lunedì
18 Agosto 2025

«All’incrocio Ravegnana-Adriatica via ai lavori per la rotonda da aprile»

L’assessore ai Lavori pubblici punta sul calendario l’apertura del cantiere Anas: «Durata 180 giorni». Ma Ancisi (Lpr) è scettico

I lavori di competenza dell’Anas per la realizzazione della rotonda all’incrocio tra la statale 16 Adriatica e via Ravegnana, tristemente noto come incrocio della morte, prenderanno il via nel mese di aprile. L’annuncio è di Roberto Fagnani, assessore comunale ai Lavori pubblici, che sta seguendo la vicenda in contatto con l’azienda statale delle strade. L’intervento, fa sapere ancora il Comune, avrà una durata 180 giorni e verrà realizzato dall’impresa Staccone di Roma in Ati con la Mbs di Montelanico entro il 2016. Al fine di avviare le attività di cantiere è stata indetta per venerdì prossimo, 26 febbraio una riunione in prefettura alla presenza di Anas, del Comune, della Provincia e altri soggetti coinvolti.

«Confermiamo l’avvio di questa opera nel mese di aprile – dichiara Fagnani –. Come è noto verrà realizzata una rotonda che eleverà le condizioni di sicurezza di questo incrocio che ha causato numerosi incidenti. Come Comune abbiamo negli anni perseguito con tenacia la realizzazione di questa opera che finalmente vedremo concretizzarsi tra alcune settimane».

Nei giorni scorsi il decano dell’opposizione ravennate, Alvaro Ancisi, aveva invece vaticinato un futuro diverso per la rotondina: «Siamo arrivati a fine febbraio e non c’è traccia neppure che i lavori stiano per cominciare. Avevo già previsto, all’inizio dell’anno, dati alla mano, che la rotondina non vedrà la luce nemmeno nel 2016. Tre anni per costruire una rotondina? Un altro secolo perché Ravenna abbia una tangenziale vera? I ravennati amanti della loro città dovrebbero porsi seriamente queste domande, con tante altre, prima del 12 giugno 2016».

Qual è il cappelletto migliore? 7 ristoranti in sfida, 80 bocche in giuria

La condotta Slow Food organizza la settima edizione della gara
al ristorante Radicchio Rosso. Nel 2015 vinse il Molinetto

Torna la disfida del cappelletto organizzato dalla condotta Slow Food di Ravenna sulle tavole del ristorante Radicchio Rosso. Il 29 febbraio dalle 20.30 una gara tutta romagnola, con sette buone mezze porzioni di cappelletti in brodo, proposti da sette ristoranti che proporranno e prepareranno la versione del cappelletto del proprio territorio. A confrontarsi ci saranno la Mascotte di Russi, Alma di Marina di Ravenna, la Spagnera di San Pietro in Vincoli, il Borghetto di Brola di Modigliana, il Vecchio Convento di Portico di Romagna, Alto Savio di San Piero in Bagno, la Rocca di San Leo.

I giudici della disfida saranno i partecipanti alla cena: forniti di una scheda di valutazione che andrà da un minimo di un punto a un massimo di dieci, daranno il loro voto ad ogni singolo piatto. Dovranno valutare l’aspetto visivo (forma, colore, chiusura-aperti o rotti), l’aspetto olfattivo (aroma, profumo), l’aspetto gustativo (sapore, dolcezza, untuosità, speziatura, consistenza nella masticazione). Disponibilità massima 80 posti: la prenotazione è obbligatoria (30 euro per i soci, 35 per i non soci) entro il 27 febbraio telefonando al 335-375212 o per mail a maurozanarini@gmail.com.

Il ristorante Molinetto, vincitore dell’ultima disfida, che ha tenuto in consegna la simbolica zuppiera in ceramica d’arte di Faenza nel suo ristorante per tutto l’anno, passerà il testimone al cappelletto che piacerà maggiormente nella serata in oggetto e il vincitore la terrà in consegna fino alla disfida finale tra i sette vincitori di tutte le edizioni che si farà a ottobre 2016. Il vincitore conquisterà il trofeo che diverrà suo e potrà esporlo come vincitore assoluto.

Qual è il cappelletto migliore? 7 ristoranti in sfida, 80 bocche in giuria

La condotta Slow Food organizza la settima edizione della gara al ristorante Radicchio Rosso. Nel 2015 vinse il Molinetto

Torna la disfida del cappelletto organizzato dalla condotta Slow Food di Ravenna sulle tavole del ristorante Radicchio Rosso. Il 29 febbraio dalle 20.30 una gara tutta romagnola, con sette buone mezze porzioni di cappelletti in brodo, proposti da sette ristoranti che proporranno e prepareranno la versione del cappelletto del proprio territorio. A confrontarsi ci saranno la Mascotte di Russi, Alma di Marina di Ravenna, la Spagnera di San Pietro in Vincoli, il Borghetto di Brola di Modigliana, il Vecchio Convento di Portico di Romagna, Alto Savio di San Piero in Bagno, la Rocca di San Leo.

