Raphaël, tra pathos, solennità e antiretorica

Fino al 25 aprile una mostra alla Rocca Malatestiana di Longiano curata da Giuseppe Appella

Raphael

Un’opera in mostra alla Rocca Malatestiana di Longiano fino al 25 aprile

Una delle grandi protagoniste dell’arte del Novecento italiano è al centro della grande mostra antologica “Antonietta Raphaël. Disegni, sculture, dipinti e opere grafiche 1925-1974”,  aperta sino al prossimo 25 aprile negli spazio della Rocca Malatestiana di Longiano, alla Fondazione Balestra, con curatela dello storico dell’arte Giuseppe Appella, autore del Catalogo Ragionato delle sculture dell’artista per le Edizioni Allemandi.
Si tratta di un’occasione unica per incontrare le opere di un’artista straordinaria, paragonabile per molti aspetti a figure di artiste come Frida Kahlo o Georgia O’Keefe. Definita dal critico d’arte Roberto Longhi «sorella di latte di Marc Chagall», la Raphaël arrivò a Roma nel 1925. Era fuggita con la madre e gli undici fratelli da Vilnius a Londra, giovanissima, dopo la morte del padre rabbino; qui si era diplomata in pianoforte, mantenendo tutta la famiglia con le lezioni di solfeggio. Poi, nel ‘24, un viaggio la porta prima a Parigi, poi a Roma, luogo che da tappa di un probabile Grand Tour si trasforma nella” Casa del Cuore”. La città colpisce la giovane artista con i suoi colori e il suo fascino mediterraneo; lì incontra anche Mario Mafai, che diventerà suo compagno d’arte e di vita e padre di tre adoratissime figlie (tra cui la compianta Miriam Mafai).
Prima pittrice e disegnatrice poi, a partire dal ’33, anche splendida scultrice,  ma anche donna coltissima, appassionata, anticonformista (in osservanza alle radici ebraiche in casa Mafai si accendevano le candele della Menorah, ma in modo totalmente anticonvenzionale: recitando poesie di Montale o Ungaretti al posto delle preghiere).
Insieme al compagno e  a Scipione, Pirandello, allo scultore Mazzacurati, Antonietta Raphaël fu anima del cenacolo artistico definito da Longhi “scuola di Via Cavour” e successivamente Scuola Romana, che, più che una vera scuola, definì un clima e una ricerca artistica accomunata da una decisa infrazione dei toni classicheggianti e monumentali del periodo e vicina ad atmosfere espressioniste, imbevute in un tonalismo in chiave spesso lievemente simbolista.
Quel piccolo cenacolo di artisti era aderente a un’invenzione trasfigurata e lirica della vita quotidiana, attraverso un linguaggio appassionato e libero, sottilmente visionario e romantico. In quel cenacolo Raphaël  si distingueva, tanto che Longhi scrisse a proposito dei suoi lavori nel ’29: «Un’arte eccentrica e anarcoide che difficilmente potrebbe attecchire fra noi, ma che pure è un segno da notarsi, nel costume odierno». Quel «difficilmente potrebbe attecchire da noi» del pungente Longhi sottolineava la distanza siderale di Raphaël,  e di tutto il gruppo, dall’esasperazione del formalismo dell’arte coeva.
Per lo stesso motivo vale la pena vedere questa mostra, anche novanta anni dopo l’affermazione di Longhi: perché anche in questo momento di full immersion dell’arte di inizio secolo, è prezioso raccontare anche l’altra parte di quegli anni, quella in contrasto, forte e assoluto, come visione, utopia ed esperienza del mondo. Dalla pittura visionaria, fiabesca e yiddish del primo periodo romano, Antonietta dal ’33 passò, si diceva, alla scultura, nella quale filtrò agli esordi, con un linguaggio sempre personalissimo, la lezione del grande Aristide Maillol per poi scivolare verso forme più libere e pure. Uno dei temi che, forse per rispecchiamento esistenziale, la affascinò di più fu la maternità, ma anche la figura umana, spesso femminile ( tantissimi i ritratti delle tre figlie Miriam, Simona e Giulia), raccolta in un momento di solitudine. La materia plastica di Raphaël è piena e vibrante, antiretorica eppure densa di una solennità tutta umana, arcaica e sensoriale, alle volte violenta e tragica, alle volte teneramente dolce, morbida ed epidermica, sempre ricca di pathòs, vicina senz’altro al linguaggio di Arturo Martini nella scarna e potente sacralità. Oltre alle quindici sculture che vanno dal  1933 al 1971, in mostra sono presenti,altri cahier de vie del lungo viaggio dell’artista: cento disegni datati 1925-1974,  il corpus completo delle opere grafiche  datate 1948 – 1974 e quattro dipinti.

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