Dal Kosovo agli schiavi dei pomodori: «La mia esperienza con Nazioni Unite e Msf…»

Andrea Accardi, direttore del settore hospitality delle Terme di Punta Marina, per dieci anni tra profughi e rifugiati: «Si utilizzano gli sbarchi per ottenere consenso, ma non si pensa ai 2 milioni di giovani qualificati che lasciano l’Italia…»

Andrea Accardi

Andrea Accardi in una foto durante la sua esperienza da cooperante

Direttore del settore hospitality delle Terme di Punta Marina, Andrea Accardi ha lavorato per dieci anni nell’ambito della cooperazione internazionale, con ruoli di primo piano in Medici Senza Frontiere. «Ho una passione direi innata per le minoranze – ci racconta al telefono – che ho coltivato negli anni dell’università, avendo anche la possibilità grazie a una borsa di studio di trascorrere un periodo negli Stati Uniti, dove ho potuto affrontare il tema della autodeterminazione delle Nazioni Indiane».

Con un master (alla prestigiosa London School of Economics and Political Science) in Studi Europei e una tesi sulla guerra in Bosnia, l’esperienza sul campo di Accardi parte con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) a fine anni novanta proprio nei Balcani, dove si occupa dell’integrazione dei rifugiati bosniaci in Slovenia e dei profughi della guerra in corso in Kosovo.
In Medici Senza Frontiere affronta principalmente il tema delle migrazioni, in missioni in Malesia, Libia e anche nel sud dell’Italia (quando già erano frequenti gli sbarchi ma ancora non era d’attualità il tema del salvataggio in mare), dove si è occupato dei lavoratori stagionali in agricoltura, del loro sfruttamento e del fenomeno del caporalato diffuso. Fenomeno ancora tristemente attuale.

«Erano passati 12-13 anni dalla morte di Jerry Masslo (il rifugiato sudafricano assassinato nel 1989 mentre veniva di fatto schiavizzato per la raccolta dei pomodori in Campania, ndr) ma non era cambiato praticamente nulla, nel nostro rapporto fotografammo le condizioni di vita e le ripercussioni sulla salute dei migranti, fu un’esperienza incredibile. Purtroppo è un problema che non viene risolto per scelta politica: detta come va detta, i migranti irregolari raccolgono i pomodori che mangiamo tutti i giorni e lo fanno a bassissimo costo e senza contratti di lavoro. Invece di attivarsi per regolarizzarli oggi, lo Stato va incontro tra l’altro a un enorme costo sociale in futuro, con persone sane che vivendo in condizioni di sfruttamento e grandi difficoltà si ammaleranno tra 10-20-30 anni. I problemi complessi, però – continua Accardi – pare sia meglio evitare di affrontarli: ecco perché la politica preferisce usare come grimaldello per il consenso lo sbarco di alcune decine di migliaia di persone all’anno, in cerca di protezione, mentre 2 milioni di giovani lavoratori qualificati negli ultimi 15 anni hanno lasciato il Sud Italia, quasi tutti per andare all’estero, e noi facciamo fatica a trovare dottori da assumere…».

Tra le storie che hanno toccato di più Accardi nel corso dei suoi anni con l’agenzia delle Nazioni Unite e Msf, quella di «una ragazza bosniaca di 16 anni che viveva da 6-7 anni in un campo profughi, senza uno status vero e proprio, con la disperazione della ragazza che era evidente – continua il direttore delle Terme – e poi in particolare quelle – ancor più di chi era stato segnato da lutti, persecuzioni o torture – di chi mi mostrava, in Libia o nei campi in Italia, le foto dei loro figli, dei loro cari, chiedendomi se li avrebbe mai più rivisti. E tu rispondevi sì, ma sapevi che quasi certamente non sarebbe stato possibile, vista la loro condizione».

«In generale – conclude Accardi –, quando hai modo di incontrare queste persone, capisci che non sono solo numeri di cui si parla al telegiornale. Credo che siano inaccettabili le politiche inumane messe in atto anche dai nostri governi, esistono convenzioni e leggi internazionali che dovrebbero essere applicate e che regolarmente non lo sono. Alcune immagini, come quella del bambino siriano morto sulla spiaggia, riescono per un attimo a creare una sorta di sollevazione popolare ma non basta, le politiche dell’Unione Europea restano spesso inadeguate, con una gestione emergenziale di un fenomeno che è lì da diversi anni e che invece ha scaricato sulle organizzazioni non governative, piuttosto che gestirne l’aspetto strutturale. Organizzazioni spesso bistrattate ma che hanno un valore importante, che bisognerebbe sempre sottolineare».

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