I giudici della disfida saranno i partecipanti alla cena: forniti di una scheda di valutazione che andrà da un minimo di un punto a un massimo di dieci, daranno il loro voto ad ogni singolo piatto. Dovranno valutare l’aspetto visivo (forma, colore, chiusura-aperti o rotti), l’aspetto olfattivo (aroma, profumo), l’aspetto gustativo (sapore, dolcezza, untuosità, speziatura, consistenza nella masticazione). Disponibilità massima 80 posti: la prenotazione è obbligatoria (30 euro per i soci, 35 per i non soci) entro il 27 febbraio telefonando al 335-375212 o per mail a maurozanarini@gmail.com.

Il ristorante Molinetto, vincitore dell’ultima disfida, che ha tenuto in consegna la simbolica zuppiera in ceramica d’arte di Faenza nel suo ristorante per tutto l’anno, passerà il testimone al cappelletto che piacerà maggiormente nella serata in oggetto e il vincitore la terrà in consegna fino alla disfida finale tra i sette vincitori di tutte le edizioni che si farà a ottobre 2016. Il vincitore conquisterà il trofeo che diverrà suo e potrà esporlo come vincitore assoluto.

Tutti i numeri del museo d’arte

Dal Comune neanche un euro per le mostre: «Ma noi abbiamo tante eccellenze». Nel 2015 incassati 255mila euro da biglietti e bookshop

Il curatore delle grandi mostre del Museo d’Arte della città di Ravenna, Claudio Spadoni, ha sottolineato le ristrettezze del budget, rispetto alle città vicine e anche rispetto ai primi anni dell’istituzione Mar, nata nel 2002 (vedi intervista tra i correlati). E in effetti, complice anche una legge statale del 2010 che frenava la capacità di spesa in questo comparto da parte dei Comuni, dopo gli appena 50mila euro del 2011, dal 2012 fino a oggi l’Amministrazione a Ravenna ha azzerato il proprio contributo per le attività espositive. Contributo che invece dal 2005 al 2010 è oscillato tra i 370mila ai 620mila euro all’anno, con il bilancio dell’istituzione che è arrivato nel corso della prima legislatura della giunta Matteucci anche attorno ai 2 milioni di euro e oggi invece si assesta a una cifra di poco superiore agli 800mila euro. C’è anche da sottolineare come nei suoi primi anni di vita l’istituzione avesse in carico direttamente collaboratori poi invece entrati nell’organico del Mar, i cui dipendenti sono a carico del Comune: si tratta a oggi di 20 persone (compresa la dirigente comunale Maria Grazia Marini, dirigente ad interim fino a giugno) che pesano sulle casse comunali per circa 720mila euro l’anno.

Dal 2012 in avanti quindi le mostre a Ravenna si realizzano grazie esclusivamente a contributi vari (della fondazione Cassa di Risparmio in particolare, che dal 2014 stipendia anche il curatore Claudio Spadoni) e sponsorizzazioni, una cifra complessiva che dal 2004 al 2015 in media si aggira sui 380mila euro all’anno, ma che l’anno scorso si è assestata sui 295mila euro contro i 511mila del 2014. A questi introiti si devono aggiungere gli incassi da biglietteria e bookshop che in questi 12 anni sono stati in media di 240mila euro all’anno.

Abbiamo chiesto come mai il Comune abbia deciso di continuare a non investire sulle mostre (a differenza per esempio di quanto fa Ferrara) all’assessore alla Cultura, Ouidad Bakkali. «Non si può dire che il Comune non investa sul Mar, perché ha a carico tutti i costi del museo in termini di personale e struttura. Ogni città comunque fa scelte diverse: la nostra ha un numero e una pluralità di attività e di eccellenze che altre non hanno e investiamo risorse importanti sulle nostre istituzioni culturali, sui musei, sulle convenzioni culturali, l’accademia di belle arti, l’istituto musicale Verdi; abbiamo un polo archeologico importante e l’apertura prossima di un nuovo grande museo (quello di Classe all’ex zuccherificio, ndr), stagioni e grandi festival. Abbiamo negli anni cercato un equilibrio che permettesse grazie alle risorse dirette del Comune, della Regione, del ministero e alle sponsorizzazioni di mantenere questa complessità di proposte in vita e in continua crescita. Sul Mar – continua Bakkali entrando nel merito della questione – l’amministrazione contratta direttamente con fondazioni e sponsor privati, che quindi investono sul museo e non altrove. Possiamo continuare a citare e prendere ad esempio la mostre di Forlì o di altri territori, ma lo farei chiedendoci se le città in questione abbiano la pluralità di eccellenze e di proposte di cui sopra. Fatta questa analisi però non mi rassegno all’idea di fare con quello che abbiamo, anzi penso che dovremo lavorare per trovare altre risorse e altri sponsor per rendere le nostre mostre competitive e attrarre nuovi flussi di visitatori».

