Gli universitari: «A Ravenna mancano alloggi, mensa e spazi per socializzare» Seguici su Telegram e resta aggiornato La voce della popolazione studentesca tramite due associazioni, Sig e Universirà: «Il campus frammentato in tante sedi toglie il senso di comunità. E trovare locali aperti a tarda notte è quasi impossibile» Non bastano sedi didattiche e corsi di studio per trasformare una città in una città universitaria: a Ravenna l’offerta formativa continua ad ampliarsi, ma gli studenti lamentano che le infrastrutture e il tessuto cittadino non sembrano recepire i loro bisogni, in particolar modo di chi è pendolare o vive fuori sede. Le criticità principali rilevate riguardano la frammentazione delle sedi, la crisi abitativa e degli spazi didattici, la mancanza di luoghi sicuri e interni all’università per socializzare o consumare un pasto, e ancora vita notturna insoddisfacente e una proposta culturale troppo elitaria e incentrata su un pubblico adulto. Piacciono invece le dimensioni ridotte della città, la sua storia e le proiezioni per il futuro, che tratteggiano una Ravenna sempre più a misura di universitario. A farsi portavoce degli studenti del campus cittadino sono Arianna Castronovo (rappresentante degli studenti di Giurisprudenza del sindacato studentesco Sig – Studenti Indipendenti Giurisprudenza) e Davide Carpi (presidente dell’associazione studentesca UniversiRà). Castronovo frequenta il quinto anno del corso di Giurisprudenza a Bologna, ma, a causa della mancanza di rappresentanti studenteschi all’interno del polo ravennate, si divide tra le due città per garantire appoggio e supporto agli studenti di Ravenna: «Il rapporto di intensa collaborazione è nato durante l’alluvione e si è intensificato nel febbraio 2024, quando l’emergenza spazi ha colpito in particolare la sede di Giurisprudenza. Il secondo piano dell’edificio fu dichiarato inagibile e a rischio crollo, aggravando la situazione già critica della sede, tra aule insufficienti e la mancanza di spazi per socializzare o sostare tra le lezioni. È come se a Ravenna l’università fosse un luogo da attraversare, e non da vivere». Carpi frequenta invece il secondo anno del corso di Biologia marina e vive a Ravenna dall’ottobre del 2024: «L’accoglienza universitaria è stata fredda. Una parte del plesso in cui svolgevo le lezioni era chiusa per lavori e in un primo periodo la sensazione è stata quella di continuare a frequentare le scuole superiori. Credo che la città debba dotarsi di strutture adeguate per un’offerta più funzionale». Oltre agli spazi didattici «per cui non può bastare un edificio dotato unicamente di aule, sedie e scrivanie», come ricorda Castronovo, manca un servizio di mensa a prezzi accessibili dedicato agli studenti e non tutte le sedi offrono spazi adeguati per i pasti. Le difficoltà legate alla reperibilità e ai costi degli alloggi invece sono note: «L’arrivo nel 2020 degli studenti di Medicina (che oggi conta circa 500 iscritti, ndr) ha impattato sulle possibilità di locazione non solo degli universitari, ma dei cittadini ravennati in generale», appunta Castronovo. Carpi sottolinea invece la difficoltà di trovare alloggi a prezzi accessibili: «La ricerca di una casa è individuale. I dormitori non sono sufficienti a coprire la richiesta degli studenti e i proprietari immobiliari sanno di poter giostrare a piacimento i prezzi». Tra i nodi della vita studentesca vi è poi la frammentazione del polo universitario tra i vari ambienti cittadini anziché l’accentramento in un vero e proprio campus: «L’intuizione di non costruire una cittadella universitaria ex novo, ma di riqualificare vari edifici sparsi – commenta Castronovo – è una scelta che abbraccia la città incentivando una forte contaminazione tra studenti e cittadini. Questo è positivo anche in relazione ai corsi di laurea offerti dall’ateneo, che guardano alla realtà locale, come mosaico, beni culturali o biologia marina. Scegliere un’università diffusa obbliga però a riflettere sulla sicurezza della città, che deve essere garantita a tutto tondo per la tutela degli studenti. Proprio su questo tema, abbiamo presentato lo scorso giugno un’indagine studentesca sulla percezione di molestie e violenza di genere ed è in programma l’istituzione di uno sportello di accoglienza». Il rovescio della medaglia però vede una popolazione studentesca frammentata e poco unita: «Manca il senso di comunità e di “grande università” che si percepisce in città come Bologna – commenta Carpi –. C’è poca coesione tra gli studenti di corsi differenti e spesso mancano le occasioni di confronto. Nel 2015 è stata fondata UniversiRà proprio per sopperire a queste problematiche». Nata dall’intuzione di un gruppo di amici, l’associazione ha creato negli anni diversi momenti di incontro e intrattenimento, dagli aperitivi studenteschi nei bar del centro agli incontri divulgativi. «Una volta l’associazione coinvolgeva un centinaio di persone, ma oggi all’attivo siamo rimasti in tre. Con il ricambio generazionale c’è stato un progressivo abbandono del progetto.Quest’anno proveremo a rilanciarci con un’offerta in parte formativa, con un ciclo di incontri sull’ecoansia e uno per la giornata contro la violenza di genere, in collaborazione con la Casa delle donne, con un focus sulla violenza invisibile del linguaggio, e in parte di svago, con nuove serate universitarie nei bar della città». Le occasioni di svago e “movida” sembrano essere infatti un altro punto carente del Ravennate: «È praticamente impossibile trovare locali aperti a tarda notte. La città è bella e tranquilla, ma anche durante il giorno sembra guardare prevalentemente a lavoratori o pensionati. L’offerta culturale valorizza il teatro, la musica e l’opera, ma sembra muoversi poco “dal basso”. Ravenna non ha ancora un’identità universitaria definita, ma le prospettive per il futuro sono promettenti» si augura Carpi. Anche per Castronovo il tema è cruciale e divisivo: «Se Ravenna vuole diventare una città universitaria sarà fondamentale mettere al centro il tema dello svago, ma questo significa fare delle scelte: la trasformazione della città deve essere dettata da una linea sicura e definita o saranno il mercato e i luoghi di consumo a trasformarla. Bisogna puntare su una socialità sostenibile, che non entri in conflitto con le vite dei residenti e che non dipenda dal consumo. La rivoluzione dovrebbe partire dall’offerta culturale, con una programmazione che riparta dai giovani, intesi non solo come fruitori passivi ma come protagonisti di una scena culturale in crescita. Non farlo significa consegnare Ravenna in mano alle logiche di mercato». Total0 0 0 0 Forse può interessarti... "Uomini in scarpe rosse" a passeggio per la città contro la violenza di genere Violenza di genere: università poco o per niente sicura per due studentesse su tre Due donne denunciate per accattonaggio molesto nel parcheggio dell'ospedale Seguici su Telegram e resta aggiornato