Arianna Nanni deve modificare il suo cielo. O adattarsi dove non si può cambiare

La testimonianza della figlia della 36enne Ilenia Fabbri uccisa a Faenza – durante il processo che accusa il marito Claudio Nanni e il sicario suo complice – vista dallo psicologo Enrico Ravaglia

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Claudia Nanni e l’avvocata Veronica Valeriani

«L’ultima volta che sono entrato nella grande aula del tribunale di Ravenna era per il processo Cagnoni.
Lo stanzone era illuminato da tanti neon, alcuni bianchi, altri gialli. Una luce mielata andava a riflettersi sulle scrivanie. Oggi, 29 ottobre 2021, ci sono le stesse cromie. Tutto è rimasto invariato, a partire dall’arredamento dell’aula. L’unico segno del periodo trascorso lo portano le poltroncine del pubblico. Due su tre sono chiuse, sullo schienale è posto il cartello che invita a rispettare le distanze a tutela dal Covid. Per il resto è tutto uguale. Anche tante delle persone presenti sono le stesse. Nel pubblico riconosco molte facce. Ci sono pure gli stessi giornalisti, al massimo qualcuno di loro ha cambiato il computer che usa per scrivere. Tutta questa similarità fa sentire il dramma del femminicidio ancora più attuale e continuativo. Continuativo ma allo stesso tempo trasversale, perché quelli che cambiano sono gli imputati.

Cagnoni era sempre in giacca e cravatta. Spesso indossava abiti spezzati che valorizzavano il suo gusto nel vestire. Le cravatte che sceglieva non erano mai banali. Si accomodava a fianco del proprio avvocato; sembrava anche lui un giurista, più che il giudicato. Consultava documenti, molto spesso era intento a scrivere, a prendere appunti. Di tanto in tanto parlava all’orecchio del suo legale, che gli rispondeva annuendo, in segno di recepimento del concetto.

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Claudio Nanni

Oggi, nessuno dei due imputati aveva la giacca né taccuini su cui scrivere, e non è mai uscito dagli spazi di reclusione che gli è stato assegnato. Né l’uno né l’altro ha mostrato l’esigenza, che invece aveva Cagnoni, di collocarsi nello spazio dei giudicanti, dei difensori, di parlare alla pari con il presidente della corte e con il pubblico ministero. Claudio Nanni e Pierluigi Barbieri restano defilati e silenziosi. Nanni guarda orizzontale, di fronte a sé, la corte e i testimoni di turno, compresa la figlia. Barbieri è più laterale, nello spazio accanto, separato dal primo con una porta a vetri, chiusa. Ha la faccia scura, lo sguardo spesso basso, non cerca occhi da incontrare. Ogni tanto osserva di striscio un avvocato che parla. Indossa un paio di jeans ed una felpa grigia dell’Everlast. La marca che produce abbigliamento da palestra. È solido, forte e con la faccia seria. Distantissimo da Cagnoni; così come lo è Nanni. Eppure l’accusa è la stessa.

Questa similarità nell’aula, unita alle differenze tra gli imputati, l’allora Cagnoni ed oggi Nanni e Barbieri, rende ancora più evidente come l’aggressione verso le donne sia trasversale e mossa dalle persone più diverse.

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Pierluigi Barbieri, reo confesso dell’omicidio di Ilenia Fabbri a Faenza il 6 febbraio 2021

In questo spazio, dove due uomini sono giudicati per accuse gravissime, le donne invece danno mostra di aspetti umani virtuosi. Tra le altre, due avvocatesse. La prima è Veronica Valeriani, l’avvocata di Arianna Nanni, figlia di Ilenia, la vittima, e di Claudio Nanni, accusato di essere il mandante dell’omicidio. L’altra, Stefania Sangiorgi, invece è lì come teste, poiché seguì Ilenia come divorzista. La sua è una lunga audizione, le viene chiesto molto. Ha molto da raccontare. Lo fa con puntualità, garbo e grazia. Riferisce il percorso con precisione, ricorda con lucidità tanti passaggi del conflitto tra Nanni ed Ilenia, anche di come una sentenza galvanizzò Nanni. Riferisce, con fresca memoria, le paure di Ilenia. Il tono pacato non stempera i contenuti della sua deposizione. Anzi, paradossalmente li rende ancora più gravi e drammatici.

Anche l’avvocata di Arianna è tosta e gentile al tempo stesso. È verso di lei che la giovane si rivolge con lo sguardo in un paio di passaggi drammatici della propria testimonianza, probabilmente più in cerca di conforto che di un’imbeccata. È sempre verso di lei che si avvia, conclusa la propria deposizione. L’avvocata Valeriani, dopo essere intervenuta con pertinenza in più momenti, favorisce a tutti la comprensione: alla corte, agli avvocati, al pubblico, ai giornalisti, di come stia Arianna. Quale, e come sia il mondo interiore di questa ragazza, tanto che molti media del giorno dopo titoleranno su questo.

