più utilizzate per le basi spumanti giovani e freschi in Italia e in Europa. Le considerevoli esportazioni verso Germania, Austria e Francia ne sono una prova.

Il Trebbiano “della fiamma” era un nomignolo dato dai nostri anziani al Trebbiano romagnolo per via della colorazione d’orata quasi rosa che il chicco assumeva nei momenti di forte maturazioni nelle estati troppo calde.

C’è chi usa il Trebbiano romagnolo per fare basi alcoliche destinate alla produzione di Gin distillato oggi molto in voga, in sostituzione delle basi di alcoliche ottenute dai cerali.

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