Gli impianti sportivi, il peperone e il realismo

Andrea AlberiziaCosì come il peperone, anche la questione degli impianti sportivi a Ravenna si ripropone con una certa puntualità. Di solito accade ogni volta che la classifica sorride ai colori cittadini in uno dei principali sport di squadra: sull’onda dell’entusiasmo monta la voglia di un nuovo stadio o un nuovo palazzetto, a seconda che vada bene il calcio, la pallavolo o la pallacanestro. E di solito il siparietto è sempre uguale: qualcuno si indigna ad alta voce perché dice che è una roba da terzo mondo, chi è di turno a Palazzo Merlato ripete per un po’ di volte che è consapevole della problematica e sta valutando un ventaglio di possibilità, passa un po’ di tempo e non si fa nulla. Fino a quando, come il peperone, tutto si ripropone. Il dato di fatto è che Ravenna è una città con un reale problema di impianti per i massimi livelli dei principali sport di squadra. È un dato di fatto incontestabile. Lo stadio Benelli è un vecchio catino che ha oltre mezzo secolo e farebbe una figura barbina in serie B. Il Pala Costa è un gioiellino ristrutturato ma con mille posti è adatto a livelli non certo di vertice. Il Pala De Andrè è tutto e il contrario di tutto: un tempio per lo spettacolo con costi di gestione altissimi e utilizzato per una marea di iniziative lontane dallo sport. Bisognerà però anche farsi una ragione di qual è il livello delle società sportive. Il calcio milita tra i dilettanti. Il volley maschile milita in una A1 dove non ci sono retrocessioni e ha chiesto ai tifosi di sottoscrivere in anticipo l’abbonamento dei prossimi cinque anni versando mille euro oggi, quello femminile ha due squadre in B1. Il basket sta attraversando una parentesi di grazia aperta un paio di anni fa ma la società ha appena chiesto aiuto ai tifosi per finanziare la gestione. Insomma più o meno tutti sul filo del rasoio, tra la generosità di qualche imprenditore e la passione dei tifosi. In questo scenario, ha davvero senso pensare a nuovi impianti? Negli anni che serviranno per tirarla su che fine faranno quelle squadre aggrappate (anche) alla generosità del tifoso? Senza dimenticare che l’esempio virtuoso dello Juventus Stadium dice che l’impianto lo paga la società sportiva (con una generosa mano del Comune di Torino che si è accontentato di briciole per la concessione del terreno in diritto di superficie per 99 anni). E a Roma lo pagherebbero gli yankee che stipendiano Totti. Se invece si chiede al pubblico di metterci dei soldi, è un atto di lucido pragmatismo il tentativo di voler capire quale possa essere concretamente il futuro delle squadre. Anche perché la giunta De Pascale ha già un nuovo impianto da costruitre: il beach stadium promesso in campagna elettorale.

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