martedì
09 Settembre 2025

Covid, in Emilia-Romagna seconda dose assicurata per tutti i primi vaccinati

Restano sospese le nuove prenotazioni a causa della riduzione dei rifornimenti annunciati da Pfizer

CAMPAGNA VACCINALE PALA DE ANDRE' RAVENNAProsegue la campagna vaccinale in Emilia-Romagna, con i richiami, e cioè la somministrazione della seconda dose, assicurata a tutti coloro a cui è già stata fatta la prima. Si tratta sempre di personale che lavora nella sanità regionale, operatori e degenti delle case di riposo.

La prossima settimana arriveranno in regione 54.990 nuove dosi Pzifer-BioNtech, consegnate direttamente nei punti di raccolta indicati dalle aziende sanitarie: fra aziende ospedaliere e ospedaliere-universitarie, ne arriveranno 3.510 a Piacenza, 5.850 a Parma, 5.850 a Reggio Emilia, 10.530 a Modena, 10.530 a Bologna, 4.680 a Ferrara, 4.680 a Ravenna, 4.680 a Forlì-Cesena (al Centro servizi di Pievesestina), 3.510 a Rimini.

Sono oltre 127mila le somministrazioni eseguite in Emilia-Romagna. Di fronte alle recenti riduzioni decise unilateralmente da Pzifer e in attesa che la fornitura di dosi torni a pieno regime, restano sospese le nuove prenotazioni, proprio per assicurare i richiami a tutti e completare così la profilassi con la seconda inoculazione.

Covid: a Ravenna in un giorno 83 nuovi casi e 213 guarigioni. Altri 4 morti

 

Sono 83 i nuovi casi di positività al coronavirus registrati in 24 ore in provincia di Ravenna SU 1.607 tamponi. Quasi la metà sono asintomatici. Sono altri 4, inoltre, i decessi comunicati dalla Regione, residenti in provincia. Sono state inoltre comunicate circa 213 guarigioni.

IL BOLLETTINO REGIONALE DEL 23 GENNAIO

Dall’inizio dell’epidemia da Coronavirus, in Emilia-Romagna si sono registrati 209.235 casi di positività, 1.310 in più rispetto a ieri (579 asintomatici), su un totale di 24.676 tamponi eseguiti nelle ultime 24 ore. La percentuale dei nuovi positivi sul numero di tamponi fatti da ieri è del 5,3%.

Per quanto riguarda le persone complessivamente guarite, sono 1.756 in più rispetto a ieri e raggiungono quota 149.419.

I casi attivi, cioè i malati effettivi, a oggi sono 50.732 (-479 rispetto a ieri). Di questi, le persone in isolamento a casa, ovvero quelle con sintomi lievi che non richiedono cure ospedaliere o risultano prive di sintomi, sono complessivamente 48.125 (-464), il 94,9 % del totale dei casi attivi.

Purtroppo, si registrano 33 nuovi decessi: 3 a Piacenza (tutte donne: una di 83 anni e due 90enni); 2 in provincia di Parma (entrambe donne, di 72 e 81 anni); 4 a Reggio Emilia (tre donne– di 84, 85, 86 anni – e un uomo di 89 anni); 8 nella provincia di Modena (due donne – di 73 e 92 anni – e 6 uomini, rispettivamente di 59, 61, 74, 77, 83 e 95 anni); 1 in provincia di Bologna (un uomo di 86 anni); 3 nel ferrarese (due donne – rispettivamente di 80 e 89 anni– e un uomo di 81 anni); 4 in provincia di Ravenna (tre donne – di 79, 80, e 93 anni – e un uomo di 67 anni); 5 in provincia di Forlì-Cesena (tre donne di 84, 89 e 90 anni; due uomini di 78 e 79 anni); 3 nel riminese (due donne di 80 e 83 anni, e un uomo di 88 anni).

In totale, dall’inizio dell’epidemia i decessi in regione sono stati 9.084.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 217 (-3 rispetto a ieri), 2.390 quelli negli altri reparti Covid (-12).

Sul territorio, i pazienti ricoverati in terapia intensiva sono così distribuiti: 17 a Piacenza (+1), 15 a Parma (-1), 19 a Reggio Emilia (+1), 42 a Modena (-1), 41 a Bologna (numero invariato rispetto a ieri), 13 a Imola (-1), 26 a Ferrara (-1),12 a Ravenna (invariato), 1 a Forlì (invariato), 5 a Cesena (-1) e 26 a Rimini (invariato).

Questi i casi di positività sul territorio dall’inizio dell’epidemia, che si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi: 17.878 a Piacenza (+82 rispetto a ieri, di cui 49 sintomatici), 14.809 a Parma (+70, di cui 41 sintomatici), 27.893 a Reggio Emilia (+176, di cui 59 sintomatici), 37.183 a Modena (+192, di cui 143 sintomatici), 41.380 a Bologna (+229, di cui 150 sintomatici), 6.579 casi a Imola (+26, di cui 16 sintomatici), 11.894 a Ferrara (+127, di cui 38 sintomatici), 15.948 a Ravenna (+83, di cui 42 sintomatici), 7.715 a Forlì (+64, di cui 46 sintomatici), 8.760 a Cesena (+73, di cui 50 sintomatici) e 19.196 a Rimini (+188, di cui 97 sintomatici)./

Il nuovo Museo Dante aprirà a Ravenna il 25 marzo: in mostra la cassetta delle ossa

Il direttore Tarantino: «Offriremo un’esperienza emozionale al pubblico internazionale»

Cassetta Ossa DanteAprirà i battenti il 25 marzo (il cosiddetto Dantedì) ai chiostri francescani il Museo Dante, come è stato ribattezzato, ossia il nuovo riallestimento del museo dantesco inaugurato originariamente cento anni fa a Ravenna.

