Architetti contro il sindaco su palazzetto e stradelli: «Ci ritiene incapaci?»

Ventuno professionisti firmano una nota contro le scelte della giunta De Pascale: «I giovani professionisti sono spesso inesistenti per le Amministrazioni»

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Un rendering del nuovo palazzetto progettato dagli uffici comunali di Ravenna

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione firmata da 21 architetti e progettisti sul tema sollevato dal nostro giornale a fine febbraio, legato ai più importanti progetti architettonici portati avanti a Ravenna dalla giunta del sindaco Michele de Pascale. Progetti che da mesi stanno facendo discutere gli addetti ai lavori e in particolare architetti e ingegneri del territorio. Da una parte c’è una certa insofferenza per la scelta di sindaco e giunta di affidare internamente a tecnici comunali la progettazione di opere complesse e milionarie, come per esempio il nuovo palazzetto dello sport (da oltre 15 milioni di euro) o la nuova scuola di Lido Adriano (da 3,5 milioni). Dall’altra l’esito del concorso internazionale di riqualificazione degli stradelli retrodunali dei lidi ravennati (già contestato dagli ordini professionali dopo la pubblicazione) del valore stimato di circa 10 milioni di euro, per cui sono arrivate in tutto quattro proposte. Ecco l’intervento integrale dei professionisti, mentre il presidente dell’ordine degli architetti, Luca Frontali, da noi contattato, preferisce non intervenire.

Abbiamo letto con interesse l’intervista rilasciata dal sindaco Michele De Pascale a Ravenna&Dintorni, in merito al nuovo palazzetto dello sport e al concorso per gli stradelli retrodunali. Soddisfatto dell’esito del concorso, il sindaco dichiara che l’amministrazione «non voleva un altro libro dei sogni, una serie di proposte magari anche suggestive ma poi di fatto irrealizzabili». Da progettisti, riteniamo queste affermazioni quantomeno equivocabili, perché lasciano intendere l’incapacità della nostra categoria professionale di coniugare la complessità di un’opera alla sua concretezza realizzativa.
Troviamo qui le ragioni del perché la nostra professione sia vissuta dalla società come qualcosa di superfluo, dove fattori tecnici quali funzionalità e sostenibilità sono divenuti gli unici indici per qualificare un’opera. La funzionalità in una buona architettura è semplicemente un importantissimo requisito di base, come lo è la sostenibilità sia economica che ambientale, che deve sempre essere presente. Poi ci sono molti altri aspetti (estetici, emotivi, paesaggistici, eccetera) più difficili da valutare, che fanno altrettanto parte della risposta che un edificio deve dare alla città, e che trasformano l’edilizia in architettura e un edificio in un’opera. Oggi, invece, abbiamo bisogno di ridurre la qualità solo a fattori puramente tecnici, quantificabili facilmente senza sforzi di natura culturale. Ma, per assurdo, sarebbe come ridurre la letteratura a semplice contrattualistica.
Ci chiediamo perciò se la soddisfazione che De Pascale esprime verso il concorso e il palasport sia una semplice affermazione politica o se creda davvero che queste siano le strade migliori che una città possa seguire per crescere e guardare al futuro. Al contrario di quanto dichiara De Pascale, noi riteniamo assolutamente sbagliato affidare il progetto del Palasport, opera da 15 milioni di euro che segnerà lo skyline di Ravenna, direttamente ai tecnici comunali senza passare attraverso un concorso di architettura. Allo stesso tempo, tuttavia, riteniamo fallimentare l’esito del concorso sugli stradelli appena conclusosi in quanto, nonostante un montepremi di oltre 100.000 euro, si sono presentati solo quattro gruppi partecipanti. Al di là della massima stima verso il collega ravennate risultato vincitore (Antonio Stignani dello studio Paisà, ndr), la scarsissima partecipazione è la riprova che le perplessità al bando, già evidenziate dagli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri (vedi box in alto, ndr), erano fondate. Un bando anacronistico, economicamente e progettualmente inaffrontabile per la stragrande maggioranza degli studi di architettura di oggi.
Il concorso rimane a oggi l’unico strumento possibile per pianificare, in maniera seria, completa e trasparente porzioni così importanti di città. Ma il bando deve essere redatto seguendo le nuove modalità attuative oggi in uso: due fasi progettuali, con una prima fase per selezionare le idee migliori snella, semplice ed aperta a tutti, e una seconda fase a selezione con rimborso spese garantito, che approfondisca quelle idee in un progetto a scala più dettagliata.
Siamo d’accordo con De Pascale sul fondamentale ruolo degli uffici tecnici dei lavori pubblici. Il loro coinvolgimento però, quando si tratta di opere di architettura, non deve essere di tipo progettuale, come avvenuto per il Palasport, ma di gestione strategica, controllo e supervisione, dalla stesura del bando fino all’esecuzione dell’opera. Ruolo che diviene ancor più importante se il progetto selezionato in un concorso risultasse essere di un giovane architetto, naturalmente privo di esperienza ma pieno di risorse intellettuali.
I giovani progettisti sono spesso inesistenti per le amministrazioni, le quali hanno delegato gran parte delle nuove opere e del recupero del patrimonio pubblico ai tecnici comunali i quali, comunque, ricevono un compenso aggiuntivo per l’incarico progettuale conferitogli.
Ci chiediamo se non occorra invece riempire quel solco che si è formato tra pubblico e privato, tra chi amministra e chi vive la città. L’autoreferenzialità non aiuta il rapporto tra le parti, dobbiamo recuperare complicità tra pubblico e privato, tra amministrazione e professionisti del settore come lo sono Architetti e Ingegneri, che da sempre sono al fianco degli amministratori, e non contro, per dare un volto e una prospettiva di sviluppo al nostro territorio.
La promozione dell’architettura come una delle principali guide per uno sviluppo e un recupero delle città diventerà un tema sempre più determinante nei prossimi anni. È proprio nella pubblica amministrazione quindi che noi progettisti dovremmo trovare il principale alleato, consapevoli che architettura non è solo funzionalità, non è solo sostenibilità, ma è quell’equilibrio complicato e necessario tra forze eterogenee.
Ma è soprattutto «il grande libro dell’umanità» (V. Hugo).

Firmato dai progettisti (in ordine alfabetico): Francesca Ancarani, Nadia Angeli, Gianluca Bonini, Matteo Brucoli, Fausto Bruno, Stefania Bulzoni, Lorenzo Buffatti, Francesca Burdisso, Angelo Ciccolo, Samantha Cicognani, Marcello Cova,  Licia Garavina, Andrea Guardigli, Giovanni Mecozzi, Lorenzo Melandri, Carmen Minafra, Serena Nostini, Marco Saiani,  Lorenzo Sarti, Ottavia Sarti, Marina Suprani

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