VISITATORI. Nei 13 anni di attività sotto la direzione di Claudio Spadoni, la media di visitatori alle grandi mostre del Mar è di poco superiore ai 31mila biglietti staccati (con budget variabili dai 900 ai 500mila euro degli ultimi anni), a cui vanno aggiunti i visitatori del museo negli altri periodi dell’anno, sull’ordine delle poche migliaia. Il record di pubblico spetta ancora alla prima mostra, quella del 2003 dedicata al critico Roberto Longhi, con circa 55mila visitatori, avvicinato nel 2013 un po’ a sopresa dai 52mila visitatori di “Borderline” e nel 2009 dai quasi 50mila per “L’artista viaggiatore”. Il peggiore risultato è quello del 2008 con la mostra dedicata a Corrado Ricci che superò di poco la soglia degli 11mila biglietti staccati (ma oltre al Mar era dislocata in altre sedi).

Tutti i numeri del museo d’arte

Dal Comune neanche un euro per le mostre: «Ma noi abbiamo tante eccellenze». Nel 2015 incassati 255mila euro da biglietti e bookshop

Il curatore delle grandi mostre del Museo d’Arte della città di Ravenna, Claudio Spadoni, ha sottolineato le ristrettezze del budget, rispetto alle città vicine e anche rispetto ai primi anni dell’istituzione Mar, nata nel 2002 (vedi intervista tra i correlati). E in effetti, complice anche una legge statale del 2010 che frenava la capacità di spesa in questo comparto da parte dei Comuni, dopo gli appena 50mila euro del 2011, dal 2012 fino a oggi l’Amministrazione a Ravenna ha azzerato il proprio contributo per le attività espositive. Contributo che invece dal 2005 al 2010 è oscillato tra i 370mila ai 620mila euro all’anno, con il bilancio dell’istituzione che è arrivato nel corso della prima legislatura della giunta Matteucci anche attorno ai 2 milioni di euro e oggi invece si assesta a una cifra di poco superiore agli 800mila euro. C’è anche da sottolineare come nei suoi primi anni di vita l’istituzione avesse in carico direttamente collaboratori poi invece entrati nell’organico del Mar, i cui dipendenti sono a carico del Comune: si tratta a oggi di 20 persone (compresa la dirigente comunale Maria Grazia Marini, dirigente ad interim fino a giugno) che pesano sulle casse comunali per circa 720mila euro l’anno.

Dal 2012 in avanti quindi le mostre a Ravenna si realizzano grazie esclusivamente a contributi vari (della fondazione Cassa di Risparmio in particolare, che dal 2014 stipendia anche il curatore Claudio Spadoni) e sponsorizzazioni, una cifra complessiva che dal 2004 al 2015 in media si aggira sui 380mila euro all’anno, ma che l’anno scorso si è assestata sui 295mila euro contro i 511mila del 2014. A questi introiti si devono aggiungere gli incassi da biglietteria e bookshop che in questi 12 anni sono stati in media di 240mila euro all’anno.

Abbiamo chiesto come mai il Comune abbia deciso di continuare a non investire sulle mostre (a differenza per esempio di quanto fa Ferrara) all’assessore alla Cultura, Ouidad Bakkali. «Non si può dire che il Comune non investa sul Mar, perché ha a carico tutti i costi del museo in termini di personale e struttura. Ogni città comunque fa scelte diverse: la nostra ha un numero e una pluralità di attività e di eccellenze che altre non hanno e investiamo risorse importanti sulle nostre istituzioni culturali, sui musei, sulle convenzioni culturali, l’accademia di belle arti, l’istituto musicale Verdi; abbiamo un polo archeologico importante e l’apertura prossima di un nuovo grande museo (quello di Classe all’ex zuccherificio, ndr), stagioni e grandi festival. Abbiamo negli anni cercato un equilibrio che permettesse grazie alle risorse dirette del Comune, della Regione, del ministero e alle sponsorizzazioni di mantenere questa complessità di proposte in vita e in continua crescita. Sul Mar – continua Bakkali entrando nel merito della questione – l’amministrazione contratta direttamente con fondazioni e sponsor privati, che quindi investono sul museo e non altrove. Possiamo continuare a citare e prendere ad esempio la mostre di Forlì o di altri territori, ma lo farei chiedendoci se le città in questione abbiano la pluralità di eccellenze e di proposte di cui sopra. Fatta questa analisi però non mi rassegno all’idea di fare con quello che abbiamo, anzi penso che dovremo lavorare per trovare altre risorse e altri sponsor per rendere le nostre mostre competitive e attrarre nuovi flussi di visitatori».

