Chi si ricorda della capitale?

Proprio in questi giorni è stata nominata la Capitale italiana della cultura 2018, con i nostri vicini di Comacchio in trepidante attesa, essendo finiti tra i dieci finalisti. A spuntarla, per la cronaca, è stata invece Palermo. E chissà, magari in Sicilia andrà meglio che a Ravenna, che capitale italiana lo è stata nel 2015, nell’indifferenza dei più, registrando oltretutto a fine anno pure un calo di presenze turistiche. La scelta fu quella di investire infatti buona parte del milione di euro di “bonus” statale in interventi infrastrutturali necessari indipendentemente da quel titolo, ottenuto più che altro come sorta di premio di consolazione dopo l’estenuante percorso di candidatura a Capitale europea della cultura 2019, fermatosi sul più bello. Un percorso lungo e in grado di coinvolgere tante energie, di far collaborare operatori culturali verso un orizzonte comune, come mai prima. Non senza polemiche, ovviamente, in una città come Ravenna sempre più divisa in due. Ma lasciando da parte meriti e colpe, pregi e difetti di quel progetto, la sfida (scritta nero su bianco anche nel dossier consegnato, diciamo così, all’Europa) era quella di portare avanti quelle intenzioni e alcuni progetti strategici pensati per il 2019. In una sorta di piano B consegnato alla città prima del commiato finale all’indomani della sconfitta (o mancata vittoria), i progetti su cui puntare furono inseriti in un vero e proprio documento dai membri dello staff della candidatura (del tutto estranei oggi alle amministrazioni locali, fatta eccezione per l’ex coordinatore Cassani, finito nella segreteria dell’assessore al Turismo della Regione, non proprio il massimo per un “uomo di cultura”) con tanto di programmazione anno per anno (il 2016 doveva essere quello di “Ravenna città europea dello sport”, che se ne sia accorto qualcuno?). Andandolo a rileggere ora viene da sorridere. E non solo per l’insopportabile abuso di termini  in inglese. Ma per i progetti che in realtà mai si realizzeranno (tra le poche eccezioni la messinscena della Divina Commedia da parte delle Albe…) a causa anche di operatori culturali che pare abbiano perso slancio (senza oltretutto veri ricambi generazionali in vista) e di un’Am­ministrazione che non sembra in linea con quelle strategie tutte rivolte alla multiculturalità, all’internazionalizzazione e alle nuove tecnologie, soprattutto in ambito culturale. E poi c’era questo auspicato rilancio della Darsena all’insegna del riuso degli edifici industriali dismessi. Un sogno che invece non si realizzerà mai, con la Darsena finita incidentalmente tra le priorità della nuova Amministrazione solo per la necessità di consegnare un bando in fretta e furia, senza alcuna idea davvero chiara di riqualificazione all’insegna della cultura. Ci mancherebbe altro…

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