Apologia del Sanremo contemporaneo

Festival Sanremo 2022Sanremo è, nelle parole degli organizzatori, il Festival della canzone italiana. Facile, no? Ogni anno per cinque giorni un gruppo di specialisti della canzone italiana, selezionati secondo certi criteri, si sfidano su un palco, per decretare un vincitore a cui spettano la gloria e – beh – un pochino di esposizione mediatica. Detto questo, che cos’è la “canzone italiana”? È una domanda a cui Sanremo non ha avuto molta facilità a dare risposta, ed è sul dare una risposta a questa domanda che si è fondata la rinascita di un festival a cui, non molto tempo fa, eravamo tutti pronti a fare il funerale.

Pippo Baudo Sanremo 2008

Pippo Baudo nel corso del suo ultimo Sanremo, nel 2008

Balzo indietro di 14 anni. È il primo marzo del 2008 e la sera andrà in onda la puntata finale del 58esimo Festival di Sanremo, ma ai vertici Rai si discute furiosamente e qualcuno è sulla griglia. Sono arrivati i dati Auditel: la serata precedente ha un umiliante share del 25,8%, ed è stata addirittura battuta negli indici d’ascolto dalla quinta puntata deI Cesaroni, su Canale 5. La rete ha puntato tutto sulla tradizione e ha perso. L’edizione precedente aveva visto il ritorno di Pippo Baudo, e quindi del classicismo sanremista più osservante, dopo qualche anno di relativa crisi della franchigia. Aveva avuto ottimi ascolti e sembrava essere la strada giusta da battere. Non lo era. La sera del primo marzo 2008 Pippo Baudo sale per l’ultima volta sul palco di Sanremo come presentatore del Festival.

Marco Carta Sanremo 2009

Marco Carta in trionfo al Festival del 2009

Nel 2009 torna in sella Paolo Bonolis. È un’edizione di assestamento e in cui il principale elemento di novità è l’entrata in gara di Marco Carta, freschissimo vincitore di un talent show, Amici di Maria De Filippi (la quale presenterà la finale assieme a Bonolis), oltre a una sezione Nuove Proposte quanto mai vivace (per capirci: vince “Sincerità” di Arisa, secondo posto “Come Foglie” di Malika Ayane). Sembra poco o niente, ma Carta vince – appena sopra a “Luca Era Gay” e quindi Povia, una delle massime espressioni del sanremismo dei primi duemila, quando ancora Sanremo voleva creare una classe intellettuale di cantanti che lo potessero abitare senza mettere a repentaglio la superiorità del contenitore sul contenuto (i Meneguzzi, i Tricarico, i Renga, le Tatangelo, le Dolcenera).

Quella dei fuoriusciti dai talent sembra la partita decisiva del Sanremo di quegli anni. Sono anni in cui la discografia fa seri ragionamenti sul bisogno di investire tanti soldi su questi cantanti a cui va inventato un disco per battere sul ferro. Per un paio d’anni sembra quasi che il Teatro Ariston stia per diventare una succursale di Amici: nella terna che conquista il podio del 2010 sono presenti due cantanti usciti da talent, Mengoni e Valerio Scanu: ma c’è più classicismo sanremese in questi nomi, ancora pensati come corpi estranei, che nel resto del programma. Nello stesso anno l’orchestra lancia via gli spartiti e inscena una gazzarra alla notizia che Malika Ayane è finita fuori dal podio. Piccoli gesti di una quotidianità festivaliera diversa, apolitica e pre-memetica. Perché nel frattempo Sanremo è uscito dallo schermo del televisore, e i dati Auditel non sono più l’extrema ratio. Twitter è la testa di ponte di un nuovo concetto, di commento – o meglio complemento – in tempo reale alla diretta televisiva. Gli eroi del Sanremo social sono personaggi di nicchia, con più credibilità e magari meno copie vendute, ma in molti hanno l’impressione che sia in giro per l’etere che si disputa la vera partita. Così, mentre gli analisti si adattano a bofonchiare un vae victis di circostanza e certificano l’avvenuta metamorfosi del Festivàl nell’ennesimo territorio di caccia di Maria De Filippi, il Sanremo Contemporaneo inizia a svelarsi.

