L’antimafia in regione dopo le rivelazioni emerse dall’indagine “Aemilia”

Il giornalista Gaetano Alessi spiega gli obiettivi del dossier pubblicato con il GdZ, duramente criticato dal sindaco Matteucci

Dossier mafia AemiliaGaetano Alessi, bolognese di origini siciliane, giornalista (premio Fava 2011 e collaboratore di Articolo 21), oggi sindacalista, da vent’anni in prima linea nella lotta antimafia da volontario e nella divulgazione di questi argomenti per sensibilizzare coscienze e far luce su un fenomeno da queste parti troppo a lungo ignorato. Con la sua associazione AdEst e insieme a gruppi sparsi sul territorio, vere e proprio antenne (per Ravenna è il Gruppo dello Zuccherificio), da anni danno alle stampe e pubblicano online un dossier che assembla e riordina le informazioni disponibili sulla presenza mafiosa in regione.
L’aggiornamento del 2015 non poteva ovviamente prescindere dall’indagine Aemilia che ha portato alla sbarra decine di indagati e ha messo in luce intrecci e interessi che sembrano coinvolgere mondo economico, politico e dell’informazione. Il dossier Tra la via Aemilia e il West, storie di mafia, convivenze e affari ha suscitato le dure critiche del sindaco di Ravenna Matteucci che ha definito il documento «fanghiglia», gli autori «frange minoritarie» e le argomentazioni del loro lavoro di informazione «degenerazione estremista» (vedi articoli correlati).

Gaetano, per chi è pensato questo lavoro?
«Come tutti i nostri lavori degli ultimi sette anni, è pensato per  pubblici non istituzionali e la distribuzione cartacea coinvolgerà scuole, oratori, associazioni alle periferie della Regione, in particolare nei comuni terremotati. Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un fumetto propedeutico a questo lavoro che ha avuto un’ottima accoglienza. Ora arriva questo lavoro per continuare un percorso e seminare lì un po’ di futuro. Del resto è scritto in modo molto fruibile».

Fruibile ma dettagliato, anche per la varietà delle fonti?
«Noi raccogliamo in un anno tutto ciò che esce sulla stampa, e poi prendiamo sentenze, ordinanze di custodia cautelare, informative della Dia e mettiamo tutto insieme. Perché magari una notizia singola può sfuggire, m tutte insieme offrono un quadro molto preoccupante».

Dell’inchiesta Aemilia cosa vi ha stupito di più?
«Nulla, devo dire. Gran parte di ciò che emerge nasce dalle dichiarazione del pentito Angelo Cortese nel 2008  che noi abbiamo riportato nel primo dossier nel 2011. Ci ha meravigliati la meraviglia che ha suscitato. Da anni facciamo – da volontari –  duecento serate l’anno per raccontare tutto questo. Certo, di sicuro Aemilia adesso ha costretto tutti a confrontarsi con la propria coscienza. Nessuno può più dire che non sapeva».
Da non addetti ai lavori, tra gli elementi che più colpiscono c’è quello dell’omertà, a queste latitudini. Un’infiltrazione così capillare e mai nessuna segnalazione o quasi…
«Il paradosso è che qui ci sono migliaia di aziende che pagano il pizzo e nessun meccanismo che premi chi denuncia, come invece per esempio c’è in Sicilia grazie anche alle associazioni di imprenditori come la stessa Confidustria o progetti come “AddioPizzo“».

Ma come è potuto succedere? C’è solo malafede in questa omertà o magari anche un’inconsapevolezza, un’ingenuità diffusa?
«È successo perché a un certo punto fare affari con la mafia è stato conveniente, soprattutto nel settore costruzioni. E questo ha portato anche a una certa voglia di non sapere».

Ora però che c’è stata Aemilia…
«Sì, il rischio è che Aemilia venga percepito come un fatto occasionale e illuda tutti che basterà una sentenza a ripulire tutto. Nell’ultimo anno, a parte di Aemilia, i giornali non hanno pubblicato altre notizie di mafia in regione. Ma Aemilia manda a processo una cosca e in Emilia Romagna ce ne sono altre quarantanove».

