sabato
28 Giugno 2025
Scuola

La prof: «Classi affollate, ambienti, stipendi: serve una riforma dalle fondamenta»

L'insegnante Ilaria Cerioli, alla vigilia del ritorno in aula, pone una riflessione in attesa di capire meglio il ruolo delle nuove figure di Tutor e Orientatore

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Alla vigilia del nuovo anno scolastico, abbiamo chiesto un intervento sulle criticità da risolvere a un’addetta ai lavori, Ilaria Cerioli, insegnante all’istituto tecnico commerciale Ginanni di Ravenna, nota in città anche in veste di scrittrice.

Ilaria Cerioli, insegnante e scrittriceMai come quest’anno mi sono trovata ad affrontare l’inizio in balia di sentimenti contrastanti. In bilico tra attese e qualche ansia per le nuove sfide dietro l’angolo. Come molte colleghe e colleghi ho dedicato le mie vacanze alla formazione. Sono stata impegnata nel seguire il corso OrientaMenti, finalizzato a creare due nuove figure: il docente Tutor e docente Orientatore (come previsto dalle riforme del Pnrr). Il Ministero dell’Istruzione e del Merito, come promesso, ha avviato il piano per l’orientamento che prevede novità importanti. Queste, infatti, andranno a incidere sul triennio delle superiori collegandolo sempre di più verso il mondo del lavoro e della Formazione.

In realtà, a parte il mio innato entusiasmo verso una scuola più dinamica, aperta al reale grazie anche a una didattica esperienziale e laboratoriale, mi riservo ancora del tempo non solo per comprendere davvero quali siano gli obiettivi, gli oneri e i doveri di queste due nuove figure ma soprattutto ho bisogno di chiarire a me stessa cosa davvero potrebbe smorzare le mie aspettative. Insomma, sarà ‘na sola o davvero una grande opportunità di trasformazione?

Intanto inizio a riflettere sui contesti: in quale cornice andremo a operare? Non tutte le nostre istituzioni scolastiche per tanti motivi sono disposte e predisposte verso queste modalità. Occorre davvero immaginare nuovi orizzonti che prevedono consigli di classe collaborativi, nuove pratiche di lavoro e un patto con le famiglie che saranno chiamate a partecipare di più nel percorso scolastico e formativo dei figli (in barba a tutti coloro che le vorrebbero fuori dalla scuola). In questa ottica si interviene, almeno sulla carta, per innovare una scuola ancora tradizionale, affezionata ai voti, a quel concetto di meritocrazia spesso declinato nel peggiore dei modi (insomma dove si premiano i migliori ma si affonda inesorabilmente chi fa più fatica), dove ancora sono tanti i sostenitori di una trasmissione del sapere in senso verticale.

Grazie al corso OrientaMenti ho visto l’opportunità di realizzare davvero una didattica dinamica sulla persona con le sue capacità, caratteristiche e potenzialità. Ma come arrivare a quello che un po’ enfaticamente viene definito “il capolavoro” di ciascuno da inserire nel Portfolio se persiste in alcune realtà una tendenza alla selezione anziché all’inclusione, programmi stereotipati (nonostante l’introduzione dell’Autonomia e la legge n.59 del 1997 di fatto ancora fondati su una trasmissione di contenuti manualistica) e esami di maturità obsoleti?

Mi chiedo altresì perché nessuno abbia pensato di partire dalle fondamenta per riformare anziché dalle tegole? Non voglio dilungarmi sulla necessità di rivedere gli stipendi degli insegnanti (comunque siamo negli ultimi posti nelle retribuzioni Ue. La nostra retribuzione non riesce a mantenere il passo con il costo della vita e per molti il rischio povertà è alto. Soprattutto per chi è monoreddito e, visto che sono più le docenti che i docenti, si evince che le più compromesse siano donne sole e con figli a carico) mi basta ricordare l’esigenza di un tempo pieno diffuso, di classi non sovraffollate, ambienti puliti, accoglienti e sicuri, risorse effettive contro la dispersione scolastica che continua a colpire chi cresce in contesti poveri, chi ha difficoltà linguistica, chi vive in aree periferiche e del Mezzogiorno come quelle degli ultimi avvenimenti di cronaca.

In conclusione, a riguardo del nuovo anno scolastico solo una battuta “speriamo che tra dire il fare non ci sia di mezzo il mare”. O almeno che quel mare di intenti non diventi bonaccia sterile.

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