VISITATORI. Nei 13 anni di attività sotto la direzione di Claudio Spadoni, la media di visitatori alle grandi mostre del Mar è di poco superiore ai 31mila biglietti staccati (con budget variabili dai 900 ai 500mila euro degli ultimi anni), a cui vanno aggiunti i visitatori del museo negli altri periodi dell’anno, sull’ordine delle poche migliaia. Il record di pubblico spetta ancora alla prima mostra, quella del 2003 dedicata al critico Roberto Longhi, con circa 55mila visitatori, avvicinato nel 2013 un po’ a sopresa dai 52mila visitatori di “Borderline” e nel 2009 dai quasi 50mila per “L’artista viaggiatore”. Il peggiore risultato è quello del 2008 con la mostra dedicata a Corrado Ricci che superò di poco la soglia degli 11mila biglietti staccati (ma oltre al Mar era dislocata in altre sedi).

Inchiesta su corruzione alla direzione del lavoro: spunta conto da 300mila euro 

È riconducibile al principale indagato – un funzionario di 60 anni –
del caso che vede anche diversi presunti episodi di assenteismo

Gli inquirenti stanno passando al setaccio un conto, su cui sono transitati almeno 300mila euro, riconducibile al principale indagato nell’inchiesta su diversi presunti episodi di assenteismo e corruzione che ha investito la direzione territoriale del Lavoro (Dtl) di Ravenna (vedi articoli correlati). Lo riporta l’agenzia di stampa Ansa sul suo sito internet.

Il conto risulta intestato a una persona vicina a Gianfranco Ferrara, 60 anni, funzionario responsabile del servizio Ispettivo alla Dtl arrestato dai carabinieri il 10 dicembre assieme a Massimo Siviero, 44enne di Lugo, incaricato di monitorare le pratiche ispettive.

Oltre a diversi episodi di assenteismo con uso improprio del badge, nell’ordinanza che li aveva fatti finire in carcere (Siviero è ora ai domiciliari) ai due era stata contestata la corruzione: avrebbero avvertito vari titolari di attività di imminenti controlli in cambio di regalie e, solo per Ferrara, pure di posti di lavoro per amici.

L’inchiesta vede finora una quindicina di indagati tra dipendenti della Dtl, compresa la direttrice, e imprenditori.

Spinge la compagna, poi chiama il 112: «L’ho uccisa». Ma era solo tramortita 

L’uomo aveva sparato anche un colpo con una scacciacani

Durante un concitato litigio domestico ha dato una spinta alla compagna facendole sbattere la testa per terra. Subito dopo, credendola morta, ha chiamato il 112 accusandosi dell’omicidio della donna che in realtà era solo tramortita. È accaduto a Pinarella di Cervia.

L’allarme è stato lanciato sabato pomeriggio, quando un uomo ha chiamato disperato i carabinieri: «Venite a prendermi, l’ho uccisa io…». Poco dopo una pattuglia dell’Arma ha trovato nell’appartamento due coppie di stranieri: due uomini, un moldavo di 25 anni e un russo di 32, e le compagne, due sorelle russe di 41 e 48 anni, poi portate con qualche escoriazione in ospedale. Durante la lite il moldavo aveva pure esploso un colpo di scacciacani.
Le due donne hanno già detto che non faranno querela.

Il moldavo è stato denunciato comunque per minacce gravi, la scacciacani gli è stata sequestrata. (Ansa.it)

Arrestati dai Carabinieri due componenti della “banda delle arance”

Intercettati e fermati a Piangipane dopo il furto di una collana di un’anziana signora

Banda aranceAttiravano le vittime con il pretesto di vendere, e in alcuni casi donare delle arance, ma il loro scopo era rapinare persone e introdursi nella case per commetter furti. Nel pomeriggio del 20 febbraio i militari del Norm hanno arrestato in flagranza di reato  un 37enne ed un 25enne partenopei per aver sottratto una collanina ad una pensionata di 84 anni di Piangipane proprio mentre mercanteggiavano le arance.

I Carabinieri erano a conoscenza del fenomeno diffuso in tutta l’Emilia Romagna, che hanno supposto si tratti di di una vera e propria banda “delle arance” con sede tra Napoli e Caserta. Le indagini stanno proseguendo per verificare il caso, visto che sono almeno una decina le denunce di furti e rapine che potrebbero essere fatte risalire alle azioni criminali dei due arrestati, ora in carcere a Ravenna.

