Markaris a Scrittura Festival: «La letteratura può essere un mezzo di resistenza»

Il noto autore e sceneggiatore greco a Ravenna. «Se l’Unione Europea dovesse sparire vivremmo una vita molto più difficile. Senza social media populismo e destra non si sarebbero così espansi»

Markaris Montanari

Markaris in una foto di Maurizio Montanari

Ospite di ScrittuRa Festival a Ravenna il 13 maggio a Palazzo dei Congressi alle 21, Petros Markaris è sceneggiatore e autore di teatro, ha collaborato con Theo Angelopoulos a numerose sceneggiature, ed è l’inventore di Kostas Charitos, personaggio seriale protagonista di dieci romanzi che attraverso le sue indagini ha raccontato la capitale ellenica in questi anni. Lo intervistiamo alla vigilia dell’arrivo in libreria del nuovo libro di Charitos, di cui sentivamo un gran bisogno, L’Università del crimine (La nave di Teseo, traduzione di Andrea Di Gregorio). Pochi personaggi più di lui ci hanno aiutato in questi anni a capire da dentro la crisi della Grecia e quindi, in qualche modo, di tutta l’Europa.

MarkarisCom’è la Grecia di Charitos in questo nuovo romanzo? Quale Atene troveranno i lettori?
«L’ultimo romanzo era basato su un’ipotesi di lavoro: “Cosa succederebbe se i soldi tornassero in Grecia?”. Questo romanzo è basato sulla realtà, che è anche la dura realtà della crisi. I cambiamenti in questo libro non sono cambiamenti della città, ma della famiglia di Charitos e nella carriera di Charitos».
Nell’ultimo romanzo era chiarissimo il confronto generazionale e le aspettative di quelle più giovani. Viviamo in un tempo senza speranza per il futuro? E come possiamo affrontare questa situazione?
«I giovani in Grecia sono in una situazione disperata. Non riescono a trovare lavoro e quando lo trovano sono terribilmente sottopagati. I dati mostrano che cinquecentomila giovani greci hanno già lasciato la Grecia in cerca di lavoro altrove. Temo che la situazione continuerà non solo per via della crisi in Grecia, ma anche per via delle condizioni create dalla globalizzazione. I giovani degli altri paesi europei non affrontano probabilmente condizioni disastrose come in Grecia, ma non stanno comunque molto meglio».
Il nostro amato Mediterraneo, quello che abbiamo sempre considerato la culla della civiltà occidentale, è diventato una tomba per tanti innocenti la cui sola colpa era cercare di scappare dalla guerra e dalla miseria. Come è potuto accadere? E come pensa che gli storici ricorderanno questo periodo?
«Viviamo in un’epoca di ipocrisia. Il calvario nei paesi del Medioriente è stato iniziato dai poteri e dalle democrazie occidentali. Gli Usa e il Regno Unito in Iraq, gli Usa e la Francia in Libia. L’occidente è responsabile della tragedia della Siria. Sostenevano l’opposizione contro Assad ma l’hanno abbandonata al suo destino. Quello è stato il punto di inizio del problema dei rifugiati di oggi. Ma adesso ci proclamiamo innocenti e abbandoniamo i rifugiati al loro destino. Siamo onesti. I paesi della Ue sarebbero felici se Grecia e Italia fossero dichiarati come bacini per rifugiati e loro fossero lasciati in pace. Viviamo nell’epoca di Ponzio Pilato».
L’ha sorpresa il modo in cui la Ue ha stretto accordi con Erdogan per la frontiera turca?
«No, non mi ha per niente sorpreso. Del resto la Turchia sta gestendo quasi quattro milioni di rifugiati. Fino a quando i paesi europei, con l’eccezione di Italia, Grecia, Germania e Svezia, costruiranno muri per importare ai rifugiati di entrare nei loro paesi, non hanno altra scelta che un patto con la Turchia».
E cosa pensa della situazione oggi in Siria, e di come si sta muovendo in particolare Trump?
«La Siria è l’esempio più disastroso, ma non c’è solo la Siria, il problema riguarda tutte le primavere arabe e in particolare piazza Tahrir. Le democrazie occidentali hanno applaudito le rivolte ma poi hanno lasciato le persone di questi paesi al proprio destino. Non ho dubbi sul fatto che Assad sia un dittatore sanguinario. Non ho il minimo dubbio che Saddam Hussein fosse un dittatore assetato di sangue. Ma Al Sisi in Egitto non è un dittatore? Qual è la differenza tra Al Sisi e Mubarak, che fu deposto dalla primavera araba? Ma l’Occidente non spreca una parola sulla situazione in Egitto, perché Sisi è un alleato dell’Occidente e di Israele».
L’Europa è ancora il posto in cui davvero vogliamo vivere? Questa Europa?
«L’Europa sta affrontando enormi problemi senza che ci sia la volontà dei paesi della Ue di affrontarli e risolverli. Il problema principale di questi problemi è il declino dei partiti del sistema parlamentare in molti paesi Ue. La democrazia è un sistema e ha bisogno per sopravvivere dei partiti del sistema parlamentare. Fingere che tutto vada bene nell’Unione europea e che tutto vada come sempre è molto pericoloso in questo periodo insolito. Tuttavia, ho ormai 81 anni e in questi anni sono stato costretto ad affrontare una semplice verità più e più volte: la gente in genere capisce cosa aveva quando la perde. Sarà quello che accadrà agli europei se la Ue dovesse sparire. La vita non sarà più facile senza l’Unione europea, sarà estremamente più difficile».
Nel mondo interconnesso dei social di oggi, si trova d’accordo con Umberto Eco quando diceva che Facebook ha dato diritto di parola a legioni di imbecilli che prima potevano parlare solo al bar? O è invece una grande occasione per aumentare la conoscenza reciproca?
«Sono perfettamente d’accordo con Umbero Eco. Senza social media il populismo e l’estrema destra non si sarebbero mai espansi fino a questo punto».
E in questo mondo, a cosa serve ancora scrivere romanzi?
«La letteratura può essere un mezzo di resistenza. Se la usiamo per porre le domande giuste e obbligare il lettore a rispondere e a pensare un passo oltre».
Un’ultima curiosità. Torna a Ravenna dopo qualche anno. Che ricordo ha di questa città occidentale e bizantina al tempo stesso?
«Per me quella visita è stato un momento di gioia e di grande emozione per una persona come me, nata e cresciuta a Istanbul, una città dalle profonde radici bizantini. Non vedo l’ora di tornare a Ravenna e spero di avere un po’ di tempo per passeggiare per la città e tornare a visitare le chiese».

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