Il ruolo dell’architettura dopo crisi edilizia e Covid ha un’impronta green

Conversazione coi progettisti ravennati Rambelli e Bonini di Nuovostudio su idee e progetti messi in campo in questa fase di cambiamenti epocali

Esterno di una casa a patio (rendering progetto Nuovostudio di Ravenna)

Esterno di una casa a patio (rendering progetto Nuovostudio di Ravenna)

Prima la perdurante crisi dell’edilizia, adesso l’emergenza pandemica, e poi l’avanzare di una nuova sensibilità per la sostenibilità ambientale e il risparmio energetico che informano nuove leggi urbanistiche e piani territoriali indirizzate ad azzerare il consumo di territorio e incentivare opere di rigenerazione… Insomma, il mondo delle costruzioni, dell’architettura e dell’urbanistica sta vivendo svolte profonde, a volte radicali. Ne parliamo con i progettisti Emilio Rambelli e Gianluca Bonini di Nuovostudio di Ravenna, uno dei più noti studi di architettura della città, che negli ultimi 20 anni ha firmato importanti progetti in campo pubblico e privato, e vanta riconoscimenti e menzioni in diverse pubblicazioni del settore.

Di fronte a questa fase di veloci e drammatici cambiamenti qual è il ruolo dell’architettura oggi e come sta cambiando il mestiere dell’architetto?
«Per certi versi ci troviamo in un periodo interessante, perché finiti gli eccessi della speculazione immobiliare, del costruire quantitativo e spesso indifferenziato, via via si sono aperti nuovi orizzonti qualitativi e più ragionati per la progettazione edilizia e l’urbanistica. Lo diciamo per l’esperienza che come studio stiamo vivendo a livello locale e regionale. Sicuramente sono cambiati i protagonisti: è scomparsa la figura dell’immobiliarista che abbiamo avuto come referente nel primo decennio del Duemila e si sono rarefatte di molto le imprese costruttrici. Però sono rimaste delle aree di espansione in gran parte periferiche dove il ruolo dell’architetto diventa centrale, ben più importante di prima. Quando sul mercato immobiliare si vendeva comunque e di tutto, paradossalmente, un progettista valeva l’altro. Adesso che la legge urbanistica regionale si riserva di lasciare “aperte” solo un paio di anni queste zone per una destinazione e uno sviluppo – pena una ripianificazione – obbliga le attuali proprietà dei terreni a dover creare un mercato che non c’è. In alcuni casi si tratta anche di nuovi attori, diversi dalle vecchie società immobiliari, magari aziende che operano in altri settori economici, e che vedono nelle competenze ed esperienza della progettazione architettonica la capacità di sfruttare queste opportunità».

Ci potete fare qualche nome di queste imprese a cui interessano nuove soluzioni per costruire?
«Possiamo citare come esempi locali la Tozzi Green, il Gruppo Arco, e un gruppo di imprenditori dell’ortofrutta del Ferrarese. In qualche caso, sono imprese che hanno “ereditato” queste aree e che non possono lasciarle decadere, e come committenti si rivolgono al ruolo dell’architetto per definire nuove idee costruttive e strategie urbane capaci di valorizzare le loro proprietà».

Interno di una casa a patio (rendering progetto di Nuovostudio di Ravenna)

Interno di una casa a patio (rendering progetto di Nuovostudio di Ravenna)

Mi sembra di capire che voi siate consulenti di queste imprese e coinvolti nella pianificazione delle aree. Ci raccontate qualcosa delle idee in campo?
«Le esigenze di nuova progettualità di queste imprese, nel contesto sociale, economico, normativo che stiamo vivendo, per noi è una sfida appassionante. Anche perché tutto quello che abbiamo studiato, le esperienze che abbiamo accumulato e una parte del repertorio dell’architettura del Novecento oggi possiamo provare a metterlo a frutto: la città giardino, la casa a patio, la bassa densità… Tutti concetti che prima facevamo fatica a proporre, quando era il capitale a spingere in termini prioritari di finanza e di accumulo di metri cubi. Dopo questa sbornia – che però ha portato a fallimenti e a un gigantesco patrimonio invenduto – una certa sobrietà e cautela ha riportato in auge il ruolo strategico dell’architetto e non solo tecnico. Certo non vuol dire che abbiamo la soluzione vincente, ce l’auguriamo, stiamo elaborando delle idee, se non altro siamo tornati ad esprimere il nostro ruolo».

