Il “matto del paese” era un poeta: dal passato emergono i versi di Clodio Scagnardi

Taciturno, girava per Marina di Ravenna in bicicletta con un completo grigio. A 15 anni di distanza dalla morte la riscoperta delle sue poesie

Clodio Scagnardi

Clodio Scagnardi

Sarebbe stato facile archiviare Clodio Scagnardi come “matto del paese”, che poi è il cassetto dove finiscono i personaggi pittoreschi delle piccole località. Clodio a Marina di Ravenna i più lo ricordano come un signore anziano, taciturno che girava in Graziella con un completo grigio. Morì nel 2003 a ottant’anni e oggi chi ne parla lo fa con il sorriso della compassione e della simpatia.  A 15 anni dalla sua morte, però, la vicenda umana di Clodio emerge un aspetto inedito della sua personalità, insospettabile. Lo ha scoperto Pericle Stoppa, che negli ultimi vent’anni ha prodotto tantissimi studi che hanno contribuito a tracciare la storia di Porto Corsini e Marina di Ravenna (fino al 1930 entrambe le sponde del canale erano sotto il toponimo di Porto Corsini).

Clodio aveva un passato da poeta e, a leggere i suoi versi, anche di pregevole fattura. Le sue poesie, scritte negli anni giovanili prima di chiudersi in un ostinato silenzio, racchiudono il tormento dell’anima. Terribile quella che si ritiene sia l’ultima, chiamata L’Incompiuta, una sorta di testamento giovanile prima di chiudersi in quella sorta di giorno della marmotta che Clodio sembrava vivere tutti i giorni.  Vale la pena riportarne un verso: “Non scriverò più. Contemplerò orizzonti/lontani qui nell’interno dove tutto è possibile./ A sera coglierò lucciole smarrite/per farne un candido dono alla mia tristezza./Non spererò più. Sono un uomo finito./Finito d’essere Io. Finito di sollervare/le seriche tende al tempio dell’Arte”. Tre  raccolte di poesie di Clodio Scagnardi sono conservate nella biblioteca Classense. La prima è Elegie d’Autunno, undici poesie pubblicate nel 1942. La seconda è la raccolta Alchimia, datata 1943. Nel 1946, quando ormai il distacco dalla realtà sembrava evidente, e si chiama “Poema del pastore errante per l’Asia”, con chiaro omaggio a Giacomo Leopardi.

Scagnardi nacque da famiglia benestante ma una tragedia segnò la sua vita ancor prima della nascita. Il padre, che si chiamava come lui, era stato da poco nominato medico condotto di Porto Corsini quando fu ucciso da un colpo di forcone che gli trafisse il cuore. L’assassino, Giovanni Bonazza, lo uccise per un motivo futile: aveva contratto una malattia venerea, il datore di lavoro lo aveva saputo ed era stata licenziato (altri tempi…). Bonazza pensava che aver messo la voce in giro fosse stato il dottore. Non era così, come emerse durante il processo a cui parteciparano tantissime persone. L’assassino fu condannato, la moglie – incinta – non si riprese mai dallo shock che gli provocò la morte del marito, appena 29enne. Clodio, venuto alla luce pochi mesi dopo, subì quell’atmosfera. Lo stesso Stoppa ricorda madre e figlio in giro per il paese insieme: lui taciturno, lei scontrosa.  A raccontare della vicenda di Scagnardi a Stoppa era stato un amico d’infanzia di Clodio, Guido Manetti.

Manetti – che oltretutto era figlio del medico che poi prese il posto dell’assassinato – ricordava la stravaganza dell’amico, i maestri che faticavano a comprenderlo, mortificandolo. Ne ricordava anche i buoni studi (frequentò il Ginnasio), la passione per la musica e  la scrittura oltre che la vena poetica. Dal libro di poesie, che racconta la vita e ri-edita le raccolte (Capit edizioni) emerge la figura di un uomo fantasiosi e sensibile, come dimostrano i suoi versi. Poi arrivò anche la guerra ad aumentare il disagio del giovane, finché – scrive Stoppa – “la sua voce poetica, che non era lo sfogo di un introverso, bensì un linguaggio strutturato modernamente, generalmente privo di rime, evocativo, intenso e visionario, si zittì definitivamente”. Il librò verrà presentato venerdì 31 agosto alle 21 al Bar Timone di Marina di Ravenna. Un bel modo per ricordare un poeta.

 

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