Gaetano AlessiTra le realtà economiche e anche sociali che escono forse peggio da questa vicenda c’è la cooperazione, penso al caso Cpl a cui dedicate un capitolo ma non solo, realtà nate solo per dare lavoro…
«Guarda la cooperativa costruttori di Argenta che affidava i suppalti della Salerno-Reggio Calabria ad aziende “affidabili”, alla coop costruttori di Bologna che ricostruì piazza Maggiore. Penso a  Manutencoop e Cns che sono appena state multate per turbativa d’asta negli appalti per le scuole. La ndrangheta quando si muove cerca i capitali e i capitali in Emilia Romagna erano quelli del blocco politico ed economico legato alle cooperative che non sono più quelle delle origini: sono aziende che fanno affari».

Avete definito Delrio “distratto”, ma cosa secondo voi dovrebbero o potrebbero fare i sindaci?
«La cosa da cui iniziare sono sicuramente gli appalti, da non fare più al massimo ribasso, e una forte limitazione degli affidamenti diretti. E anche incentivi a chi denuncia il pizzo, perché nessuno lo dice, ma tutti, o comunque tanti, lo pagano. E il contratto nazionale a chiunque lavori per l’ente comunale. Su Delrio vorrei precisare solo che certo, lui fa più notizia, ma la ‘ndrangheta a Reggio Emilia era arrivata da prima. E che è sorprendente che sindaci come Vecchi e Delrio espressioni di un partito molto presente sul territorio con i circoli, i militanti, gli iscritti, ma anche i circoli Arci e Anpi, non si siano mai accorti di chi stava portando il cemento. E mentre davano premi e facevano commemorazioni antimafia, hanno lasciato che la città fosse cementificata fino all’ultimo metro quadro».

Oltre a quelle del sindaco di Ravenna,  avete ricevuto altre critiche?
«Critiche le abbiamo ricevute dal sindaco di Ravenna, come dicevi, da quello di Finale Emilia e da Rocco Baglio, ex soggiornato speciale attualmente sotto processo. In generale devo dire che, a differenza del fumetto accolto con grande calore e dove meno si parlava di politica, questo dossier è stato accolto con grande freddezza sia dalle isituzioni, sia dalle realtà economiche. Del resto questo è un posto dove vertici di Legacoop Bologna sono indagati e nessuno ne parla (è quanto accaduto nell’indagine partita dalla denuncia di pressioni della sindaca di San Lazzaro Isabella Conti per aver bocciato un progetto edilizio, ndr). Forse di questa freddezza non c’è da stupirsi».

 

NUMERI: 239 imputati per una cosca. Ma le cosche sono 50 per 7 mafie
L’inchiesta Aemilia ha portato all’arresto e al processo di 239 imputati, quasi tutti legati alla cosca di Cutro guidata dal boss Nicolino Grande Aracri. Scrivono Gaetano Alessi e Massimo Manzoli nel primo capitolo del dossier Tra la via Aemilia e il West: «Prendete questo numero, 239 per una cosca, moltiplicatelo per le altre 50 ramificazioni criminiali presenti in regione (tra n’drangheta, cosa nostra, camorra e Sacra corona unita) ed elevatelo alle 7 mafie straniere presenti (nordafricana, nigeriana, cinese, sudamericana, rumena, ucrainia e albanese), ed eccovi l’equazione esatta che porta a dire al procuratore antimafica Roberto Pennisi: «L’Emilia Romagna è terra di Mafia». Nel dossier si parla a lungo ovviamente di Emilia, ma c’è un capitolo dedicato alla Romagna. Per Ravenna in paritcolare emerge la presenza dei Femia, coinvolti nelle macchinette per il gioco d’azzardo, a Conselice, fatto questo più volte denunciato pubblicamente proprio dal Gruppo dello Zuccherificio, anche su queste pagine.

SABBIONI BILLB SYBY 18 03 – 07 04 24
SAFARI RAVENNA BILLB 14 03 – 03 04 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24