lunedì
07 Luglio 2025
divagazioni

Aperitivo of the dead

Antropologia dell’estate ravennate

Condividi

Festa Spiaggia Marina Di Ravenna

Sulla costa ravennate i bagni non si chiamano “bagno” e questa cosa, la prima volta che ci ho avuto a che fare, per me è stata quasi sconvolgente. Sentivo parlare di queste feste che di volta in volta venivano fatte “all’Obelix” o “allo Zanzibar” o “all’Hookipa”, ma dove sono questi posti, chiedevo. A Marina, mi rispondevano, che per i ravennati è un posto speci­fico.

Apro qui una parentesi, se posso. Per quelli che leggono per la prima volta la mia rubrica mensile, io vengo dalla campagna cesenate. Per noi andare a marina (a maraèna, in dialetto cesenate, che diventa maròina verso Santarcangelo) signi­fica andare al mare, generico. Per i ravennati Marina è un posto speci­fico e molto ben delimitato da un con­fine che è quasi naturale, parlo ovviamente di Marina di Ravenna. Anche qui, è dif­ficile spiegare lo sgomento, ma in senso letterale un cesenate ha dif­ficoltà a capire perché ad esempio Puntamarina, che è sia al mare che “di Ravenna”, non possa quali­ficarsi come “marina di Ravenna”. Ok, è un po’ complicato da spiegare. Mettiamola così: all’interno del vostro comune avete una Marina, che è appunto il posto dove si va al mare, e poi avete una Punta (nessuno a Ravenna la chiama Puntamarina, è uno dei tanti modi che hanno di sgamare i forestieri, se dici Puntamarina vuol dire che per orientarti a Ravenna leggi ancora i cartelli dei paesi); avete un Porto, avete diversi Lidi (se posso permettermi io ho frequentato poco Lido di Classe ma non mi sembra affatto un posto di classe, quindi proporrei di spostare il nome “Lido di classe” su Marinara, che a questo punto si staccherebbe dal resto di Marina di Ravenna, e magari proprio scambiare i nomi per confondere le idee ai jetsetter in visita), e poi avete un’altra Marina ma Ravenna la sente talmente poco sua da rendere necessario chiamarla “Marina Romea”. Chiusa parentesi.

Dicevo, dopo qualche tempo ho capito che “Obelix”, “Hookipa” e “Zanzibar” sono stabilimenti che noi avremmo chiamato “bagno Hookipa”, “bagno Obelix” e “bagno Zanzibar”. Non è una semplice differenza di convenzioni linguistiche. È uno degli incontrovertibili risultati ­ finali di un modo di approcciarsi alla materia, uno dei tanti marcatori di un modello di vita che nei decenni successivi ho imparato a conoscere piuttosto bene.

La prima cosa che ho imparato: l’estate ravennate inizia in pieno inverno, quando ti trovi a passeggiare per la città spoglia e priva di punti di riferimento (due discoteche centosei farmacie, come mirabilmente la de­finì Dante Alighieri ai tempi del suo esilio) appena dopo cena, in contesti nei quali è evidente il ritmo circadiano nordeuropeo dell’entroterra – pochi sparuti ritardatari passeggiano di fretta per via Cavour, i motorini non sfrecciano più, nessuno urla “diobò” a nessun altro. È come l’apologo della formica: stanno risparmiando energie per quello che sta per arrivare, e i primi pionieri affrontano con dedizione e perseveranza il primo sole di primavera nei primi stabilimenti balneari che aprono – veri e propri microcosmi, luoghi di culto che respirano ventiquattro ore al giorno offrendo colazioni gourmet, ristorazione d’alto livello a pranzo e a cena, aperitivi con musica, serate danzerecce e concerti, i più avanzati si pensano come luoghi di lavoro agile.

E poi inizia il calendario delle feste, i veri e propri eventi, uno o più a sera, potenzialmente vivibili come un beach movie italiano degli anni ottanta lungo quattro o cinque mesi. E poi, naturalmente, l’happy hour, cancellato dalle decisioni sciagurate delle scorse amministrazioni comunali. Tutti i forestieri, e credo anche gli autoctoni, ricordano il loro primo happy hour, l’ammassarsi di corpi nudi che sudavano alcol addosso a ragazze e singoloni estivi di dubbio valore artistico, la gente che collassava in pineta poco prima di raggranellare le forze che servivano ad accendere uno scooter, bellissime scene di estasi collettiva non troppo dissimili da certi dipinti di Bosch o da un ­film di Romero con più cassa in colonna sonora, Aperitivo of the Dead.

Ci sono regole di sopravvivenza, ad esempio sapere in quali posti puoi trovare un safe space, persone amiche, simpatia umana, spaghetti e drink a prezzi affrontabili e un campo da bocce. E usare il tutto come base per diventare estate ravennate, e spingersi sempre oltre nello spazio e nel tempo, usando un po’ del prezioso tempo della nostra spiaggia per recuperare energie che abbiamo già speso.

Ogni settimana l’estate ravennate muore e rinasce, sempre più estrema, sempre più convinta di se stessa, ­fino alla naturale data di scadenza nella terza settimana di agosto. E lì Ravenna ricomincia a crogiolarsi in una leggera e fascinosissima depressione che impone almeno un mese di stasi assoluta, niente grandi eventi, niente concerti, la possibilità di prenotare al ristorante per la sera stessa. Cadono le prime foglie, le specie più evolute di ravennate estivo si preparano ai lunghi mesi di letargo dantesco, partite al PalaCosta, colazioni in via della Lirica.

Francesco Farabegoli, cesenate trapiantato a Ravenna, scrive o ha scritto su riviste culturali come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not

Condividi
Contenuti promozionali

LA CLINICA DELLA FINANZA

CASA PREMIUM

Spazio agli architetti

Casa Margaret, sguardo contemporaneo in un’atmosfera anni Sessanta

Il progetto realizzato a Faenza dallo studio ravennate Tundra

Riviste Reclam

Vedi tutte le riviste ->

Chiudi