Avete citato la nuova legge regionale che consente, in una determinata “finestra di tempo” di sviluppare progetti edificatori in aree di solito interstiziali o marginali al tessuto urbano, consentiti dalle precedenti normative. Viste anche le nuove tendenze dell’ecosostenibilità e degli stili di vita, come intendete declinare i concetti architettonici che citavate prima in riferimento al vasto repertorio architettonico e urbanistico?
«Prima di tutto tanto verde, bassa densità costruttiva e modelli di “casa a patio”. Che significa ampliare la funzione e il senso di abitazione. Con l’emergenza Covid abbiamo scoperto che la casa non è solo un dormitorio, uno “spazio d’appoggio” ma può essere anche un luogo di lavoro, di condivisione e ricevimento, dove si trascorre il tempo libero e ci si rilassa. Tutte queste situazioni, in qualche modo inedite, sono legate dai fili conduttori dei bassi indici di edificazione, di diffusi spazi verdi e di abitazioni che si sviluppano intorno, o a fianco, un cortile interno, il patio appunto, solitamente un giardino. Che architettonicamente si collega tanto per citare qualche modello all’antica casa romana ma che arriva fino alla casa “ Zuma” introversa di Tadao Ando. Si tratta di edifici a un piano che si distendono sul terreno, racchiusi da muri che garantiscono una notevole riservatezza, ma all’interno caratterizzati da ampie trasparenze che si aprono sul verde e alla luce. Naturalmente nei progetti queste unità abitative sono integrate come in piccolo quartiere da strutture di servizio, dal market alla biblioteca o alla palestra. Ma il cuore nuovo del progetto resta questo genere di residenza, che è un mondo privato e intimo ma allo stesso tempo collegato all’ambiente esterno. D’altra parte il modulo che abbiamo ideato si presta ad altre destinazioni d’uso, quindi non solo residenziale ma anche B&B, albergo diffuso, ufficio, studio professionale, ambulatorio…».

Quindi questo tipo di struttura permetterebbe quindi la massima flessibilità funzionale…
«Certo, anche perché una rinnovata concezione urbanistica dovrebbe uscire dai vecchi e rigidi schemi della catalogazione e incasellamento. Tanto per citare l’urbanista faentino Ennio Nonni tutto ciò che non è nocivo o non crea fastidio si può accostare e integrare in un tessuto urbano. Questa flessibilità e varietà di funzioni, non solo evita spreco di territorio ma amplia l’offerta commerciale delle costruzioni ben oltre l’utilizzo residenziale».

Il villaggio green di Mezzano (proprietà Tozzi Group, rendering progetto di Nuvostudio di Ravenna)

Il villaggio green di Mezzano (proprietà Tozzi Group, rendering progetto di Nuvostudio di Ravenna)

Passiamo ai progetti veri e propri sul terreno. A quali state lavorando?
«Per primo stiamo lavorando alla variante del progetto della società Tozzi a Mezzano, che è stata un po’ la madre delle nostre idee. Si tratta di un piccolo quartiere green nei pressi della sede dell’impresa, che ha come “illuminati” committenti il presidente Franco Tozzi, il figlio Andrea ed il cugino Fabrizio. Anche la stessa progettazione è un laboratorio innnovativo perchè oltre al nostro Nuovostudio hanno collaborato all’ideazione del villaggio ecosostenibile anche la sociologa Paola Turroni e lo scrittore Fabio Cavallari, contribuendo a elaborare nuove prospettive dell’abitare contemporaneo. Così è gemmato un’orizzonte di idee che abbiamo impostato anche per il gruppo Arco per l’ampliamento dell’area S2 “Agraria”, nei pressi della circonvallazione Nord e vicino al quartiere San Giuseppe. In questo caso siamo consulenti architettonici sulla base di un piano urbanistico preesistente e abbiamo già presentato un masterplan che intreccia tutti temi green e di minimo impatto ambientale di cui abbiamo accennato prima. Anche in questo caso stiamo cercando di creare un’offerta di mercato inedita, prevedendo nuovi bisogni sia in termini di residenziale ma anche di altre funzioni sociali o imprenditoriali. Infine stiamo lavorando in via del tutto riservata a un ulteriore, importante, progetto di questo genere per i lidi Estensi. Si tratta di un piano ancora più ambizioso, anche per la dimensione perché prevede la rinaturalizzazione di una vasta area depressa e abbandonata, con la nascita di un quartiere immerso nel verde, con pochi edifici e un marina, dove si potrebbero intrecciare residenziale e turistico».

