Nell’arca del Met la trama di un’identità

Valore, permanenza, obsolescenza le tre parole d’ordine per la collezione di Santarcangelo

Una delle foto in mostra al met

Non è un caso che il direttore del Met di Santarcangelo, Mario Turci, si sia formato anche a Parigi:in questo angolo di Romagna è come se soffiasse un po’ di vento della Senna. Si sente l’odore interrogativo di Augé, la voce non cristallina di Baudrillard, il rumore di un catalogo di George Perec… Il Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna esiste dalla metà degli anni ’90, quando ormai la sparizione delle tradizioni popolari era da un pezzo stata celebrata, sostituita dai riti collettivi. Ma questo non è propriamente un museo delle tradizioni (ci sono anche quelle, ma come in filigrana). È una vera e propria arca degli oggetti che rappresentano un mondo secolare, in parte scomparso, in parte vissuto come trama dell’identità di un territorio, quello della Romagna meridionale, stretto tra il mare e la collina. Valore, permanenza, obsolescenza sono le tre parole d’ordine che compongono questa collezione, suddivisa in due grandi capitoli narrativi, Digressioni e Cumuli. Esposti sia all’esterno che all’interno, costituiscono uno dei poli museali di questa località conosciuta internazionalmente per essere la sede di uno dei festival teatrali più corrosivi che partì proprio dal dialogo della piazza  con il folclore locale. Erano gli anni ’70, era appena esploso il ’68 anche nell’Italia che si era risvegliata da poco operaia, ma aveva abbandonato da poco la campagna.

MetLa direzione di Turci ha dato un corpo documentale al grande naufragio. In questo galleggiare dello spettatore nell’arca del MET può incontrare Sguardi, le foto storiche di volti di uomini e donne, eredità dell’importante archivio fotografico che ci racconta della vita quotidiana di chi è passato, senza lasciarci un nome sul nome di una via, ma appunto uno sguardo di passaggio. E poi In vetro, i contenitori di vetro con gli oggetti di tutti i giorni, che come ammiccamenti ai vasi con la formalina che contengono nei musei di scienze naturali ciò che è eccezionale, conservano quello che ha fatto parte dell’uso comune delle genti nei gesti della vita. Poi ovviamente le Intrecciature, che testimoniano quel lavoro antico del cesto, Nella mente del sellaio, Per via (che sempre si è stati in movimento) … Ma per rompere la percezione fossilizzata del museo puramente conservatore e non interrogante, ecco il capitolo Digressioni: sono teche che sottolineano i legami e la discontinuità tra passato e presente. Nel lavoro, per esempio, si testimonia il passaggio dalla manualità all’informatizzazione, le miserie e le glorie della crusca, passata da soggetto di povertà a signora presa in pillole, i falsi della paglia, che evocano l’originale, presente in mostra, ma riproposto anche nelle moderne imitazioni.

Un museo quindi del contemporaneo, dei quesiti contemporanei, che però contiene anche le testimonianze salvate di un mondo frantumato e oggi ricomposto spesso in plastica o per fake. La questione degli oggetti, della loro possibilità di esserci e sparire, è una delle chiavi di interrogazioni di questo prezioso luogo, tanto da diventare anche soggetto di un particolare progetto di museo virtuale, quello di Oggetti obsoleti del Contemporaneo. Chiunque può contribuire proponendo un oggetto in via di estinzione: dal walkman al floppy disk, passando per il pantografo e, ahimé, la macchina fotografica a rullino, ci sono i nuovi fossili sistematizzati per ora in forma digitale. Che tutto può diventare velocemente tradizione.

Si tratta di una istituzione molto attiva nel tessere relazioni con il territorio, luogo in cui avvengono molti degli eventi culturali del luogo, con un programma ampio di didattica e con orari di accesso personalizzabili (basta chiamare qualche ora prima anche in orari non previsti). A questa si affianca dal 2005 Musas, il museo storico archeologico. Se ci si chiede come mai molti intellettuali provengono proprio da queste parti, forse una capatina al museo qualche spiegazione la dà: anche qui, oltre all’esposizione di importanti oggetti d’arte come la Madonna con il bambino di Luca Longhi, prevale un interesse più ampio, che sconfina dallo scrigno dei preziosi, per ampliare l’orizzonte alla testimonianza degli oggetti.

«Ma davvero agli uomini interessa qualcos’altro che vivere?», si chiedeva Pasolini in apertura di Comizi d’amore, la sua personale indagine antropologica sull’amore. E forse agli oggetti si potrebbe chiedere se interessa qualcos’altro che essere usati, o perlomeno visitati, per vivere.

Musas, via della Costa 26,tel. e fax 0541/625212 (orari apertura museo), Met Via Montevecchi, 41; tel. e fax 0541/624703
Info: www.museisantarcangelo.it

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