Tra arte e archeologia, Tresoldi e il suo spazio cartesiano scolpito dalla luce

Parla il giovane talento milanese, tra gli artisti più influenti under 30 secondo “Forbes”, in mostra a Forlì

Edoardo Tresoldi Portrait © Fabiano CaputoNel 2017 Forbes lo include tra i 30 artisti europei under 30 più influenti e, onestamente, non capita tutti i giorni di imbattersi in un giovane come Edoardo Tresoldi (Milano, 1987) che, a soli trent’anni, ha saputo reinventare un tempo e uno spazio in cui arte contemporanea e archeologia si possono sfiorare generando qualcosa di totalmente inedito. Questo tempo e questo spazio si sono incontrati nel 2016 in occasione del restauro della Basilica paleocristiana di Santa Maria di Siponto, a Foggia, realizzata con una “gabbia” metallica in grado di sintetizzare visivamente linguaggi appartenuti ad epoche e stili lontanissimi, come l’antico e il moderno.

Di formazione eclettica e vocazione internazionale, sensibile al paesaggio e allo spirito dei luoghi che attraversa, Tresoldi pensa che l’arte pubblica debba essere imprescindibilmente diretta e accessibile e comunicata a tutti senza elitarismi. Oggi l’artista fa parlare di sé anche in occasione di una collaborazione internazionale in due tempi fortemente voluta da DZ Engineering e dalla Fondazione Dino Zoli a cura di Nadia Stefanel. Nel settembre scorso lo abbiamo infatti visto a Cargo 39 (Singapore) con CUBE TEMPLE per il Gran Premio di Formula 1 e ora (dal 13 ottobre al 13 gennaio 2019) sarà alla sede forlivese della Fondazione Dino Zoli con La Basilica di Siponto. Un racconto tra Rovine, Paesaggio e Luce che inaugura sabato 13 ottobre alle 18.

Dalle parole dell’artista, uno sguardo sulla genesi dei progetti che hanno saputo emozionare fitte platee di visitatori, definendo anche un nuovo corso nella storia del restauro.

Edoardo Tresoldi Basilica Di Siponto © Roberto Conte #1

Edoardo Tresoldi – Basilica Di Siponto

Possiamo definire la mostra forlivese come una sorta di “dietro le quinte” che, partendo da Siponto, ci accompagna fino ad Abu Dhabi e a Singapore? Cosa accomuna e cosa differenzia questi progetti?
«Sicuramente la ricerca incentrata sulla Materia Assente e sulla dimensione eterea dell’architettura: ma mentre Siponto, l’opera che mi ha lanciato a livello internazionale, si relaziona con la storia e contiene in nuce quello che ho definito la Rovina Metafisica, Archetipo, e di conseguenza il Cube Temple a Singapore, sono l’espressione del mio spazio cartesiano, la rappresentazione di una proiezione mentale».
Che ruolo ha la luce e in quale modo traduce gli stati d’animo?
«Sia quella naturale che quella artificiale sono componenti fondamentali nelle mie opere: scolpiscono e rendono tangibile la leggerezza della rete metallica. Gli agenti atmosferici consentono di vivere le installazioni secondo diversi stati d’animo, mentre la luce artificiale accentua le composizioni architettoniche ora in modo sospeso, ora in modo più drammatico, rendendole spazi maestosi, ma comunque intimi e delicati. La luce segna anche la continuità della mia collaborazione con DZ Engineering e Fondazione Dino Zoli, che dopo l’illuminazione della Basilica di Siponto prosegue con il progetto a Singapore».
Qualcosa sulle tecniche e i materiali: come ha avuto l’intuizione della rete metallica? Quali sperimentazioni sono state necessarie? Quali i vantaggi porta questo tipo di intervento?
«Ho iniziato a usarla quando lavoravo a Roma come scenografo per il cinema e la Tv: veniva impiegata per diverse realizzazioni, soprattutto negli scheletri delle quinte sceniche. Ho subito compreso il suo grande potenziale – la trasparenza – nell’esprimere il dialogo tra opera d’arte e contesto circostante, che è quello che mi interessa raccontare attraverso le opere».

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