Arianna è giovane donna la cui madre è stata uccisa, e suo padre è lì, a pochi metri da lei con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio. È una ragazza minuta. Indossa robuste scarpe nere, pantaloni militari con i “tasconi” laterali, una maglia oversize con il cappuccio. Porta i capelli rasati con la una cresta centrale, nera e fitta. I tratti delicati del suo viso, la leggerezza del suo fisico in contrapposizione al look, per uno strano meccanismo, le rendono ancora maggiore umanità. Arianna sa rispondere a tono, non ha timore di farsi ripetere una domanda quando non le è chiara. Racconta con grande dignità quello che ha visto, ed è capace di fare capire a tutti cosa produce un trauma. Lo spiega nel merito.

IMG 4721Prima del suo arrivo, in aula è stata ascoltata una registrazione. L’audio della telefonata che ha scambiato con la sua ex fidanzata, la ragazza che si trovava in casa nel momento del delitto.

Una telefonata lunga. A partire dai primi rumori nell’abitazione per terminare dopo il ritorno a casa, e la tragica visione, da parte della figlia. Include il tratto in autostrada, appena entrata al casello di Faenza, obbligata, insieme al padre alla guida, a raggiungere il casello successivo per poi tornare indietro. Probabilmente avrebbe voluto fare inversione subito, scavalcare il guard rail. Ha dovuto invece percorrere anche quella strada non necessaria.

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Nella telefonata si sente sempre la voce di Arianna per tutto il tempo. A momenti intenta a rassicurare l’altra ragazza, a momenti a sollecitare il padre a guidare più veloce. Parla anche con la polizia Arianna, attraverso un altro telefono. Ma quella telefonata non è mai interrotta. Si sente sempre la sua voce, tranne per qualche istante. Un minuto al massimo. Quando finalmente arrivano a casa e lei esce rapida dall’auto per raggiungere l’abitazione e cercare sua madre, insieme alla polizia.

Il telefono lo tiene in mano suo padre, la telefonata è ancora attiva, ma Claudio Nanni sta zitto. La registrazione è silenziosa per qualche momento poi si sente di nuovo Arianna che da lontano urla, sempre più vicina, “Babbo!”, poi di nuovo “Babbo!”, e poi ancora una terza volta, totalmente disperata “Babbo!”. Non servono altre descrizioni per capire che è successo qualcosa di grave, di tanto grave. Bastano quei “tre babbi”, pronunciati, sempre più drammaticamente, uno dopo l’altro.

“Ci sono circostanze che le tornano alla mente?”, le chiede con garbata precisione la sua avvocata. Arianna parla di flashback, dove il presente le viene interrotto, lacerato e le memorie di quella giornata si impongono, suo malgrado. Memorie dirette insieme ad associazioni, ad immagini che, come in una staffetta insidiosa, le une dopo le altre, la riportano al trauma. Le danno fastidio i sacchi neri. Le evocano quello che fu utilizzato per portare via sua madre. Le campane immediatamente la riportano al giorno del funerale. Lo stesso quando gira in automobile, che sia la polizia, un’ambulanza, ma il suono di una sirena la riporta a quando i poliziotti, “quella mattina”, dice, hanno portato via suo padre. Non “una mattina”, ma “quella mattina”. Tanto è precisa e fissata nella mente.

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L’aula di corte d’assise a Ravenna durante il processo per l’omicidio di Ilenia Fabbri

Anche la notte non è di sollievo, in un modo, che più sintetico e chiaro non poteva utilizzare per esprimersi, dice: “Dormo poco. Dormo male.”

Le parole di Arianna raggiungono tutti. In un’aula attenta, dove si sentirebbe volare una mosca, la sua avvocata le chiede: “Ad oggi come descrive la sua vita?”. Arianna che non è stata mai in silenzio, ha trovato sempre le parole per rispondere alle domande. Anche a quelle più toccanti e dolorose, ma questa volta tace. Resta muta. Sono attimi di silenzio assoluto. Quella lunga pausa è l’immagine più nitida che mi è rimasta della giornata, tanto era espressiva. L’avvocata la guarda, si riavvicina il microfono: “Si sente una condannata? ” aggiunge. Quasi a porre una domanda definitiva. “Sì”, risponde la giovane, senza aggiungere altro. Esiste un detto, “si può cambiare mare, ma non si può cambiare cielo”. Come a dire che per quanto ci sforziamo di allontanarci dai nostri incubi, dai nostri pensieri, essi si ripongono. Il cielo è ovunque, e se il cielo sa di condanna pare non ci sia soluzione. È vero, ma non sempre. Non in modo assoluto. Bisogna riuscire a modificare il cielo. Modificarlo per quanto si riesce, ed adattarsi ad esso dove non è possibile cambiarlo. Ma il cielo, non i mari.

Sarà questa l’impresa per questa giovane donna. Un percorso impervio e faticosissimo, ma non è detto che non riesca a compierlo. E se fossero ancora presenti pensieri intrusivi, riuscire a dar loro il giusto significato. E da lì riguadagnare il più possibile».

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