Alcuni mesi di ritardo (avrebbe dovuto inaugurare in dicembre) dovuti anche all’emergenza Covid, con i musei che (almeno in zona arancione) continuano a essere chiusi, nell’ambito delle celebrazioni del settimo centenario della morte di Dante.

L’annuncio è del direttore del Mar e della biblioteca Classense, Maurizio Tarantino, in un’intervista pubblicata oggi nella sezione nazionale del Resto del Carlino (e nelle edizioni della Nazione del Giorno).

Tarantino ribadisce come con il nuovo museo l’intenzione sarà quella di offrire al pubblico internazionale un’esperienza emozionale, «con un uso ragionato dell’interattività e della multimedialità».

All’interno, anticipa il direttore, «una presenza significativa di reperti e oggetti di grande suggestione», come la cassetta in cui i frati nascosero le ossa di Dante e l’arca in cui furono esposte nel 1865, dopo il loro ritrovamento fortuito.

Emilia-Romagna prima in Italia per efficienza del sistema sanitario

Secondo la ricerca dell’Istituto Demoskopika. A seguire Trentino e Veneto

Medics

Emilia-Romagna in testa, tra le Regioni italiane, per efficienza del sistema sanitario, seguita da Trentino-Alto Adige e Veneto.

A stabilirlo è l’IPS 2020, l’Indice di Performance Sanitaria, realizzato per il quarto anno consecutivo dall’Istituto Demoskopika sulla base di otto indicatori: soddisfazione per i servizi sanitari, mobilità attiva, mobilità passiva, risultato d’esercizio, disagio economico delle famiglie, spese legali per liti da contenzioso e da sentenze sfavorevoli, democrazia sanitaria e speranza di vita.

Dalla “fotografia” scattata all’interno del panorama italiano emergono sei realtà regionali “sane”, nove “influenzate” e cinque “malate”. A guidare la classifica dell’Indice di Performance Sanitaria 2020 c’è dunque l’Emilia-Romagna, con un punteggio pari a 107,7, poi Trentino-Alto Adige (107,6 punti) e Veneto (105,6).

Tra gli otto indicatori considerati, la mobilità sanitaria.  Per quanto riguarda quella “attiva”, in numeri assoluti l’Emilia-Romagna è al secondo posto tra le regioni che attraggono più pazienti non residenti (109mila ricoveri extraregionali), dopo la Lombardia. E sulla mobilità “passiva”, con il 6,4%, registra uno tra i rapporti minori di ricoveri fuori regione dei residenti sul totale dei ricoveri, collocandosi al terzo posto, con un punteggio di 108,4.

Il ruolo dell’architettura dopo crisi edilizia e Covid ha un’impronta green

Conversazione coi progettisti ravennati Rambelli e Bonini di Nuovostudio su idee e progetti messi in campo in questa fase di cambiamenti epocali

Esterno di una casa a patio (rendering progetto Nuovostudio di Ravenna)
Esterno di una casa a patio (rendering progetto Nuovostudio di Ravenna)

Prima la perdurante crisi dell’edilizia, adesso l’emergenza pandemica, e poi l’avanzare di una nuova sensibilità per la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico che informano nuove leggi urbanistiche e piani territoriali indirizzate ad azzerare il consumo di territorio e incentivare opere di rigenerazione… Insomma, il mondo delle costruzioni, dell’architettura e dell’urbanistica sta vivendo svolte profonde, a volte radicali. Ne parliamo con i progettisti Emilio Rambelli e Gianluca Bonini di Nuovostudio di Ravenna, uno dei più noti studi di architettura della città, che negli ultimi 20 anni ha firmato importanti progetti in campo pubblico e privato, e vanta riconoscimenti e menzioni in diverse pubblicazioni del settore.

Di fronte a questa fase di veloci e drammatici cambiamenti qual è il ruolo dell’architettura oggi e come sta cambiando il mestiere dell’architetto?
«Per certi versi ci troviamo in un periodo interessante, perché finiti gli eccessi della speculazione immobiliare, del costruire quantitativo e spesso indifferenziato, via via si sono aperti nuovi orizzonti qualitativi e più ragionati per la progettazione edilizia e l’urbanistica. Lo diciamo per l’esperienza che come studio stiamo vivendo a livello locale e regionale. Sicuramente sono cambiati i protagonisti: è scomparsa la figura dell’immobiliarista che abbiamo avuto come referente nel primo decennio del Duemila e si sono rarefatte di molto le imprese costruttrici. Però sono rimaste delle aree di espansione in gran parte periferiche dove il ruolo dell’architetto diventa centrale, ben più importante di prima. Quando sul mercato immobiliare si vendeva comunque e di tutto, paradossalmente, un progettista valeva l’altro. Adesso che la legge urbanistica regionale si riserva di lasciare “aperte” solo un paio di anni queste zone per una destinazione e uno sviluppo – pena una ripianificazione – obbliga le attuali proprietà dei terreni a dover creare un mercato che non c’è. In alcuni casi si tratta anche di nuovi attori, diversi dalle vecchie società immobiliari, magari aziende che operano in altri settori economici, e che vedono nelle competenze ed esperienza della progettazione architettonica la capacità di sfruttare queste opportunità».

Ci potete fare qualche nome di queste imprese a cui interessano nuove soluzioni per costruire?
«Possiamo citare come esempi locali la Tozzi Green, il Gruppo Arco, e un gruppo di imprenditori dell’ortofrutta del Ferrarese. In qualche caso, sono imprese che hanno “ereditato” queste aree e che non possono lasciarle decadere, e come committenti si rivolgono al ruolo dell’architetto per definire nuove idee costruttive e strategie urbane capaci di valorizzare le loro proprietà».