Voleva gettarsi dal ponte sulla A14 a Faenza. Messa in salvo dai Carabinieri

Si tratta di una donna di 40 anni, che i militari sono riusciti ad afferrare oltre il parapetto

carabinieri FaenzaStava cercando di gettarsi, dopo avere superato il parapetto di protezione, dal ponte sull’autostrada A14 della strada provinciale “Naviglio”, nei pressi di Faenza. A minacciare di gettarsi nel vuoto una donna faentina di quarant’anni, poi tratta in salvo dai Carabinieri che sono intervenuti tempestivamente dopo una segnalazione al 112 da parte di una automobista che transitava lungo la strada, nel tardo pomeriggio di venerdì 19 febbraio. I due agenti del nucleo radiomobile arrivati sul posto hanno tentanto – assieme alla signora che si era fermata per dare l’allarme – di dissuadere la donna, che era affacciata sul vuoto, e invitarla a tornare sui suoi passi. Ma le parole dei militari non sono servite a nulla visto lo stato confusionale della quarant’enne.

I due carabinieri nel corso del colloquio sono però riusciti ad avvicinarsi alla balaustra ed approfittando di un attimo di distrazione della donna, l’hanno afferrata di sorpresa mettendola in salvo, nonostante abbia anche cercato di divincolarsi.

La donna è stata successivamente accompagnata in ambulanza in ospedale, mentre nel frattempo sono stati avvisati i familiari. Sono ancora da chiarire le ragioni che l’hanno spinta a compiere un gesto simile, ai Carabinieri non ha detto nulla, rinchiudendosi nel silenzio. In tarda serata è stata ricoverata in ospedale a Ravenna per ulteriori accertamenti.

Voleva gettarsi dal ponte sulla A14 a Faenza. Messa in salvo dai Carabinieri

Si tratta di una donna di 40 anni, che i militari sono riusciti ad afferrare oltre il parapetto

carabinieri FaenzaStava cercando di gettarsi, dopo avere superato il parapetto di protezione, dal ponte sull’autostrada A14 della strada provinciale “Naviglio”, nei pressi di Faenza. A minacciare di gettarsi nel vuoto una donna faentina di quarant’anni, poi tratta in salvo dai Carabinieri che sono intervenuti tempestivamente dopo una segnalazione al 112 da parte di una automobista che transitava lungo la strada, nel tardo pomeriggio di venerdì 19 febbraio. I due agenti del nucleo radiomobile arrivati sul posto hanno tentanto – assieme alla signora che si era fermata per dare l’allarme – di dissuadere la donna, che era affacciata sul vuoto, e invitarla a tornare sui suoi passi. Ma le parole dei militari non sono servite a nulla visto lo stato confusionale della quarant’enne.

I due carabinieri nel corso del colloquio sono però riusciti ad avvicinarsi alla balaustra ed approfittando di un attimo di distrazione della donna, l’hanno afferrata di sorpresa mettendola in salvo, nonostante abbia anche cercato di divincolarsi.

La donna è stata successivamente accompagnata in ambulanza in ospedale, mentre nel frattempo sono stati avvisati i familiari. Sono ancora da chiarire le ragioni che l’hanno spinta a compiere un gesto simile, ai Carabinieri non ha detto nulla, rinchiudendosi nel silenzio. In tarda serata è stata ricoverata in ospedale a Ravenna per ulteriori accertamenti.

L’antimafia in regione dopo le rivelazioni emerse dall’indagine “Aemilia”

Il giornalista Gaetano Alessi spiega gli obiettivi del dossier pubblicato con il GdZ, duramente criticato dal sindaco Matteucci

Dossier mafia AemiliaGaetano Alessi, bolognese di origini siciliane, giornalista (premio Fava 2011 e collaboratore di Articolo 21), oggi sindacalista, da vent’anni in prima linea nella lotta antimafia da volontario e nella divulgazione di questi argomenti per sensibilizzare coscienze e far luce su un fenomeno da queste parti troppo a lungo ignorato. Con la sua associazione AdEst e insieme a gruppi sparsi sul territorio, vere e proprio antenne (per Ravenna è il Gruppo dello Zuccherificio), da anni danno alle stampe e pubblicano online un dossier che assembla e riordina le informazioni disponibili sulla presenza mafiosa in regione.
L’aggiornamento del 2015 non poteva ovviamente prescindere dall’indagine Aemilia che ha portato alla sbarra decine di indagati e ha messo in luce intrecci e interessi che sembrano coinvolgere mondo economico, politico e dell’informazione. Il dossier Tra la via Aemilia e il West, storie di mafia, convivenze e affari ha suscitato le dure critiche del sindaco di Ravenna Matteucci che ha definito il documento «fanghiglia», gli autori «frange minoritarie» e le argomentazioni del loro lavoro di informazione «degenerazione estremista» (vedi articoli correlati).

