Nella palude del pronto soccorso, l’attesa della cura è già la cura?

IMG 7131Benvenuti nella palude dei codici verdi al pronto soccorso di Ravenna, dove il tempo perde valore. Che senso ha passare otto ore e mezza in sala d’attesa prima che un medico ti guardi un labbro spaccato per aver picchiato sul pavimento in casa in una caduta accidentale?

La chiamano Flc, acronimo che sta per ferita lacero-contusa. E sia chiaro: chi scrive sa bene che il conoscente ferito non era in pericolo di vita per un brutto taglio al labbro. Anzi, l’attesa cominciata a mezzogiorno dell’11 febbraio – e durata quanto un volo Milano-New York – è dovuta anche all’urgenza di doverose cure a casi più critici. E chi scrive sa pure che le cronache locali hanno riportato di attese anche più lunghe per pazienti anche più gravi.

Ma al Ps non si va solo se rischi la vita. Se ti squarci un labbro di sabato mattina, battendo la testa per terra, la tua destinazione non può che essere quella, come riconoscerà il medico al momento della visita (delle guardie mediche parleremo un’altra volta…). Il solo fatto che prima di metterti in auto per arrivare in viale Randi ti chieda se ne valga la pena, presagendo ore di interminabile attesa, è già sintomo di un problema. Di cui ragionare con lo spunto di una banale ferita a un labbro e di cui poco parla chi amministra la comunità e la sanità.

Scrollare con il pollice sullo schermo del telefonino come se non ci fosse un domani prosciuga presto il feed di Instagram. E allora cerchi altri passatempi. Guardi in giro e apri le orecchie. Nel momento di massimo affollamento, il camerone contava più di venti pazienti, alcuni molto anziani, qualcuno lì anche da 12 ore. Dodici.

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Un poster appeso al pronto soccorso di Ravenna

Avete mai sentito parlare di privacy? L’infermiere strilla il tuo nome e cognome (non esiste altro modo?) per individuarti tra gli esausti dell’attesa e a lui o lei racconti i tuoi dolori, mentre accanto ti siede un estraneo che ora conosce la tua cartella clinica. Ma quelli sono gli spazi, non c’è distanziamento. Il tutto sotto al poster alla parete che celebra la realizzazione del pronto soccorso nel 2012: “Ampie zone che riducono il livello di promiscuità e garantiscono adeguati livelli di privacy”. Ora ci dicono che il Ps va ampliato di nuovo: lavori partiti un anno fa con l’obiettivo di concludersi a settembre 2023 ma al momento si vede solo un po’ di terra smossa.

Il prolungare dell’attesa aumenta l’esasperazione e un paziente esasperato si aggrappa agli infermieri che vanno e vengono dagli ambulatori: nella migliore delle ipotesi per avere una previsione sui tempi d’attesa (poi regolarmente disattesi), più spesso per sfogare la rabbia. E così anche la gestione della frustrazione diventa perdita di ulteriore tempo per un personale che va sempre di corsa.

E la nostra Flc? Il medico l’ha guardata alle 20.30 e ha diagnosticato tre giorni di prognosi valutando che non servissero punti di sutura ma che fosse il caso di avere il parere di uno specialista. Da consultare il mattino seguente perché di sabato l’otorino lavora fino alle 17 (che era comunque 5 ore dopo l’accesso del paziente in Ps…). Intanto, è il consiglio del medico, teneteci un po’ di ghiaccio. Eh, buona idea, in effetti sarebbe stato utile riceverne più di un sacchettino durante le otto ore sulle sedie in metallo del reparto. Ma il tempo è la migliore medicina, recita l’adagio. L’attesa della cura, non è essa stessa cura?

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