Interno di una casa a patio (rendering progetto di Nuovostudio di Ravenna)
Interno di una casa a patio (rendering progetto di Nuovostudio di Ravenna)

Mi sembra di capire che voi siate consulenti di queste imprese e coinvolti nella pianificazione delle aree. Ci raccontate qualcosa delle idee in campo?
«Le esigenze di nuova progettualità di queste imprese, nel contesto sociale, economico, normativo che stiamo vivendo, per noi è una sfida appassionante. Anche perché tutto quello che abbiamo studiato, le esperienze che abbiamo accumulato e una parte del repertorio dell’architettura del Novecento oggi possiamo provare a metterlo a frutto: la città giardino, la casa a patio, la bassa densità… Tutti concetti che prima facevamo fatica a proporre, quando era il capitale a spingere in termini prioritari di finanza e di accumulo di metri cubi. Dopo questa sbornia – che però ha portato a fallimenti e a un gigantesco patrimonio invenduto – una certa sobrietà e cautela ha riportato in auge il ruolo strategico dell’architetto e non solo tecnico. Certo non vuol dire che abbiamo la soluzione vincente, ce l’auguriamo, stiamo elaborando delle idee, se non altro siamo tornati ad esprimere il nostro ruolo».

Avete citato la nuova legge regionale che consente, in una determinata “finestra di tempo” di sviluppare progetti edificatori in aree di solito interstiziali o marginali al tessuto urbano, consentiti dalle precedenti normative. Viste anche le nuove tendenze dell’ecosostenibilità e degli stili di vita, come intendete declinare i concetti architettonici che citavate prima in riferimento al vasto repertorio architettonico e urbanistico?
«Prima di tutto tanto verde, bassa densità costruttiva e modelli di “casa a patio”. Che significa ampliare la funzione e il senso di abitazione. Con l’emergenza Covid abbiamo scoperto che la casa non è solo un dormitorio, uno “spazio d’appoggio” ma può essere anche un luogo di lavoro, di condivisione e ricevimento, dove si trascorre il tempo libero e ci si rilassa. Tutte queste situazioni, in qualche modo inedite, sono legate dai fili conduttori dei bassi indici di edificazione, di diffusi spazi verdi e di abitazioni che si sviluppano intorno, o a fianco, un cortile interno, il patio appunto, solitamente un giardino. Che architettonicamente si collega tanto per citare qualche modello all’antica casa romana ma che arriva fino alla casa “ Zuma” introversa di Tadao Ando. Si tratta di edifici a un piano che si distendono sul terreno, racchiusi da muri che garantiscono una notevole riservatezza, ma all’interno caratterizzati da ampie trasparenze che si aprono sul verde e alla luce. Naturalmente nei progetti queste unità abitative sono integrate come in piccolo quartiere da strutture di servizio, dal market alla biblioteca o alla palestra. Ma il cuore nuovo del progetto resta questo genere di residenza, che è un mondo privato e intimo ma allo stesso tempo collegato all’ambiente esterno. D’altra parte il modulo che abbiamo ideato si presta ad altre destinazioni d’uso, quindi non solo residenziale ma anche B&B, albergo diffuso, ufficio, studio professionale, ambulatorio…».

Quindi questo tipo di struttura permetterebbe quindi la massima flessibilità funzionale…
«Certo, anche perché una rinnovata concezione urbanistica dovrebbe uscire dai vecchi e rigidi schemi della catalogazione e incasellamento. Tanto per citare l’urbanista faentino Ennio Nonni tutto ciò che non è nocivo o non crea fastidio si può accostare e integrare in un tessuto urbano. Questa flessibilità e varietà di funzioni, non solo evita spreco di territorio ma amplia l’offerta commerciale delle costruzioni ben oltre l’utilizzo residenziale».

Il villaggio green di Mezzano (proprietà Tozzi Group, rendering progetto di Nuvostudio di Ravenna)
Il villaggio green di Mezzano (proprietà Tozzi Group, rendering progetto di Nuvostudio di Ravenna)

Passiamo ai progetti veri e propri sul terreno. A quali state lavorando?
«Per primo stiamo lavorando alla variante del progetto della società Tozzi a Mezzano, che è stata un po’ la madre delle nostre idee. Si tratta di un piccolo quartiere green nei pressi della sede dell’impresa, che ha come “illuminati” committenti il presidente Franco Tozzi, il figlio Andrea ed il cugino Fabrizio. Anche la stessa progettazione è un laboratorio innnovativo perchè oltre al nostro Nuovostudio hanno collaborato all’ideazione del villaggio ecosostenibile anche la sociologa Paola Turroni e lo scrittore Fabio Cavallari, contribuendo a elaborare nuove prospettive dell’abitare contemporaneo. Così è gemmato un’orizzonte di idee che abbiamo impostato anche per il gruppo Arco per l’ampliamento dell’area S2 “Agraria”, nei pressi della circonvallazione Nord e vicino al quartiere San Giuseppe. In questo caso siamo consulenti architettonici sulla base di un piano urbanistico preesistente e abbiamo già presentato un masterplan che intreccia tutti temi green e di minimo impatto ambientale di cui abbiamo accennato prima. Anche in questo caso stiamo cercando di creare un’offerta di mercato inedita, prevedendo nuovi bisogni sia in termini di residenziale ma anche di altre funzioni sociali o imprenditoriali. Infine stiamo lavorando in via del tutto riservata a un ulteriore, importante, progetto di questo genere per i lidi Estensi. Si tratta di un piano ancora più ambizioso, anche per la dimensione perché prevede la rinaturalizzazione di una vasta area depressa e abbandonata, con la nascita di un quartiere immerso nel verde, con pochi edifici e un marina, dove si potrebbero intrecciare residenziale e turistico».

Quando parlate di green è evidente che vi riferite non solo a ampie aree a giardino ma anche di consumo energetico…
«Intendiamo edifici “passivi”, a consumo zero, tutti dotati di impianto fotovoltaico, con prese per la ricarica delle auto elettriche, e quant’altro offrano oggi le più avanzate tecnologie per il massimo risparmio energetico».