L’edizione del 2011 viene stravinta da un Roberto Vecchioni in forma smagliante. Conduce Morandi, che ha un’idea musicale forte: andiamo a vedere cosa c’è in giro e mettiamolo sul palco. Sono gli anni in cui la quota indie è ancora rappresentata da gruppi alla fine del loro percorso (Marlene Kuntz) o già morti (La Crus, riportati in vita con una gabola discografica); in cui la vecchia e la nuova guardia competono ad armi pari e guardandosi con rispetto. Pierdavide Carone e Lucio Dalla gareggiano in coppia. È cambiato il clima. Il festival impazza sui social, inizia a investire seriamente in #hashtag e promozione laterale. Il moltiplicarsi di analisti garantisce sciami di critiche e applausi, uno via l’altro, niente di troppo stringente.

Prima Serata Del 63esimo Festival Della Canzone Italiana

Fabio Fazio a Sanremo nel 2013 con Luciana Littizzetto

L’edizione Fazio porta la musica a un livello successivo, nel quale si può essere impegnati senza che arrivino necessariamente i leghisti a rompere le scatole. Ritorna il rap, arriva perfino un venticello di EDM (Bob Rifo è sul palco con Gualazzi in una improbabile accoppiata che manca la vittoria per un soffio). La seconda edizione Fazio sembra essere in crisi, gli ascolti fanno fatica, e l’arrivo di Carlo Conti annuncia un cambio di rotta verso il tradizionalismo. Ma già per il Conti 2 ci sono rapper come Clementino e Rocco Hunt e se la giocano con serietà, in discorsi che esulano quasi del tutto dalle dinamiche di quello che in Italia chiamiamo impropriamente trash (inteso come il brutto che partecipa a Sanremo sapendo di essere tale). Persino lo sberleffo, il comico in gara (un drammatico punto debole del festival che infesta il concorso dagli anni ottanta) è praticamente irrintracciabile a parte qualche edizione in cui Elio torna a nelle vesti di un Carmelo Bene del pop. Cosa rimane? La musica. E nelle edizioni più recenti abbiamo ad esempio artisti di estrazione indie/alternative che pascolano per il festival come concorrenti e (soprattutto) autori, che a volte sfiorano il premio (Lo Stato Sociale) e fanno numeri senza senso dopo il festival (Colapesce/Di Martino).

In un contesto del genere si può pensare in grande. Vincono personaggi che un decennio prima avrebbero occupato la zona retrocessione: Mahmood, Stadio, Maneskin. Tutto questo ha aiutato una diversa percezione del Festival, che oggi è seguito con più passione dai musicofili che dal pubblico generico. Il musicofilo non guarda Sanremo in cerca di squarci sul futuro della musica, certo. Ma non lo evita più, se non in certi casi, e quando lo guarda non ha più quell’atteggiamento dello snob che insegue un guilty pleasure e si lava le mani col sapone dopo averlo toccato (un atteggiamento che invece continua a vedersi – ad esempio – nei commenti live all’Eurovision Song Contest). Facciamo il tifo per le canzoni che ci piacciono, tifiamo contro le canzoni che odiamo.

Mahmood Blanco

Mahmood e Blanco sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo

E così arriviamo all’ultima edizione, che al momento ammetto di aver trovato molto deludente in termini di qualità delle canzoni in gara. Ma a volte occorre accettare che non tutte le ciambelle vengon fuori col buco, e anche le canzoni deludenti sono cantate in gran parte da artisti che salgono sul palco con un atteggiamento rispettoso, la voglia di fare benissimo e -davvero- nessuna sicurezza che vada bene. In un contesto televisivo che ha fatto tutto quel che serviva affinché Mahmood e Blanco potessero giocarsela alla pari con Massimo Ranieri, e una volta usciti da quel teatro ognuno farà la sua strada.

In un mondo dove il Festivalbar è morto e sepolto, e si dibatte con regolarità la crisi dei talent show, Sanremo prospera nell’immaginario popolare italiano come negli anni in cui una buona performance all’Ariston ti faceva vendere milioni di copie. Per una volta, onore al merito di chi l’ha portato ad essere quello che è oggi.

* Francesco Farabegoli scrive di musica su “Rumore” e pubblica la newsletter “Bastonate per Posta”

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