“Il museo della lingua italiana”: viaggio dall’indovinello veronese all’emoji

Antonelli Museo Lingua Indovinello: «Teneva davanti a sé i buoi, arava bianchi prati, un bianco aratro teneva e un nero seme seminava». Cos’è che ara bianche superfici e lascia del nero dietro di sé? Se i buoi sono le dita e il bianco aratro è una penna d’oca, stiamo parlando della scrittura.

Questo indovinello, noto come “indovinello veronese” è il primo testo mai scritto in lingua italiana. È datato 770 e si trovava sul retro di un testo sacro in latino trascritto da un monaco amanuense.
Perché non scrisse questo indovinello in latino? Forse era solo un gioco oppure stava provando la penna, non lo sappiamo, però decise di scrivere nella lingua in cui parlava e non in quella “ufficiale”. Ovviamente come l’ho riportato è tradotto in italiano corrente, quello dell’epoca suonava così: «Se pareba boves, alba pratàlia aràba, et albo versòrio teneba, et negro sèmen seminaba». Come si capisce è una lingua che non è ancora italiano, ma non è più latino. La mutazione era iniziata oralmente, e per la prima volta ne avevamo testimonianza.

Giuseppe Antonelli, professore di storia della lingua italiana (che recentemente stato ospite al Mar), racconta la storia della lingua italiana in Il museo della lingua italiana (Mondadori), un ricco albo illustrato con le foto dei testi cardine della nostra bellissima lingua. Parte dal 700 e arriva fino a oggi.
Più che per merito di poeti e scrittori, i passaggi dell’evoluzione dell’italiano sono arrivati noi soprattutto grazie a lettere dei mercanti e atti di compravendita di terreni. È questa immensa quantità di documenti che testimonia l’italiano popolare e le sue forme durante il medioevo. La lingua poi si è molto rinnovata dopo la rivoluzione industriale. Grande inventore di nuovi lemmi, per stare al passo coi tempi, fu Gabriele D’Annunzio a cui dobbiamo parole come velivolo, scudetto e tramezzino, per sostituire “l’odioso inglesismo” sandwich.

Antonelli parla anche del dialetto, che Pasolini negli anni ’60 prevedeva sarebbe scomparso, e al contrario – secondo il linguista – ha ancora una grande vitalità, come dimostra il fatto che sia usato anche per campagne pubblicitarie (esempio quella di Nutella), canzoni, film e serie televisive. Proprio in questi giorni possiamo sentirlo ad esempio ne L’amica geniale, tratto dal libro di Elena Ferrante per la regia di Saverio Costanzo in onda su Rai1. Molte anche le parole mutuate dal francese, spagnolo e arabo (come divano, dall’arabo divan, che significa panca).

Emoji Smile LaughOggi però la lingua italiana subisce da una parte il fascino spudorato dell’inglese, e dall’altro ha la tentazione di perdere addirittura le parole sostituite dagli emoji. Nel 2015 infatti la parola dell’anno secondo secondo l’Oxford Dictionary è stata questa: «Torna alla moda la scrittura geroglifica. I sentimenti e le idee non si vogliono più scrivere ma rappresentare, e non sapendo significare le cose con le parole le vorremmo dipingere e significare con i segni».
Chi è che così sapientemente sa descrivere l’incombere di faccine, cuoricini e disegnini vari nel vocabolario italiano? È Leopardi, che scrive queste righe nel 1821, segno che agli italiani la tentazione di “fare prima” e sostituire l’immagine alla parola ha radici antiche.

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