Nuovo comparto area S2 “Agraria”, zona circonvallazione Nord, quartiere San Giuseppe (rendering vista notturna del progetto Nuovostudio di Ravenna)
Nuovo comparto area S2 “Agraria”, zona circonvallazione Nord, quartiere San Giuseppe (rendering vista notturna del progetto Nuovostudio di Ravenna)

Prima avete confidato che nel vostro mestiere non c’è mai una soluzione scontata o garantita. Quali potrebbero essere gli ostacoli alla realizzazione di questi progetti?
«C’è il rischio di non crederci fino in fondo. Proprio perché i committenti non sono – o lo sono solo parzialmente – del mestiere o connaturati al mercato immobiliare, hanno bisogno di essere stimolati, resi consapevoli, convinti della necessità di imporre sul mercato della casa un nuovo modello. Un po’ come se fosse un’automobile, che ha diverse varianti e rifiniture possibili, ma si consegna gia pronta, come si dice “chiavi in mano”. Il punto è che tentiamo di definire un nuovo stile dell’abitare e per questo è necessaria una certa determinazione. Insomma, è un po’ una scommessa che basandosi su un modello ha importanti aspetti di ordinamento urbanistico, che supera il caos non solo funzionale ma anche estetico delle periferie, ed è anche un tentativo di ridare un po’ di ossigeno ad un settore depresso da tempo, che intreccia un’importante filiera di professioni e specializzazioni artigianali, insomma di lavoro. Bisogna far prevalere i vantaggi più che i timori della sfida sul mercato. In questo senso crediamo che sarà molto importante curare bene la comunicazione e la commercializzazione. In una parola fare del buon marketing».

Modulo abitazione di rigenerazione urbana ex edificio artigianale in Drasena di citta (spaccato progetto Nuovostudio di Ravenna)
Modulo abitazione di rigenerazione urbana ex edificio artigianale in Drasena di citta (spaccato progetto Nuovostudio di Ravenna)

Affrontiamo il tema – peraltro molto sollecitato e incentivato anche sul piano fiscale dalle normative di settore – della riqualificazioe e rigenerazione dell’esistente. Come Nuovostudio siete coinvolti in un piccolo ma significativo progetto di recupero di un’area in disuso in Darsena a Ravenna che prevede la condivisione del rischio e cooperazione di tutti gli attori: dalla proprietà, ai progettisti, dagli artigiani agli immobiliaristi, fino al compratore. Riuscirete a realizzare il progetto? È un metodo che potrebbe essere applicato anche in altri casi?
«A modo suo, quello citato è un esempio in piccolo di quelli più grandi di cui abbiamo parlato. Il committente è la proprietà che si è rivolta a noi perchè ideassimo un modo non convenzionale per valorizzare la sua proprietà . Abbiamo proposto un progetto che è stato presentato al pubblico con un buon successo – visto che di 10 unità residenziali già sette sono state opzionate – e che alla base vede una catena di soggetti intermedi interessati alla rigenerazione che si assumono ognuno per le proprie competenze gli oneri e onori della realizzazione. Anche in questo caso si tratta di una scommessa, una modalità che va a vedere la realtà del mercato. Una modalità che è propedeutica a questa fase di incertezza dove, essendoci ben pochi soggetti in grado di assumersi tutto il rischio, questo viene ripartito fra chi partecipa all’impresa».

Non è che il nostro territorio soffra, anche nel settore delle costruzioni e della progettazione architettonica, di essere una provincia?
«Abbiamo l’impressione che in questo senso qualcosa stia cambiando. Sembra che il Covid abbia un pò rimescolato tutto e che nel campo della progettazione e anche degli investimenti la dimensione provinciale possa recuperare le attenzioni e l’attrazione prima tutte puntate sulle grandi città. E forse sta cambiando anche la propensione di molte persone a vivere in contesti metropolitani frenetici e caotici, preferendo magari proprio dei ritmi di vita più rilassati e convenienti, che per l’appunto si possono trovare in provincia. Anche chi progetta deve tenere conto di queste mutazioni sociali e psicologiche, che in questi tempi sono sempre più frequenti e repentine. Per cui, come ha detto Renzo Piano, “l’architetto non inventa niente, interpreta solo la realtà”».

I finanzieri sequestrano mascherine “taroccate” e petardi pericolosi

Denunciato il titolare del negozio, che non ha voluto fornire indicazioni sui grossisti

FotoI finanzieri hanno sequestrato, in un negozio di Cervia gestito da un cittadino originario del Bangladesh, delle mascherine facciali riproducenti i loghi e i marchi di note case di moda nazionali ed estere e alcuni petardi, altamente pericolosi e sprovvisti delle necessarie autorizzazioni ministeriali.

In particolare, il titolare aveva pensato di attrarre nuova clientela proprio ponendo in vendita mascherine griffate contraffatte recanti i loghi di noti marchi quali Louis Vuitton, Chanel, Gucci, Burberry, Dior, nonché di note squadre di calcio del campionato italiano.

I finanzieri hanno sequestrato, complessivamente, 44 mascherine contraffatte e anche 37 candelotti di colore rosso, dalla lunghezza di circa 12 cm, «probabilmente prodotti all’estero ed illecitamente importati in Italia, risultati sprovvisti delle prescritte autorizzazioni ministeriali e commercializzati, pertanto, illegalmente», si legge nella nota della finanza.

Al termine delle operazioni il titolare del negozio è stato denunciato alla Procura della Repubblica di Ravenna, per i reati di commercio di prodotti con segni falsi, ricettazione e detenzione illegale di materiale esplodente.

Sono in corso gli accertamenti per ricostruire la filiera distributiva dei prodotti sequestrati, visto che il commerciante non ha voluto collaborare con i militari nell’individuazione del grossista di riferimento.

