«La protesta di Blu a Bologna è giusta A Ravenna lo vorrei sulle torri Hamon»

Miccoli, promotore del festival di street art, in linea con il writer
che cancella le opere contro il museo. A Cervia un suo pezzo

«La street art non è fatta per essere chiusa nei musei dove serve il biglietto di ingresso ma deve essere fruibile in modo gratuito nel contesto urbano dove è stata realizzata. La protesta di Blu a Bologna mi piace». Marco Miccoli è tra i promotori del festival Subsidenze dedicato alla street art a Ravenna, che si appresta a vivere la terza edizione, e accoglie con approvazione la mossa del celebre writer bolognese d’adozione: da ieri notte sta cancellando le sue opere nel capoluogo emiliano in aperta contestazione con l’istituzione culturale Genus Bononiae (sostenuta da fondazioni bancarie e presieduta dall’ex rettore dell’Università) che il 17 marzo aprirà una mostra dedicata ai graffiti con circa 250 opere strappate dai muri delle città, in alcuni casi senza il permesso degli autori.

«Se un artista decide di realizzare un pezzo sul muro di una città – prosegue Miccoli nel suo ragionamento – lo fa perché concepisce la sua opera come qualcosa di fruibile a tutti, in modo gratuito ma sul posto in cui si trova senza diventare qualcosa di itinerante da un museo all’altro». Ben vengano le tutele delle opere ma nelle forme giuste: «A Pisa hanno messo una parete trasparente a protezione di un muro realizzato da Keith Haring. Non può essere danneggiato ma resta a disposizione di tutti quelli che vanno a Pisa». Senza dimenticare che a volte i pezzi dei writer nascono con intenti a loro volta protettivi: «In certi sono stati fatti per salvare gli edifici che facevano da sfondo. Se vengono strappati…».

Nel Ravennate c’era la firma di Blu (va ricordato, non concede interviste ai media e la sua identità non è palese) su un pezzo realizzato al centro sociale Spartaco, cancellato tempo fa «non so se per sbaglio o per altri motivi». È firmata da Blu anche la volta interna della cupola del Woodpecker, l’ex discoteca abbandonata a ridosso di Cervia. L’opera non dovrebbe correre rischi: «C’è un collettivo che si sta occupando di ridare vita a quegli spazi con un riutilizzo delle aree. Credo non ci sia paragone con chi prende le opere dai muri e le mette al chiuso. Così facendo poi molte volte si finisce per perdere il significato: la street art va interpretata anche in base al contesto in cui viene prodotta, messa in museo viene snaturata». Per questo non andrà a Palazzo Pepoli alla mostra di Genus: «Per quello che ho saputo finora molte opere le ho viste in fotografia. Vederle dal vivo in quel contesto non mi interessa molto».

Ma se un museo è mercificazione dell’opera, un festival con il patrocinio del Comune trasforma la forza di contestazione in arte di Stato? «Credo ci sia differenza tra il privato che commissiona un’opera e il pubblico che chiama un artista con un intento di riqualificazione per un quartiere della città». Insomma l’invito per Blu alla prossima edizione di Subsidenze è già pronto: «So che tempo fa ha partecipato a festival ma non so se vada ancora. Magari venisse a Ravenna, sarebbe bellissimo. Il mio sogno è potergli dare le torri Hamon per un suo lavoro…».

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