La vita di Dante (anche a Ravenna) nel saggio di Alessandro Barbero

 

IDante Barberon questo periodo stanno uscendo moltissimi libri sulla figura di Dante. Nel mezzo di questa selva oscura di pubblicazioni alcune sono più degne di nota di altre. Uno dei libri più attesi è uscito in questi giorni, si tratta del saggio del più importante storico medioevista italiano Alessandro Barbero, intitolato semplicemente Dante e pubblicato da Laterza.

Lo storico piemontese è popolarissimo sia per i programmi in Rai, sia per le sue lezioni su Youtube che sono seguite da migliaia di appassionati, anche giovanissimi. Il suo Dante non parla della Commedia né della poetica del sommo, ma è una fedele ricostruzione della vita dell’Alighieri, della passione politica e dei molti problemi che questa gli causò. Ciò che emerge è il ritratto di un uomo frustrato, il cui desiderio di cambiare il mondo tramite l’impegno politico naufraga malamente. La poesia per lui è un luogo in cui rifarsi delle sconfitte politiche. La Commedia è intrisa di messaggi per i suoi oppositori, e un continuo rimpianto, quello di non poter tornare nella sua Firenze.

Barbero dedica l’ultimo capitolo a Ravenna, dove come noto Dante visse gli ultimi due anni di vita. Questo è il periodo di cui ci sono più testimonianze, Dante entra subito a far parte della comunità, ha molti amici in città e scrive parecchie lettere in cui racconta che qui, finalmente, si trova bene ed è ben voluto. I Da Polenta non ricordano, o fanno finta di non ricordare, i versi in cui si prendeva beffa della piccola nobiltà ravennate in cui «l’aguglia da Polenta la si cova», in una città che tanto aveva dato in passato all’amore cortese. La data di arrivo di Dante a Ravenna non la sappiamo, ma c’è un documento in cui nel luglio 1320 viene chiesto al figlio Pietro di pagare un’imposta allo stato pontificio, cosa che non farà e per cui sarà l’anno seguente multato con una “scomunica”. Questo fa presupporre che nel luglio del ’20 fossero già residenti da un po’.

In una lettera a Cecco D’Ascoli Dante scriverà: «Torno a Ravenna: dillà non mi parto». Forse non sapeva quanto quelle parole sarebbero state profetiche. Dopo la sua morte gli ultimi 13 canti del Paradiso non si trovavano. I figli li cercarono da tutte le parti e pensarono anche di scriverli loro apocrifi, poi furono rinvenuti nello scantinato della casa di Dante; l’umidità li aveva quasi corrosi.

Ravenna dopo aver tolto la vita al Poeta stava per distruggere anche la sua Commedia. Dante si era ammalato fatalmente di malaria per una ambasciata a Venezia. Era andato a trattare per il porto di Ravenna, che pagava troppo ai veneziani per l’esportazione del sale delle saline. Così, per un pugno di sale, morì tra il 13 e il 14 settembre 1321 il più grande poeta d’Europa. «Quella notte il profeta andò a scoprire se quanto aveva immaginato in tutti quegli anni era vero».

 

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