«I metodi di Muccioli erano disumani, ma poi San Patrignano è cambiata»

La direttrice del Sert: «Ho sentito i racconti di chi scappava dalla comunità». Oggi in provincia di Ravenna sono 1.700 le persone seguite

SanPa«La dipendenza dalle droghe rende le persone disumane, ma chi è libero dalle sostanze e si occupa di curare i tossicodipendenti non può essere disumano. Sono fermamente contraria ai metodi che usava San Patrignano».

La dottoressa Deanna Olivoni è la direttrice del Sert in provincia di Ravenna, il servizio del-l’Ausl che si occupa di dipendenze, dagli stupefacenti al gioco d’azzardo passando per l’alcol fino alle più moderne legate al mondo internet e social network.

Olivoni cominciò nell’ambulatorio di Faenza nel 1986, nel pieno degli anni Ottanta segnati da un consumo massiccio di droghe e proprio mentre dal tribunale di Rimini emergevano le storie di giovani incatenati nella comunità fondata da Vincenzo Muccioli. Non serve la visione della docuserie Netflix per il parere della dottoressa sulla struttura di Coriano: «Ho sentito i racconti diretti di chi è passato là dentro. La disintossicazione fatta senza farmaci, le chiusure in luoghi per evitare la fuga, le squadre che andavano a riprendere chi riusciva a scappare».

MetadoneUn caso riguardò una ragazza faentina: la giovane riuscì ad allontanarsi e per non essere rintracciata rimase alcuni mesi nascosta in un appartamento di un amico che faceva l’università a Bologna. «Non ritengo che quello sia il sistema per affrontare le dipendenze. Lo pensavo allora e non ho cambiato idea. Per fortuna nel tempo è cambiata San Patrignano. Oggi non è più quella e lo dimostra l’accreditamento di alcuni posti con il servizio sanitario nazionale. È arrivato solamente poco più di un anno fa ma è la certificazione di un approccio che rispetta certi criteri».

Del resto Olivoni non ha dubbi sull’efficacia del metadone per il trattamento: «Le comunità lo chiamavano la droga di Stato ma non c’è dubbio che sia l’unico farmaco per affrontare la dipendenza da eroina. Non abbiamo un corrispettivo invece per la cocaina. Ci sono tantissimi casi di persone che grazie al metadone hanno avuto una vita normale con matrimoni e figli e in alcuni casi sono arrivati anche a concludere il trattamento».

L’eroina è al primo posto per i casi di di-pendenze seguiti dal Sert ravennate. Un ritorno? «Forse non se n’è mai andata – sintetizza Olivoni –. Massimo piacere e assenza di dolore: è difficile smettere. A seguire c’è l’alcol e poi la cocaina. I cannabinoidi sono molto presenti nella fascia di età 15-19 dove si stima che un giovane su quattro ne faccia uso, ma nel tempo arriva la dismissione con la maturazione di altri interessi». L’eroina di solito entra invece nelle vite nella tarda adolescenza, la cocaina già prima, per lo meno come sperimentazione saltuaria e non costante.

Sul fronte delle nuove dipendenze comportamentali, la dottoressa fa un ragionamento legato ai tempi: «Un benessere più diffuso fa sì che più giovani abbiano meno preoccupazioni concrete e così ci sia più spazio per avvicinarsi all’uso di certe sostanze».

Nell’anno della pandemia si sono ridotti gli accessi agli ambulatori di via Missiroli dove lavorano 24 persone tra medici, infermieri, educatori, assistenti sociali e psicologi. Nel 2019 erano stati 2.187 (1.300 per droghe, 600per alcol, 87 per gioco). Il conteggio comprende dall’intossicato in gravi condizioni inviato dal servizio sanitario fino al genitore che chiede consulto per un figlio. Nel 2020 ci sono state circa 400 persone in meno.

Una spiegazione prova a imbastirla Veronica Ridolfi, educatrice del Sert: «Non siamo potuti andare nelle scuole e nei luoghi del divertimento giovanile e non, e questo ha ridotto le occasioni per raggiungere i giovani. Ma forse anche l’isolamento obbligato dal virus ha ridotto le possibilità di percepire i disagi e le problematiche di parenti e amici. Accompagnare qualcuno a chiedere aiuto al Sert non è facile, ancora meno se bisogna tenersi lontani».

Un aspetto che riguarda i giovanissimi è quello legato a un abuso di psicofarmaci:«Lo vediamo nella fascia 14-16 anni – dice Ridolfi –. Se li procurano in vari modi. Trovano quelli dei genitori in casa, abusano in maniera impropria di quelli prescritti dal medico per disturbi del sonno oppure li acquistano in maniera illegale come qualunque altra sostanza».

Circa 1.700 sono le persone, tra 14 e 85anni di età con la maggioranza 35-55, che attualmente stanno seguendo un percorso di vario tipo con il Sert. Tutti con l’astinenza totale come obiettivo? Non è detto. «Ogni caso va valutato e l’équipe curante ha un ruolo in questo – spiega l’educatrice –. Di solito i primi tre mesi servono per conoscersi e inquadrare la situazione e la richiesta del paziente. Attraverso l’individuazione di obiettivi di cura a breve e medio termine si cerca di condurre la persona al raggiungimento di uno stato di benessere biopsicosociale più soddisfacente possibile.Qualcuno vorrebbe solo ridurre l’abuso e passare a un consumo controllato: per esperienza è difficile che questo accada dopo essere passa-ti da una dipendenza».

I tempi di disintossicazione variano, casi lievi con molta volontà possono farcela in qualche mese «ma sono perle rare». Perlopiù si tratta di una finestra di tempo di uno-tre anni.

Il ravennate che ha giocato nel Manchester: «Che ricordi con Ibra. E piacevo a Mou»

Il 21enne Luca Ercolani è passato al Carpi dopo quasi cinque anni nello United. Il suo racconto

Luca ErcolaniÈ tornato in Italia dopo quasi cinque anni, nell’ambito di una delle operazioni di mercato più surreali degli ultimi tempi, dal Manchester United al Carpi, al termine di un’esperienza che non dimenticherà mai.

