Il “malinconico” che uccise un poliziotto e la banda Bedin che imbarazzò il fascismo

Nel 1948 a Ravenna un poliziotto ammazzato in strada in centro da Eugenio Mazzotti di Massa Lombarda, evaso dal carcere in cerca di vendetta per la condanna per rapina nell’indagine sul sodalizio criminale del bandito veneto Giuseppe Bedin che negli anni Trenta aveva costretto il regime di Mussolini a creare un gruppo di polizia speciale. Tutto ricostruito nel libro di un giornalista ravennate

WhatsApp Image 2024 09 12 At 08.45.37Il capo era veneto e gli anni Trenta furono il suo periodo d’oro, ma alla banda di Giuseppe “Bepi” Bedin è legato un violento episodio del 1948 a Ravenna: l’omicidio di un poliziotto in strada in pieno giorno per vendetta. È proprio da questa vicenda che è nato l’interesse di un 42enne giornalista pubblicista ravennate, Daniele Pompignoli, per il sodalizio criminale che mise a segno numerosi colpi nel nord Italia e portò il regime fascista a istituire un gruppo speciale di poliziotti per dare la caccia ai banditi.

Ne è nata una ricostruzione storica che ora Pompignoli ha pubblicato con Phasar Edizioni con il titolo L’indagine sulla banda del Robin Hood italiano, disponibile sulle principali piattaforme di acquisto online. Nelle pagine anche una foto segnaletica attribuita a Giuseppe Bedin.

L’omicidio a Ravenna del poliziotto Marsilio Piermattei è stata la miccia del lavoro di Pompignoli, in passato collaboratore di Corriere Romagna e Voce di Romagna. Nel 1962 Eugenio Mazzotti, originario di Massa Lombarda, venne condannato per aver ucciso nel Piermattei nel 1948. L’agente di polizia aveva contribuito in segreto nel 1939 alle indagini sul filone ravennate della banda. Mazzotti, condannato per rapina nel processo che si tenne a Venezia nel 1939, riuscì ad evadere dal carcere laziale in cui si trovava a seguito degli eventi bellici e si rifugiò a Ravenna fin quando un giorno, trovatosi di fronte a Piermattei in pieno centro, decise di vendicarsi e lo uccise con diversi colpi di pistola.

La figura di Mazzotti non manca di aspetti controversi. A cominciare dall’esenzione dal servizio militare di leva per “malinconia”. Il massese vanta un curriculum criminale di tutto rispetto: in meno di dieci anni dalla maggiore età, ricostruisce Pompignoli, aveva già collezionato una ventina di condanne. Anche i due fratelli erano poco inclini alla legalità: «Tutti e tre finirono in manicomio e in galera – ricorda Pompignoli – e ci sono dei rapporti dei carabinieri che parlano di “strane conoscenze” che avrebbero sempre permesso loro di farla franca di fronte alla giustizia».

La condanna del 1939 considerò Mazzotti un membro della banda Bedin, ma il diretto interessato ha sempre detto di essere estraneo. E anche un altro complice superstite della banda negò sempre che Mazzotti ne facesse parte nonostante Mazzotti fosse stato riconosciuto da quattro impiegati di uno zuccherificio veneto nel corso di una rapina.

La storia di Bedin e della sua banda è ben nota non solo nel Veneto ma in buona parte del Nord Italia e la sua figura è stata spesso associata a quella di Robin Hood. Anche questo aspetto trova spazio nella pubblicazione: grazie ai proventi dei colpi elargiti anche alle persone loro vicine, infatti, la banda era riuscita ad entrare nelle grazie di molte persone e, proprio da queste (secondo gli atti del processo, oltre quattrocento), aveva ottenuto protezione e favoreggiamenti. «La mia sensazione è che la sua generosità verso altre persone fosse più spinta dal volersi comprare una garanzia di farla franca».

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