Quando parlate di green è evidente che vi riferite non solo a ampie aree a giardino ma anche di consumo energetico…
«Intendiamo edifici “passivi”, a consumo zero, tutti dotati di impianto fotovoltaico, con prese per la ricarica delle auto elettriche, e quant’altro offrano oggi le più avanzate tecnologie per il massimo risparmio energetico».

Nuovo comparto area S2 “Agraria”, zona circonvallazione Nord, quartiere San Giuseppe (rendering vista notturna del progetto Nuovostudio di Ravenna)

Nuovo comparto area S2 “Agraria”, zona circonvallazione Nord, quartiere San Giuseppe (rendering vista notturna del progetto Nuovostudio di Ravenna)

Prima avete confidato che nel vostro mestiere non c’è mai una soluzione scontata o garantita. Quali potrebbero essere gli ostacoli alla realizzazione di questi progetti?
«C’è il rischio di non crederci fino in fondo. Proprio perché i committenti non sono – o lo sono solo parzialmente – del mestiere o connaturati al mercato immobiliare, hanno bisogno di essere stimolati, resi consapevoli, convinti della necessità di imporre sul mercato della casa un nuovo modello. Un po’ come se fosse un’automobile, che ha diverse varianti e rifiniture possibili, ma si consegna gia pronta, come si dice “chiavi in mano”. Il punto è che tentiamo di definire un nuovo stile dell’abitare e per questo è necessaria una certa determinazione. Insomma, è un po’ una scommessa che basandosi su un modello ha importanti aspetti di ordinamento urbanistico, che supera il caos non solo funzionale ma anche estetico delle periferie, ed è anche un tentativo di ridare un po’ di ossigeno ad un settore depresso da tempo, che intreccia un’importante filiera di professioni e specializzazioni artigianali, insomma di lavoro. Bisogna far prevalere i vantaggi più che i timori della sfida sul mercato. In questo senso crediamo che sarà molto importante curare bene la comunicazione e la commercializzazione. In una parola fare del buon marketing».

Modulo abitazione di rigenerazione urbana ex edificio artigianale in Drasena di citta (spaccato progetto Nuovostudio di Ravenna)

Modulo abitazione di rigenerazione urbana ex edificio artigianale in Drasena di citta (spaccato progetto Nuovostudio di Ravenna)

Affrontiamo il tema – peraltro molto sollecitato e incentivato anche sul piano fiscale dalle normative di settore – della riqualificazioe e rigenerazione dell’esistente. Come Nuovostudio siete coinvolti in un piccolo ma significativo progetto di recupero di un’area in disuso in Darsena a Ravenna che prevede la condivisione del rischio e cooperazione di tutti gli attori: dalla proprietà, ai progettisti, dagli artigiani agli immobiliaristi, fino al compratore. Riuscirete a realizzare il progetto? È un metodo che potrebbe essere applicato anche in altri casi?
«A modo suo, quello citato è un esempio in piccolo di quelli più grandi di cui abbiamo parlato. Il committente è la proprietà che si è rivolta a noi perchè ideassimo un modo non convenzionale per valorizzare la sua proprietà . Abbiamo proposto un progetto che è stato presentato al pubblico con un buon successo – visto che di 10 unità residenziali già sette sono state opzionate – e che alla base vede una catena di soggetti intermedi interessati alla rigenerazione che si assumono ognuno per le proprie competenze gli oneri e onori della realizzazione. Anche in questo caso si tratta di una scommessa, una modalità che va a vedere la realtà del mercato. Una modalità che è propedeutica a questa fase di incertezza dove, essendoci ben pochi soggetti in grado di assumersi tutto il rischio, questo viene ripartito fra chi partecipa all’impresa».

Non è che il nostro territorio soffra, anche nel settore delle costruzioni e della progettazione architettonica, di essere una provincia?
«Abbiamo l’impressione che in questo senso qualcosa stia cambiando. Sembra che il Covid abbia un pò rimescolato tutto e che nel campo della progettazione e anche degli investimenti la dimensione provinciale possa recuperare le attenzioni e l’attrazione prima tutte puntate sulle grandi città. E forse sta cambiando anche la propensione di molte persone a vivere in contesti metropolitani frenetici e caotici, preferendo magari proprio dei ritmi di vita più rilassati e convenienti, che per l’appunto si possono trovare in provincia. Anche chi progetta deve tenere conto di queste mutazioni sociali e psicologiche, che in questi tempi sono sempre più frequenti e repentine. Per cui, come ha detto Renzo Piano, “l’architetto non inventa niente, interpreta solo la realtà”».

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