Luca Ercolani, 21enne calciatore ravennate, ha appena lasciato uno tra i club più importanti al mondo, che lo aveva clamorosamente acquistato (quando aveva solo 16 anni) dal Forlì, dove era approdato dopo una serie di cambi di casacca nei settori giovanili della Romagna. La sua carriera è partita infatti da bambino nel Classe, per poi continuare nel Ravenna fino al fallimento del 2012, poi al Rimini e a Forlì. Ora è tornato in Emilia-Romagna, al Carpi, in serie C convocato per la sua prima partita tra i“prof” il 17 gennaio, scherzo del destino, proprio contro il Ravenna (battuto 4-2, ma con Ercolani, arrivato da poche ore, rimasto tutto il tempo in panchina, mentre ha debuttato il 20 gennaio contro il Matelica). «È la squadra della mia città e sarò sempre un suo “supporter” – ci dice al telefono Luca, non perdendo l’abitudine di utilizzare espressioni inglesi –, ricordo da bambino che andavo sempre a fare il tifo al Benelli…».

Ma parliamo di Manchester. Com’è riuscito a diventare realtà, un sogno del genere?
«Tutto è nato nel 2015, al termine di una partita del mio Forlì contro il Bologna. Uscendo dagli spogliatoi c’era un osservatore delManchester United a farmi i complimenti e invitarmi a pranzo con la mia famiglia. Poi i pranzi sono continuati, fino a quando l’osservatore non è riuscito ad avere il consenso del Manchester per un provino, nell’agosto del2015».

Non hai avuto paura? Avrebbe voluto dire lasciare la famiglia, l’Italia…
«No, anche perché ho avuto il tempo di prepararmi. Da quel primo contatto al trasferimento vero e proprio è passato quasi un anno, nel corso del quale circolavano voci anche di interessamenti da parte di altre società importanti come Sampdoria o Inter, ma non ho voluto neanche prenderle in considerazione, ero già orientato a fare questa esperienza di vita».

Com’è stato l’impatto?
«Il primo anno e mezzo è stato sinceramente bello tosto. Sono dovuto entrare nei meccanismi del calcio inglese, mettermi “alla pari”fisicamente. Dal punto di vista extra calcistico ho legato molto soprattutto con gli altri ragazzi stranieri. Ho vissuto “in famiglia”, a spese del club, insieme a ragazzi provenienti da Belgio, Slovacchia e Repubblica Ceca. È stato un modo per vivere davvero all’inglese e anche per diventare autonomi, ci preparavamo noi la cena, facevamo la lavatrice, eccetera. Nel frattempo frequentavo un college, dove il Manchester mandava tutti i suoi ragazzi stranieri. La lingua, comunque, la impari anche non volendo. E anche il campo aiuta molto».

Hai avuto modo di conoscere anche l’Inghilterra fuori dai campi sportivi?
«Sì, è molto diversa dall’Italia, a partire dal clima e dal verde. In generale un po’ “monotona” come paesaggio, per quanto bello. Quello che mi è piaciuto di Manchester in particolare è la sua multietnicità, qui tutti stanno bene davvero con tutti, non ci sono differenze. E poi spicca l’attenzione verso lo sport, sia come interesse, che come pratica. Anche nei periodi di lockdown più rigidi, lo sport all’aperto è sempre stato consentito».

Quali esperienze ti porterai dentro?
«Innanzitutto ho avuto la fortuna di viaggiare molto, in Inghilterra ma anche nel resto del Regno Unito. E poi ricorderò sempre il torneo a Dallas, in America, o quelli in Germania nell’headquarter dell’Adidas, nostro sponsor, o il ritiro tra le montagne dell’Austria…».

Quali pressioni comporta indossare una maglia tanto prestigiosa?
«La società non ci ha mai messo pressione, ma credo che se sei un minimo intelligente le pressioni arrivano da te stesso. E la fan base del Manchester fa il resto: ci scrivevano dall’Arabia, dall’Australia, dall’India, era davvero impressionante. Quello che mi ha colpito è che anche il tifo, là, non mette pressioni: il Manchester in questi anni non è stato vincente come in passato, ma nonostante questo si respirava sempre un clima di entusiasmo attorno alla squadra, di speranza e fiducia per il futuro».

Cosa ricordi degli allenamenti in prima squadra?
«Con Van Gaal (nel 2016, ndr) non ho avuto la possibilità ma con l’attuale allenatore (che è da fine 2018 Solskjær, ndr) e soprattutto con Mourinho ne ho fatti parecchi. Ero entrato un po’ nelle sue simpatie, diciamo. Mourinho scambiava sempre due parole con me, ogni volta che entravo in campo mi dava un segnale di attenzione, diceva a tutti “occhio che arriva l’italiano”, mi ha inquadrato come un difensore che non si tira mai indietro».

Ricordi particolari di quegli allenamenti?
«Uno fantastico: la prima partitina 11 contro 11, in cui mi sono ritrovato a marcare Ibrahimovic. L’altro che mi viene in mente invece non l’avevo ancora mai raccontato: ho creato mio malgrado un po’ di casino. Durante una partita di allenamento la mia squadra stava stradominando e contro avevamo un attacco composto dallo stesso Ibra, Rushford (talento anche della nazionale inglese, ndr) e Martial (vicecampione d’Europa con la nazionale francese nel 2016, ndr). Probabilmente il mio allenamento migliore di sempre in prima squadra. E così dopo il terzo, quarto, quinto tackle vincente contro Martial, dopo essere caduti insieme, lui si rialza e si arrabbia, mi viene addosso spingendomi e urlandomi di smettere di entrare in tackle. Si creò un po’ di scompiglio, non dico altro, al punto che Mourinho interruppe l’allenamento. Ricordo come tutti i compagni vennero a tranquillizzarmi, anche Mourinho stesso, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse di stare tranquillo. Martial si è invece scusato solo qualche giorno dopo».