Gaetano, per chi è pensato questo lavoro?
«Come tutti i nostri lavori degli ultimi sette anni, è pensato per  pubblici non istituzionali e la distribuzione cartacea coinvolgerà scuole, oratori, associazioni alle periferie della Regione, in particolare nei comuni terremotati. Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un fumetto propedeutico a questo lavoro che ha avuto un’ottima accoglienza. Ora arriva questo lavoro per continuare un percorso e seminare lì un po’ di futuro. Del resto è scritto in modo molto fruibile».

Fruibile ma dettagliato, anche per la varietà delle fonti?
«Noi raccogliamo in un anno tutto ciò che esce sulla stampa, e poi prendiamo sentenze, ordinanze di custodia cautelare, informative della Dia e mettiamo tutto insieme. Perché magari una notizia singola può sfuggire, m tutte insieme offrono un quadro molto preoccupante».

Dell’inchiesta Aemilia cosa vi ha stupito di più?
«Nulla, devo dire. Gran parte di ciò che emerge nasce dalle dichiarazione del pentito Angelo Cortese nel 2008  che noi abbiamo riportato nel primo dossier nel 2011. Ci ha meravigliati la meraviglia che ha suscitato. Da anni facciamo – da volontari –  duecento serate l’anno per raccontare tutto questo. Certo, di sicuro Aemilia adesso ha costretto tutti a confrontarsi con la propria coscienza. Nessuno può più dire che non sapeva».
Da non addetti ai lavori, tra gli elementi che più colpiscono c’è quello dell’omertà, a queste latitudini. Un’infiltrazione così capillare e mai nessuna segnalazione o quasi…
«Il paradosso è che qui ci sono migliaia di aziende che pagano il pizzo e nessun meccanismo che premi chi denuncia, come invece per esempio c’è in Sicilia grazie anche alle associazioni di imprenditori come la stessa Confidustria o progetti come “AddioPizzo“».

Ma come è potuto succedere? C’è solo malafede in questa omertà o magari anche un’inconsapevolezza, un’ingenuità diffusa?
«È successo perché a un certo punto fare affari con la mafia è stato conveniente, soprattutto nel settore costruzioni. E questo ha portato anche a una certa voglia di non sapere».

Ora però che c’è stata Aemilia…
«Sì, il rischio è che Aemilia venga percepito come un fatto occasionale e illuda tutti che basterà una sentenza a ripulire tutto. Nell’ultimo anno, a parte di Aemilia, i giornali non hanno pubblicato altre notizie di mafia in regione. Ma Aemilia manda a processo una cosca e in Emilia Romagna ce ne sono altre quarantanove».

Gaetano AlessiTra le realtà economiche e anche sociali che escono forse peggio da questa vicenda c’è la cooperazione, penso al caso Cpl a cui dedicate un capitolo ma non solo, realtà nate solo per dare lavoro…
«Guarda la cooperativa costruttori di Argenta che affidava i suppalti della Salerno-Reggio Calabria ad aziende “affidabili”, alla coop costruttori di Bologna che ricostruì piazza Maggiore. Penso a  Manutencoop e Cns che sono appena state multate per turbativa d’asta negli appalti per le scuole. La ndrangheta quando si muove cerca i capitali e i capitali in Emilia Romagna erano quelli del blocco politico ed economico legato alle cooperative che non sono più quelle delle origini: sono aziende che fanno affari».

Avete definito Delrio “distratto”, ma cosa secondo voi dovrebbero o potrebbero fare i sindaci?
«La cosa da cui iniziare sono sicuramente gli appalti, da non fare più al massimo ribasso, e una forte limitazione degli affidamenti diretti. E anche incentivi a chi denuncia il pizzo, perché nessuno lo dice, ma tutti, o comunque tanti, lo pagano. E il contratto nazionale a chiunque lavori per l’ente comunale. Su Delrio vorrei precisare solo che certo, lui fa più notizia, ma la ‘ndrangheta a Reggio Emilia era arrivata da prima. E che è sorprendente che sindaci come Vecchi e Delrio espressioni di un partito molto presente sul territorio con i circoli, i militanti, gli iscritti, ma anche i circoli Arci e Anpi, non si siano mai accorti di chi stava portando il cemento. E mentre davano premi e facevano commemorazioni antimafia, hanno lasciato che la città fosse cementificata fino all’ultimo metro quadro».

Oltre a quelle del sindaco di Ravenna,  avete ricevuto altre critiche?
«Critiche le abbiamo ricevute dal sindaco di Ravenna, come dicevi, da quello di Finale Emilia e da Rocco Baglio, ex soggiornato speciale attualmente sotto processo. In generale devo dire che, a differenza del fumetto accolto con grande calore e dove meno si parlava di politica, questo dossier è stato accolto con grande freddezza sia dalle isituzioni, sia dalle realtà economiche. Del resto questo è un posto dove vertici di Legacoop Bologna sono indagati e nessuno ne parla (è quanto accaduto nell’indagine partita dalla denuncia di pressioni della sindaca di San Lazzaro Isabella Conti per aver bocciato un progetto edilizio, ndr). Forse di questa freddezza non c’è da stupirsi».

