Ottavia Piccolo e la scelta del contemporaneo

La grande attrice in scena con Enigma: «Storia emblematica di quello che ci sta accadendo»

Ottavia Piccola in “Enigma”

È una delle attrici più raffinate del teatro e del cinema italiano. Ottavia Piccolo calcò per la prima volta il palcoscenico che aveva appena undici anni, già ai vertici del teatro con Luigi Squarzina. Da quel giorno non ha più interrotto la sua lunga e prestigiosa carriera di attrice. Ora porta in scena, accanto a Silvano Piccardi, Enigma, niente significa mai una cosa sola un altro testo di Stefano Massini, il più noto drammaturgo italiano contemporaneo con cui collabora da molti anni. Sarà in scena il 10 e l’11 marzo al teatro Binario di Cotignola.

Il sottotitolo di Enigma è “Niente significa mai una cosa sola” cosa significa?
«Tutto quello che raccontiamo sembra una cosa, ma poi è un’altra. Lo spettacolo è concepito in frammenti e il pubblico è avvertito da una scritta che “i personaggi mentono, sapendo di mentire”. Nel corso della storia si dipana questo enigma. Due personaggi si rincontrano casualmente per un piccolo incidente e di lì scopriamo chi sono».
Si tratta di un enigma che ha a che fare con le loro vite, ma anche con la Storia con la S maiuscola.
«Esatto. La storia si svolge adesso, venti anni dopo la caduta del muro di Berlino, entrambi i personaggi vivevano nella Belino Est, nella DDR. La cosa interessante oltre all’incontro di queste due persone, è lo spaesamento di due persone che hanno vissuto per 40 anni in un regime, in una società fatta di certezze, vengono a perdere le loro convinzioni. È emblematico di quello che sta accadendo a noi oggi, anche senza aver cambiato forma di governo, abbiamo perso le nostre certezze. In questo senso ci riguarda tutti».
Da diversi anni si cimenta con la drammaturgia contemporanea italiana, una cosa non comune per gli attori della sua generazione, come mai?
«Da 16 anni ho deciso di dedicarmi a questo tipo di scrittura. Con Massini ho una collaborazione decennale. Penso che quando è ben scritto un testo contemporaneo aiuti a trasmettere una storia più facilmente che un testo scritto in altri periodi. Con Massini c’è una simbiosi, perché ritengo i suoi testi necessari. È un drammaturgo che riesce a cogliere dalle cose che succedono intorno a noi una lettura universale».
Molti suoi colleghi però preferiscono confrontarsi con i classici e i testi contemporanei che si vedono in scena sono una piccola parte…
«I classici ovviamente sono fondamentali, per la nostra storia e per la nostra visione del mondo. Non sono contro i classici, ci sono molti testi classici che ho già fatto con grandi registi. Il mio passato lavorativo mi ha riempito di cose bellissime. Ora preferisco guardarmi intorno. Un testo contemporaneo non deve parlare di attualità, perché l’attualità in teatro sarebbe come leggere un giornale di ieri, non servirebbe a nulla, ma deve parlare della contemporaneità. Capisco che molti colleghi siano restii al contemporaneo perché chi si occupa della distribuzione degli spettacoli nei teatri ti dice “ma perché non fai un bel Pirandello? O un bel Goldoni?”. Per carità, sarebbe bello averne di fatti bene. Sottolineo fatti bene. Se io devo fare Goldoni solo perché si vende meglio preferisco stare a casa».
Ha debuttato in teatro che era solo una bambina, com’è vivere una vita intera sul palcoscenico?
«Non lo so perché io di vita ho solo questa e non saprei paragonarla con altre. A me è piaciuta molto. Sul palcoscenico mi sento bene, sul set sono felice. È il mio lavoro e non sono riuscita mai a pensare a nient’altro. Sono stata molto fortunata perché ho lavorato sempre con grandi registi, colleghi e drammaturghi. Per me è stato normale così, capisco che non lo sia per tutti. Ho cominciato per gioco ed è rimasto il gioco della mia vita».
Lei ha lavorato con molti dei più grandi registi della nostra storia come Visconti, Streheler, Ronconi, a quale è rimasta più legata?
«Da ognuno ho cercato di imparare e rubare qualcosa. Quello con cui sono cresciuta di più è stato Streheler. Ho fatto due spettacoli con lui, nel primo avevo quindici anni, e non capivo molto di quello che mi succedeva, il secondo fu il Re Lear che fu uno spettacolo che fece epoca. Facemmo 365 repliche, ha attraversato la mia vita in modo profondo. Questo mestiere si impara solo facendolo. Le scuole sono fondamentali ma non servono a nulla se non ci si cimenta. Ho appena compiuto 56 anni di teatro, sono stata molto fortunata».
Al cinema e in teatro ha avuto compagni molto diversi tra loro come Alain Delon e Adriano Celentano, con quale ha lavorato meglio?
«Sul palco ho fatto molti spettacoli con Gabriele Lavia, è stato uno dei compagni più attenti. Ora è molti anni che non lavoriamo più assieme. Ma mi sono sempre trovata bene con tutti. Mi piace stare tranquilla quindi cerco sempre di creare un bel clima nelle prove. Le tournée sono come fare il militare. Si sta tutti assieme e per qualche mese si vive in un’altra realtà. Recentemente ho fatto due anni in tournée con 7 minuti. Eravamo sette donne ed è stato come stare in gita scolastica, dove io ero la professoressa, vista l’età anagrafica. Da ognuna di loro ho imparato qualcosa ed è stato molto divertente».
Cosa direbbe a una giovane attrice che si affaccia ora sul mondo del teatro?
«Direi di pensarci molto, molto, molto bene, prima di infilarsi in questo meraviglioso e complicato mestiere. Sono momenti molto difficili per il teatro. Io sono fortunata come continuo a dire, perché ormai sono fuori dai giochi, e anche se sto ferma un anno non succede niente, ma per un giovane non è così. Chi inizia oggi deve essere proprio sicuro che questa è la passione della sua vita, perchè andrà incontro a molte difficoltà. Però se questa è la sua passione troverà anche a molte soddisfazioni».

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