Quali giocatori ti hanno stupito di più, tra i campioni con cui ti sei potuto allenare?
«Ibra mi ha stupito per quello che è, penso che sia sotto gli occhi di tutti. Non fa distinzioni tra giovani o esperti, ci tiene a fare sentire tutti importanti. Più in generale ho notato una caratteristica comune: la costanza che questi campioni mettono tutti i giorni negli allenamenti e la loro professionalità dentro e fuori dal campo. E poi sembra una banalità, ma fanno pochissimi errori. Mi piace citare anche Juan Mata (trequartista spagnolo ex Valencia e Chelsea, ndr), non solo come calciatore.È un grande uomo: ha molti interessi, legge molto, ha creato una fondazione per aiutare bambini in giro per il mondo; un vero e proprio esempio. Aiutava sempre i più giovani a inserirsi e per me in particolare è stato fonda-mentale. Mi ha emozionato tanto ricevere un suo messaggio vocale qualche giorno fa, quando è diventato ufficiale il mio trasferimento».

Hai rimpianti per non aver debuttato in prima squadra a Manchester?
«Sicuramente gli infortuni sono arrivati nei momenti sbagliati. Prima quello al piede, che mi ha fatto saltare i mondiali under 20 con l’Italia (nel 2019, ndr). E poi purtroppo quello al crociato del ginocchio, proprio quando le cose stavano andando bene e si stava prospettando per me la possibilità di esordire (e che di fatto gli ha fatto  invecesaltare la stagione 2019/2020, ndr). Una volta rientrato, non mi sono sentito così tanto aspettato dalla società, che giustamente ha fatto crescere e spinto nel frattempo altri ragazzi, che hanno fatto il loro esordio».

Da qui la decisione di tornare in Italia?
«Nell’ultimo anno a Manchester ho avuto appunto la sensazione che non mi stessero più spingendo, che non credessero più in me. Ho quindi chiamato il mio agente, gli ho detto che era stata un’esperienza magnifica ma che era arrivato il momento di giocare con i “grandi” (Ercolani infatti a Manchester giocava nel campionato nazionale giovanile, che in Inghilterra è un Under23, ndr). Gli ho detto che sarei stato disposto a interrompere in anticipo il contratto con il Manchester (che sarebbe scaduto la prossima estate, ndr) se fosse arrivata l’occasione anche di fare solo 10 presenze nel frattempo nel calcio professionistico…».

E così è arrivato il Carpi, in serie C, nonostante sembrava potessero esserci occasioni anche in B, leggendo i giornali…
«Mi hanno convinto il mio procuratore e poi le parole del direttore sportivo (Andrea Mussi, ndr), che mi hanno prefigurato prospettive molto buone. Credo che a questo punto del mio percorso non sia tanto importante guardare il campionato, che sia B o C, ma farmi rivedere. In Italia ormai stavo uscendo dai radar. E poi alla mia età e nel mio ruolo (difensore centrale, ndr) c’è bisogno di fare esperienza, di giocare partite. È una nuova sfida, con l’obiettivo certo di crescere di livello, anno dopo anno. Magari cercando di attirare su di me per la prossima stagione, o nel 2022, gli interessi di società di serie B. E poi chissà».

Prime differenze rispetto all’Inghilterra, sul campo?
«Sicuramente è quella legata ai risultati. Si capisce subito che i 3 punti qui sono importanti, vitali. Negli allenamenti tutti vanno ai 200 all’ora per cercare di raggiungere l’obiettivo, magari sopperendo anche alla minor tecnica. Questo sono convinto che mi farà crescere molto»

Steward dell’ospedale sottopagati, nuova fumata nera tra sindacati e azienda

L’Ausl ha garantito un aumento di 1,83 euro l’ora, ma la Cgil chiede anche un corretto inquadramento

Steward OspedaleContinua il caso legato allo stipendio dei cosiddetti steward degli ospedali della Romagna, coloro che si occupano del servizio di portierato, misurano la febbre all’ingresso e fanno igienizzare le mani ai pazienti. Una sessantina di persone in provincia di Ravenna, a presidiare una quarantina di postazioni sanitarie.

Caso scoppiato a inizio dicembre, quando Gsa Spa, società multiservizi, è subentrata a Formula Servizi, e i lavoratori sono passati da una paga oraria di 6,50 euro a una di 4,70 lordi.

Situazione che sembrava risolta quando, nelle scorse settimane, l’Ausl Romagna è intervenuta per garantire un aumento di 1,83 euro l’ora e tornare così ai livelli precedenti.

Ma i sindacati annunciano una nuova fumata nera, dopo l’incontro di ieri (22 gennaio) con l’azienda. «Un nulla di fatto – commentano in maniera congiunta le segreterie romagnole della Cgil – a causa del tentativo di lucrare fra l’aumento di tariffa oraria riconosciuto dall’Ausl e quanto dovuto ai lavoratori a titolo di corretto inquadramento e di superminimo collegato alle mansioni strettamente connesse all’emergenza Covid-19». Ora l’azienda dovrà presentare una proposta formale complessiva che sarà oggetto di ulteriore incontro la prossima settimana.

Le Cgil di Ravenna, Forlì, Cesena e Rimini sottolineano che si tratta di «un tentativo vergognoso ai danni di lavoratori che hanno diritto a vedersi riconosciuta una retribuzione dignitosa e la specificità della mansione».

Secondo i sindacati «è necessario occuparsi anche di cosa succederà a maggio, quando l’affidamento scadrà. Se, come è prevedibile, il servizio continuerà, bisognerà assicurare continuità occupazionale e trattamenti appropriati, sia che si definisca una proroga, sia che si proceda a un nuovo affidamento che sarebbe auspicabile avesse un perimetro di attività più ampio, in modo da consentire di riassorbire il personale alla cessazione del servizio».

