Locali storici: dal Rigolò al Rock Planet. «Quando la passione diventa un lavoro»

Parla Marco Trioschi, che cura i concerti del club cervese ma anche di locali bolognesi, festa dell’Unità e Acieloaperto: «Ora chi viene in Italia deve abbassare i cachet…»

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Marco Trioschi, titolare della società The Best Company che gestisce anche il Rock Planet

L’avventura è partita nel 1991 con il Rigolò, rock club di Alfonsine rimasto nei ricordi di tanti ravennati (e non). Pochi anni dopo lo staff si è buttato sul Rock Planet, in quel periodo ancora a Cesenatico. «Acquistammo il logo e poi ripartimmo da Pinarella», nell’attuale sede della discoteca che in oltre vent’anni di attività ha portato sul palco band di caratura nazionale e internazionale nel campo del rock e del metal, con incursioni  nel mondo afro e nell’elettronica.

A raccontarcelo è Marco Trioschi, direttore di The Best Company, società che si occupa oltre che del Rock Planet, anche dei concerti in club di Bologna, alla festa dell’Unità di Ravenna e ultimamente collabora anche con il festival Acieloaperto di Cesena e Villa Torlonia.
«Tutto è nato come una passione, trent’anni fa, poi è diventato un lavoro e quindi anche le scelte nell’organizzare i concerti vanno di conseguenza – dice Trioschi –. Ora bisogna capire quali tendenze dall’estero possono funzionare anche in Italia, comprendere il target di pubblico».

Rock PlanetNonostante il crollo del mercato discografico, il settore della musica dal vivo pare tenere, anzi, perfino crescere. «Gli artisti non potendo più contare sugli introiti economici di un tempo derivati dalla vendita dei dischi, puntano molto sul tour e il concerto è diventato un modo per percepire reddito, quasi l’unica fonte di reddito, mi verrebbe da dire. Per gli spettatori, ormai senza più i dischi, la musica dal vivo è diventata invece un evento». E quali sono gli spettatori del Rock Planet? «Ospitando anche band con alle spalle carriere ultradecennali, ci sono anche cinquanta-sessantenni. Poi abbiamo concerti rivolti in particolare ai giovani, mentre è complicato coinvolgere i giovanissimi: non è più come una volta quando si facevano attirare da una proposta seria come il rock, ora vogliono cose più leggere, tipo il rap italiano, che di solito passa attraverso ospitate in discoteca».

Ci sono gruppi a cui un manager con alle spalle 30 anni di carriere è ancora affezionato? «Molte band poi diventate famose hanno iniziato nei nostri club e quindi è più facile ricordarle, tra le italiane penso a Subsonica, Casino Royale, Afterhours: hanno suonato con noi all’inizio davanti a poche persone…».

Oggi quanto costa un gruppo? «I cachet reali dei gruppi stranieri in Italia si abbassano. O perlomeno, chi lo capisce viene ancora dalle nostre parti, gli altri non fanno più tappa in Italia. Non si possono paragonare i nostri cachet con quelli della Germania, noi ormai siamo l’Europa del sud e questo anche gli americani devono iniziare a capirlo. Se vogliamo parlare di cifre, diciamo che organizzo concerti di gruppi che vanno dai mille ai 50mila euro di cachet, considerando anche gli spazi aperti o i più grandi come l’Estragon di Bologna. Al Rock Planet, che può contenere 7-800 persone, si può arrivare fino a 14-15mila euro. Flop o buchi nell’acqua? Tanti, che però tendo a dimenticare il giorno dopo, magari segnandomi giusto il nome del gruppo. Ma non è semplice evitare passi falsi: già ora sto organizzando concerti per la prossima estate e non sempre si può indovinare quello che potrà funzionare tra un anno o quasi. Devi lavorare con promoter internazionali e affidarti a loro. quasi senza accorgertene rimani legato a loro e alle loro band, di fronte a una proposta comunque vastissima».

Chissà quante richieste assurde, da parte di rockstar o presunte tali… «Certo, ma loro fanno una vita davvero incredibile, sempre in giro per anni: è normale che in certi momenti richiedano il massimo del comfort, spesso anche culinario».

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