 

NUMERI: 239 imputati per una cosca. Ma le cosche sono 50 per 7 mafie
L’inchiesta Aemilia ha portato all’arresto e al processo di 239 imputati, quasi tutti legati alla cosca di Cutro guidata dal boss Nicolino Grande Aracri. Scrivono Gaetano Alessi e Massimo Manzoli nel primo capitolo del dossier Tra la via Aemilia e il West: «Prendete questo numero, 239 per una cosca, moltiplicatelo per le altre 50 ramificazioni criminiali presenti in regione (tra n’drangheta, cosa nostra, camorra e Sacra corona unita) ed elevatelo alle 7 mafie straniere presenti (nordafricana, nigeriana, cinese, sudamericana, rumena, ucrainia e albanese), ed eccovi l’equazione esatta che porta a dire al procuratore antimafica Roberto Pennisi: «L’Emilia Romagna è terra di Mafia». Nel dossier si parla a lungo ovviamente di Emilia, ma c’è un capitolo dedicato alla Romagna. Per Ravenna in paritcolare emerge la presenza dei Femia, coinvolti nelle macchinette per il gioco d’azzardo, a Conselice, fatto questo più volte denunciato pubblicamente proprio dal Gruppo dello Zuccherificio, anche su queste pagine.

L’antimafia in regione dopo le rivelazioni emerse dall’indagine “Aemilia”

Il giornalista Gaetano Alessi spiega gli obiettivi del dossier pubblicato con il GdZ, duramente criticato dal sindaco Matteucci

Dossier mafia AemiliaGaetano Alessi, bolognese di origini siciliane, giornalista (premio Fava 2011 e collaboratore di Articolo 21), oggi sindacalista, da vent’anni in prima linea nella lotta antimafia da volontario e nella divulgazione di questi argomenti per sensibilizzare coscienze e far luce su un fenomeno da queste parti troppo a lungo ignorato. Con la sua associazione AdEst e insieme a gruppi sparsi sul territorio, vere e proprio antenne (per Ravenna è il Gruppo dello Zuccherificio), da anni danno alle stampe e pubblicano online un dossier che assembla e riordina le informazioni disponibili sulla presenza mafiosa in regione.
L’aggiornamento del 2015 non poteva ovviamente prescindere dall’indagine Aemilia che ha portato alla sbarra decine di indagati e ha messo in luce intrecci e interessi che sembrano coinvolgere mondo economico, politico e dell’informazione. Il dossier Tra la via Aemilia e il West, storie di mafia, convivenze e affari ha suscitato le dure critiche del sindaco di Ravenna Matteucci che ha definito il documento «fanghiglia», gli autori «frange minoritarie» e le argomentazioni del loro lavoro di informazione «degenerazione estremista» (vedi articoli correlati).

Gaetano, per chi è pensato questo lavoro?
«Come tutti i nostri lavori degli ultimi sette anni, è pensato per  pubblici non istituzionali e la distribuzione cartacea coinvolgerà scuole, oratori, associazioni alle periferie della Regione, in particolare nei comuni terremotati. Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un fumetto propedeutico a questo lavoro che ha avuto un’ottima accoglienza. Ora arriva questo lavoro per continuare un percorso e seminare lì un po’ di futuro. Del resto è scritto in modo molto fruibile».

Fruibile ma dettagliato, anche per la varietà delle fonti?
«Noi raccogliamo in un anno tutto ciò che esce sulla stampa, e poi prendiamo sentenze, ordinanze di custodia cautelare, informative della Dia e mettiamo tutto insieme. Perché magari una notizia singola può sfuggire, m tutte insieme offrono un quadro molto preoccupante».

Dell’inchiesta Aemilia cosa vi ha stupito di più?
«Nulla, devo dire. Gran parte di ciò che emerge nasce dalle dichiarazione del pentito Angelo Cortese nel 2008  che noi abbiamo riportato nel primo dossier nel 2011. Ci ha meravigliati la meraviglia che ha suscitato. Da anni facciamo – da volontari –  duecento serate l’anno per raccontare tutto questo. Certo, di sicuro Aemilia adesso ha costretto tutti a confrontarsi con la propria coscienza. Nessuno può più dire che non sapeva».
Da non addetti ai lavori, tra gli elementi che più colpiscono c’è quello dell’omertà, a queste latitudini. Un’infiltrazione così capillare e mai nessuna segnalazione o quasi…
«Il paradosso è che qui ci sono migliaia di aziende che pagano il pizzo e nessun meccanismo che premi chi denuncia, come invece per esempio c’è in Sicilia grazie anche alle associazioni di imprenditori come la stessa Confidustria o progetti come “AddioPizzo“».