Dante nel 3021: spettacolo e laboratorio per bambini in diretta su Zoom

Prosegue online la rassegna Le Arti della Marionetta con la compagnia All’Incirco

Dante 3021Continuano online gli appuntamenti della rassegna Le Arti della Marionetta.

Domenica24 gennaio, alle ore 17 andrà in diretta sulla piattaforma Zoom il laboratorio-spettacolo Dante 3021 della compagnia All’InCirco, progetto già vincitore del bando 2019 “Giovani Artisti per Dante” di Ravenna Festival.

La narrazione è affidata alle marionette di Gianluca Palma e Mariasole Brusa, che tenteranno di esplorare la Commedia dantesca in compagnia di Moka e Hertz, due strambi alieni robotici con una grande passione per tutti i reperti provenienti dal pianeta Terra.

Il laboratorio che accompagnerà lo spettacolo permetterà ad ogni bambino di costruirsi, con oggetti domestici e quotidiani, un piccolo, nuovo universo. L’evento è dedicato a bambini a partire dai 6 anni. È possibile acquistare i biglietti online a questo link.

Il costo è a connessione (biglietto unico 10 euro). Info line 392 6664211.

Cia-Conad: «Molti servizi pubblici nel progetto per l’area Cmc in darsena»

L’amministratore delegato Panzavolta conferma l’interesse per lo spazio in via Trieste: progettazione che comprende il Sigarone

©gbiserni0906160028Un progetto di levatura internazionale rivolto a commerciale e residenziale ma anche con molti servizi pubblici. Si può descrivere così l’idea di Cia-Conad per l’area Cmc in darsena a Ravenna.

Luca Panzavolta , amministratore delegato della cooperativa Commercianti indipendenti associati (Cia), è intervenuto dopo che la Cooperativa muratori cementisti ha fatto sapere di aver ricevuto un’offerta per l’acquisto e lo sviluppo del lotto dove ha sede in via Trieste. Le notizie di stampa riportano l’interesse del gruppo Conad che già era interessato alla riqualificazione del Sigarone.

«Non solo Cia è interessata all’area di via Trieste dove ha sede la Cmc – afferma Panzavolta -, ma la nostra cooperativa ha già pronto un progetto urbanistico ambizioso per la riqualificazione della Darsena, di levatura nazionale se non oltre. Il nostro progetto mette in connessione le due aree principali della zona, quella del “Sigarone” e quella della Cmc, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo commerciale e residenziale in un’ottica sostenibile, ma anche di incentivare una forte presenza di servizi di pubblica utilità per tutta la cittadinanza. Crediamo si tratti di un’opportunità rilevante per un territorio così importante come quello ravennate, anche a fronte di importanti interventi pubblici. Il nostro progetto, infatti, si pone l’obiettivo di costituire il motore trainante per lo sviluppo della nuova Darsena, diventando di fatto una nuova ribalta per la città di Ravenna».

In un anno 20 milioni di ore di cassa integrazione: più del totale 2014-2019

I dati provinciali del 2020 dell’Inps e diffusi dalla Cgil dell’Emilia-Romagna: l’anno prima le ore erano state 1,7 milioni

OperaioNel 2020 in provincia di Ravenna sono stati autorizzati 20,2 milioni di ore di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria e in deroga) che sono più di quante erano state autorizzate nei periodi 2014-2019 (15,8 milioni) e 2009-2011 (15,6 mlioni). Lo rende noto la Cgil regionale dell’Emilia-Romagna sulla base di dati pubblicati dall’Inps.

È quindi possibile fare un primo bilancio dell’impatto che l’emergenza generata dal Covid-19 ha avuto sul mercato del lavoro. L’Osservatorio Inps quantifica il ricorso complessivo nel periodo gennaio-dicembre 2020 in Emilia-Romagna a quasi 295 milioni di ore di Cigo-Cigs-Cigd (quasi tre miliardi di ore a livello nazionale), a cui si aggiungono 123 milioni di ore di assegni dei Fondi di Solidarietà, per un totale di circa 420 milioni di ore autorizzare in Emilia-Romagna.

In regione le 295 milioni di ore autorizzate di Cigo-Cigs-Cigd sono superiori alla somma dei sei anni precedenti (2014-2019), quando furono 252,8 milioni, nonché superiori alla somma dei primi tre anni della grande crisi (2009-2011), quando invece furono 263,3 milioni.

A livello regionale le ore autorizzate nel 2020 sono aumentate del 2.300 percento per la Cigo e del 13 percento per la Cigs rispetto al 2019.

«Sono dati impressionanti – commenta la CGIL Emilia-Romagna -. Il bilancio del 2020 è quello di un anno drammatico. Se non si è trasformato in una vera e propria catastrofe sociale generalizzata è solamente perché le Organizzazioni Sindacali hanno richiesto con forza ed ottenuto dal Governo la copertura della cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti, le indennità per gli esclusi (stagionali, intermittenti, ecc). Nonostante questo, tantissimi sono i lavoratori rimasti esclusi da ogni sostegno, a partire dai più precari. Parliamo di mezzo milione di persone in Italia, oltre 40mila in Emilia-Romagna, che hanno perso il lavoro, prevalentemente giovani e donne, lavoratori autonomi e parasubordinati, a tempo determinato, con contratti di part-time involontario».

Il sindacato chiede che il Governo ora «assuma decisioni forti per tamponare l’emergenza: proroga generalizzata degli ammortizzatori sociali Covid-19 e proroga del blocco dei licenziamenti fino alla fine dell’emergenza sanitaria, riforma dei contratti di solidarietà difensiva, riduzione dell’orario di lavoro anche attraverso la formazione del Fondo Nuove Competenze, proroga di Naspi e Dis-Coll rivedendo il dècalage».

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