«La povertà riguarda tutti: al dormitorio anche ravennati e giovanissimi»

Parla la coordinatrice del Re di Girgenti. «Ogni giorno in 40 vengono solo per il cibo. Che gioia quando i nostri ospiti si rifanno una vita»

«Gli italiani pensavano di essere immuni alla povertà. Non era così, sono aumentati in tutti i dormitori della città, non solo da noi. La povertà è ormai una cosa che riguarda anche i ravennati».

Carla Soprani ha superato i settanta anni e da sempre è considerata “l’anima buona” – per dirla con le parole di Brecht – della città di Ravenna. Dal 2003 coordina il dormitorio “Re di Girgenti” che dà un letto a ventidue senzatetto in via Mangagnina 61 (a favore della struttura è stata organizzata una serata benefica il 26 marzo al teatro Rasi, vedi articolo tra i correlati qui a fianco).

Come arriva un italiano che è inserito nella società a perdere tutto e chiedere aiuto a voi?
«Sono persone che perdono il lavoro, oppure che sono allontanate da casa dopo un divorzio e si ritrovano così senza più un tetto».
Quanto conta la componente psicologica in queste vicende?
«Molto. Spesso si demoralizzano e anche in questo li aiutiamo. Per essere schietti capita che gli italiani preferiscano non lavorare piuttosto che fare la prima cosa che capita loro a tiro. Per esempio non si adattano a lavorare nei campi a certe condizioni, fanno più fatica del marocchino, o del tunisino o di qualcuno che viene dal Mali o dal Bangladesh che magari ha già messo in conto che si sarebbe adattato a tutto pur di restare in Italia. Chi era abituato a fare un altro tipo di lavoro, vive questa nuova situazione come una sconfitta e preferisce non adattarsi».
Otre ad esserci molti italiani che hanno bisogno del vostro aiuto si vedono sempre più ragazzi…
«Purtroppo è un fenomeno che sta aumentando e ormai abbiamo sempre dei giovanissimi. Sono ragazzi che compiuti i diciotto anni rimangono fuori dalle strutture per minori e finiscono nei dormitori. Per noi è una novità e abbiamo dovuto cambiare il nostro modo di fare».
In che senso?
«Un ragazzo di diciotto o venti anni ha una esuberanza ed esigenze molto diverse dalle persone adulte. Prima da noi c’erano solo persone di quaranta o cinquanta anni…».
Cosa fanno i giovani che dormono da voi? Quanti sono adesso?
«I ragazzi giovani sono tre, due vanno a scuola e uno frequenta un centro di formazione. Oltre a studiare frequentano stage per cercare lavoro. Sono ragazzi molto in gamba e hanno imparato bene ad adattarsi a vivere con persone più anziane di loro».
C’è un ricambio periodico degli ospiti o chi viene da voi rimane molti anni? Chi esce poi torna al dormitorio o riesce a sostenersi da solo?
«Chi esce riesce a vivere da solo. Certamente ci vuole tempo prima di lasciare la struttura, perché trovare lavoro non è facile e capita che alcune persone rimangano per diversi anni».
Oltre ai ventidue che dormono, offrite un pasto anche ad altre persone, quante ne vengono?
«Passano a prendere la busta che prepariamo con il cibo una quarantina di persone ogni giorno, oltre ai nostri ospiti che mangiano nella struttura».
Ci sono persone che sono in attesa che si liberi un letto o riuscite a ospitare tutti quelli che ne hanno necessità?
«Ravenna è dotata di molti posti letto. Il “Piano freddo” ospita un’altra ventina di uomini nei mesi invernali, poi suor Maria Rita al Buon Samaritano alla parrocchia di San Rocco ne ospita diciassette. Fuori, per strada, credo siano due o tre. Alcuni non vogliono essere ospitati e preferiscono dormire fuori».
Queste persone perché non vogliono stare in un dormitorio?
«Non accettano di andare nei dormitori e sottostare alle regole, lo fanno come scelta di vita. Preferiscono una roulotte o un’automobile. Non è semplice dormire in una camerata di sconosciuti, ci sono perone che non si adatterebbero mai a vivere in comunità».
Quanto incidono dipendenze come il gioco d’azzardo o l’alcolismo in situazioni di difficoltà economica?
«Ci sono capitate in passato persone con il problema del gioco d’azzardo. Alcuni hanno dipendenze da alcol o da sostanze. In questi casi particolari si lavora per individuare il servizio preposto e far seguire queste persone dai servizi sanitari per rimetterli in carreggiata. Chi esce dal carcere o da una comunità di recupero è una persone fragile e la fragilità può portare a ricadere nel proprio vizio. Noi li aiutiamo perché questo non accada».
Da quanto tempo esiste il Re di Girgenti? Quante persone lavorano con lei?
«Si tratta in gran parte di volontariato totalmente gratuito. Personalmente faccio volontariato dal 1981, dal 2003 al Re di Girgenti. Ormai lo faccio solo un paio d’ore al giorno, per via dell’età. Siamo in una quindicina di addetti alla struttura. Molti, come detto, sono volontari, poi ci sono operatori dell’Asp che coprono il servizio dalle 17.30 alle 22. C’è poi sempre un volontario che rimane per la notte».
In questi dodici anni al Re di Girgenti ci sono stati momenti duri?
«Ricordo brutti episodi. I primi stranieri che arrivarono trovavano lavoro tramite connazionali e poi dovevano pagare loro il pizzo per continuare a lavorare o per rinnovare il permesso di soggiorno. Questo fenomeno adesso non è più così evidente per fortuna, ma ci sono sempre casi di persone che si approfittano di chi è in difficoltà e questa è una cosa che mi fa dispiacere molto».
Qual è il momento che le ha dato più soddisfazione da quando è volontaria?
«Sono stati tanti, non vorrei far torti a nessuno. Quando passa un ragazzo che è stato da noi e si è fatto una nuova vita, torna per abbracciarmi e dirmi che da noi è stato bene… queste sono le più grandi soddisfazioni».

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