Ravenna, la culla del volley si sta svuotando

La chiamano culla della pallavolo perché dalle parti di Ravenna si gioca da più di un secolo. Palloni e reti arrivarono nel 1918, portati dai soldati americani. Alla luce di questo, vista la situazione attuale del volley, è il caso di dire “Houston, abbiamo un problema”. Le note liete ci sono – la Teodora Settore Giovanile che vince la B2 e la Pietro Pezzi che vince la C – ma se si guarda ai portabandiera ai vertici sono dolori: la Porto Robur Costa è retrocessa in A2 dopo un’umiliante stagione con 24 ko in 24 partite, l’Olimpia Teodora ha deciso di rinunciare alla partecipazione in A2 e vendere il titolo. Se consideriamo che le donne non arrivano alla massima serie dal 2004 e gli uomini hanno fatto undici campionati di Superlega ma sette non contemplavano retrocessioni e due volte il titolo è stato comprato, si può dire che la culla si sta svuotando.

Possiamo raccontarcela quanto vogliamo, ma alla fine è tutta questione di soldi. Come in tutti gli sport di livello. Un numero: l’attuale Porto Robur Costa è una nuova società nata per sostituire quella che due anni fa venne messa in liquidazione con 800mila euro di debiti. Chi ha soldi può permettersi i nomi migliori. Il top della pallavolo ravennate è stato raggiunto negli anni d’oro dell’impero Ferruzzi. Un caso? Oggi un Raul Gardini non c’è più. E c’è stato anche il Covid. Però se il panorama dei vertici del volley è questo, a meno di un anno dalla nascita di un consorzio che dietro la regia del Comune doveva proprio impedire di trovarsi in questa situazione, allora non è che il problema è più grave di quanto venga raccontato dai diretti interessati?

Al momento del lancio del consorzio, il sindaco fece partire un appello a imprenditori e imprenditrici perché mettessero mano al portafoglio. Si ha notizia, ufficiale, di una sola adesione: quella Rcm che aveva appena vinto un appalto pubblico da 230 milioni di euro per scavare i fondali del porto. In questo contesto appare ancora più anomala l’esistenza di più società distinte che finiscono per fare doppioni. La pallavolo femminile, se le giovanili dell’Olimpia vinceranno i playoff, potrà contare addirittura su tre squadre cittadine iscrivibili alla B1. Avrebbe senso nell’anno in cui si è rinunciato alla A2? Probabilmente si troverà un accordo di collaborazione e non accadrà, ma già essere arrivati a questo punto forse mostra una mancanza di programmazione. Il volley cittadino tocca il punto più basso dell’ultimo decennio mentre sono in corso i lavori per costruire un catino da seimila posti. È vero che non si può costruire un’opera del genere solo quando le cose vanno bene. E magari potrà essere anche vero che la mancanza di un impianto di livello può avere limitato le potenzialità delle società. Ma non può sfuggire il paradosso di ritrovarsi con un’arena costata 20 milioni di euro per giocarci il torneo della parrocchia.

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