V13, il doloroso e necessario romanzo di Carrère sul processo per l’attentato al Bataclan

Carrère V13Cosa si può dire dopo un attentato? Come si può parlare di chi quel gesto estremo l’ha compiuto e di chi lo ha subito, senza cadere nella retorica? Come si può spiegare il male?

Questo è un argomento che mi ha sempre molto affascinato, e di cui ho anche scritto in Nero d’inferno (Mondadori) dove racconto la storia del romagnolo che fece saltare in aria Wall Street. Per questo, quando ho saputo, circa un anno fa, che uno degli scrittori più significativi della nostra epoca, il francese Emmanuel Carrère, stava seguendo il processo per l’attentato del Bataclan, la cosa ha subito attirato la mia attenzione.

È finalmente uscito il libro che ha scritto sull’argomento (anticipato da diversi brani usciti su “Repubblica”, mano a mano che il processo avanzava). Si intitola V13, ed è edito da Adelphi.

V13 fa riferimento al Venerdì 13 novembre 2015, giorno dell’attentato. Carrère non delude le aspettative e scrive un resoconto molto dettagliato del processo, dando spazio soprattutto alle testimonianze delle vittime sopravvissute e alle famiglie di quelle uccise. Si susseguono testimonianze agghiaccianti, di ragazze che si sono salvate solo perché credute morte, in mezzo a cataste di corpi, di altri che sono vivi solo perché uno sconosciuto li ha aiutati a fuggire e da quel giorno sono rimasti indissolubilmente legati da un sentimento difficile da definire.

Carrère racconta del senso di colpa che accomuna tutti quelli che sono rimasti vivi quel giorno, che continuano a chiedersi: perché io sono ancora qui e gli altri sono morti?

Il processo è un atto collettivo e doloroso, in cui le loro testimonianze riportano in vita ricordi che si vorrebbero dimenticare, il che contrasta con la cornice asettica e grigia delle macchina burocratica del tribunale, in cui queste parole diventano niente più che faldoni che finiranno sul fondo di un archivio, in mezzo a centinaia di altre parole.

Interessante anche la ricostruzione che Carrère fa dei carnefici. A processo non ci sono gli autori materiali della strage, tutti morti, ma alcuni complici e alcuni presunti simpatizzanti. Carrère ci racconta la vita squallida e priva di prospettive di questi reietti che si ritrovavano al Caffè Le Béguines a Molenbeek, un quartiere di Bruxelles, dove avevano la base operativa. Passavano le giornate guardando video online, in quelle che chiamavano “sessioni di visione”. Erano video di predicatori, ma anche di violenze come la decapitazione del giornalista americano James Foley. Li guardavano, e li riguardavano, come un ipnotico rito collettivo, un graduale abituarsi all’orrore a cui presto avrebbero presto contribuito.

V13 è un libro da cui non si esce indenni. Ferisce e lacera il lettore. Carrère torna a guardare l’abisso venti anni dopo L’avversario e si conferma uno dei maestri nel raccontare la nostra, terribile, realtà, anche quella che vorremmo dimenticare.

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