Ma come è potuto succedere? C’è solo malafede in questa omertà o magari anche un’inconsapevolezza, un’ingenuità diffusa?
«È successo perché a un certo punto fare affari con la mafia è stato conveniente, soprattutto nel settore costruzioni. E questo ha portato anche a una certa voglia di non sapere».

Ora però che c’è stata Aemilia…
«Sì, il rischio è che Aemilia venga percepito come un fatto occasionale e illuda tutti che basterà una sentenza a ripulire tutto. Nell’ultimo anno, a parte di Aemilia, i giornali non hanno pubblicato altre notizie di mafia in regione. Ma Aemilia manda a processo una cosca e in Emilia Romagna ce ne sono altre quarantanove».

Gaetano AlessiTra le realtà economiche e anche sociali che escono forse peggio da questa vicenda c’è la cooperazione, penso al caso Cpl a cui dedicate un capitolo ma non solo, realtà nate solo per dare lavoro…
«Guarda la cooperativa costruttori di Argenta che affidava i suppalti della Salerno-Reggio Calabria ad aziende “affidabili”, alla coop costruttori di Bologna che ricostruì piazza Maggiore. Penso a  Manutencoop e Cns che sono appena state multate per turbativa d’asta negli appalti per le scuole. La ndrangheta quando si muove cerca i capitali e i capitali in Emilia Romagna erano quelli del blocco politico ed economico legato alle cooperative che non sono più quelle delle origini: sono aziende che fanno affari».

Avete definito Delrio “distratto”, ma cosa secondo voi dovrebbero o potrebbero fare i sindaci?
«La cosa da cui iniziare sono sicuramente gli appalti, da non fare più al massimo ribasso, e una forte limitazione degli affidamenti diretti. E anche incentivi a chi denuncia il pizzo, perché nessuno lo dice, ma tutti, o comunque tanti, lo pagano. E il contratto nazionale a chiunque lavori per l’ente comunale. Su Delrio vorrei precisare solo che certo, lui fa più notizia, ma la ‘ndrangheta a Reggio Emilia era arrivata da prima. E che è sorprendente che sindaci come Vecchi e Delrio espressioni di un partito molto presente sul territorio con i circoli, i militanti, gli iscritti, ma anche i circoli Arci e Anpi, non si siano mai accorti di chi stava portando il cemento. E mentre davano premi e facevano commemorazioni antimafia, hanno lasciato che la città fosse cementificata fino all’ultimo metro quadro».

Oltre a quelle del sindaco di Ravenna,  avete ricevuto altre critiche?
«Critiche le abbiamo ricevute dal sindaco di Ravenna, come dicevi, da quello di Finale Emilia e da Rocco Baglio, ex soggiornato speciale attualmente sotto processo. In generale devo dire che, a differenza del fumetto accolto con grande calore e dove meno si parlava di politica, questo dossier è stato accolto con grande freddezza sia dalle isituzioni, sia dalle realtà economiche. Del resto questo è un posto dove vertici di Legacoop Bologna sono indagati e nessuno ne parla (è quanto accaduto nell’indagine partita dalla denuncia di pressioni della sindaca di San Lazzaro Isabella Conti per aver bocciato un progetto edilizio, ndr). Forse di questa freddezza non c’è da stupirsi».

 

NUMERI: 239 imputati per una cosca. Ma le cosche sono 50 per 7 mafie
L’inchiesta Aemilia ha portato all’arresto e al processo di 239 imputati, quasi tutti legati alla cosca di Cutro guidata dal boss Nicolino Grande Aracri. Scrivono Gaetano Alessi e Massimo Manzoli nel primo capitolo del dossier Tra la via Aemilia e il West: «Prendete questo numero, 239 per una cosca, moltiplicatelo per le altre 50 ramificazioni criminiali presenti in regione (tra n’drangheta, cosa nostra, camorra e Sacra corona unita) ed elevatelo alle 7 mafie straniere presenti (nordafricana, nigeriana, cinese, sudamericana, rumena, ucrainia e albanese), ed eccovi l’equazione esatta che porta a dire al procuratore antimafica Roberto Pennisi: «L’Emilia Romagna è terra di Mafia». Nel dossier si parla a lungo ovviamente di Emilia, ma c’è un capitolo dedicato alla Romagna. Per Ravenna in paritcolare emerge la presenza dei Femia, coinvolti nelle macchinette per il gioco d’azzardo, a Conselice, fatto questo più volte denunciato pubblicamente proprio dal Gruppo dello Zuccherificio, anche su queste pagine.

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