La fine dell’estate

Cosa succede in Romagna nella seconda parte di agosto

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Summertime

L’estate finisce nominalmente il 23 settembre, un concetto che in Romagna facciamo fatica a comprendere perché, beh, non possiamo giurare che per gli altri non sia così, ma per noi la fine dell’estate è una questione cardiocircolatoria. C’è una bella scena che lo racconta, alla fine della prima stagione di Summertime (immagino la conosciate, è una serie Netflix ambientata in una non meglio specificata località balneare romagnola in cui convergono posti di diverse città della riviera): un temporale costringe il bagnino a chiudere gli ombrelloni e due personaggi guardano sconsolati l’orizzonte. La semplificazione della messinscena ha bisogno di espedienti barbarici; nella vita vera non serve nemmeno la pioggia.

La triste realtà è che verso il 10 del mese di agosto il bagnante autoctono inizia a percepire istintivamente le avvisaglie di questa piccola morte, un po’ come il sonno arriva alla fine di una giornata di lavoro – una certa mancanza di lucidità, una nota un po’ scura che sembra risuonare negli ultimi festini di stagione.

Gli anni del Ferragosto matto e sportivo e dei falò e dei bagni a mezzanotte e dei gavettoni che coinvolgevano una spiaggia intera sembrano già le vestigia di un passato per molti versi irraccontabile, sostituiti da improbabili raduni fuoriporta tra amici in aperta campagna. Seguendo la tendenza è probabile che tra dieci anni Ferragosto sarà un normalissimo giorno rosso sul calendario in cui nella maggior parte degli stabilimenti balneari non varrà nemmeno la sbatta di organizzare la serata piadina/salsiccia/karaoke, o meglio ancora il giorno perfetto per organizzare una call per discutere i dettagli della festa di Halloween a Borgo Montone.

E poi d’un tratto, un mese prima del suo termine naturale, anche i più tonti s’accorgono che l’estate è finita e bisogna sgomberare i lidi sud. Cosa succede nelle quattro settimane che devono ancora passare per sancire il ritorno nominale dell’autunno? Nessuno lo sa bene. La geografia estiva romagnola è radicalmente diversa da quella invernale. L’estate è la stagione in cui le cittadine e le frazioni a bordo riva si gonfiano in maniera (in)naturale per ospitare la quotidianità dell’intera regione, più la miriade di turisti che vengono da fuori. Nella seconda parte di agosto le località balneari iniziano il loro processo di naturale restringimento, mentre l’entroterra sembra ritrovarsi ogni anno a pensare “cazzo ho sbagliato a fare i conti”.

Per due settimane città deserta e spiaggia deserta sembrano convivere. Il lento inizio del ritmo circadiano autunnale, dei casini a grappolo che tornano fuori al lavoro e degli incastri impossibili nelle ultime settimane di vacanze dei figli, impongono weekend impostati sul relax e/o sul divertimento selvaggio. Ma dove vanno le persone? Seguendo la dicotomia Cesena/Ravenna su cui abbiamo impostato questa paginetta, sembrano delinearsi due caratteri uguali e contrari.

Il ravennate tende a spendersi di più nella stagione estiva, a parcheggiare le membra nelle residenze estive di Marina e Punta da cui ha la possibilità di raggiungere con maggior facilità i cozza party e il karaoke del camping, e dopo Ferragosto se ne va in letargo. I più irriducibili estendono la fine dell’estate alla fine del mese di agosto e qualcuno s’ostina a prender sole anche a settembre, grazie soprattutto ai tendoni con cui alcuni bagni compiacenti recintano certe aree.

Il cesenate è un animale boschivo per natura e inizia a guardare voglioso il suo sbocco naturale, la valle del Savio, che in questa stagione inizia a popolarsi di sagre. La sagra è l’evento autunnale per eccellenza, il simbolo della fine di un’estate che per una settimana e mezzo sembrava non finire mai: migliaia di persone che convergono in un paesino qualsiasi, unite dall’amore per qualcosa che non avresti mai sospettato amassero (non so, tipo le erbe palustri), dalla promessa di un attimo di socialità fugace e di uno stand gastronomico in cui sperperare i nostri averi in cambio di quello che, speriamo invano da una vita, sarà il cappelletto al ragù definitivo e ci permetterà di dimenticare in via definitiva la scomparsa di un evento decisamente più accordato con la nostra tradizione popolare, la festa dell’Unità (che a Ravenna continua a r-esistere in una bizzarra versione branded che non sono mai riuscito a comprendere appieno).

Per il resto, davvero, non lo so. Sono abituato a pensare alla mia vita sociale in termini di quanti concerti succedono attorno a me (non vado più a vederli ma mi piace pensare che se volessi potrei andarci), e le programmazioni di settembre e ottobre sembrano suggerire che la gente non è ancora pronta a pagar soldi per infilarsi in un posto al chiuso e ascoltare qualcuno che suona. E quindi alla fine vaghiamo tutti come zombi per città ormai non più deserte, alla ricerca di un’identità collettiva che ritroveremo forse ad autunno inoltrato alla Festa Di Qualcosa in Piazza Del Popolo, quando anche l’ultimo lettino da mare si sarà chiuso e il pestato dell’ultima caipiroska sarà stato prelevato dal camioncino dell’organico.

  • Cesenate trapiantato a Ravenna, Francesco Farabegoli scrive o ha scritto su riviste culturali come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not
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