Le vite rotte di Janek e Nasser

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Visto che in estate si legge di più vi consiglio questa volta due libri, per fare la conoscenza di due persone, molto diverse tra loro, ma che possono dirci qualcosa sul nostro tempo.

Il primo è Janek. Immaginati di passare una serata parlando con uno sconosciuto che vive per strada, bevendo vodka calda seduti su un cartone. Questo è Storia di mia vita (Sellerio) scritto da Janek Gorczyca, un senzatetto polacco che vive dal 1998 nelle strade di Roma. Ha scritto la sua vita a mano, in una pila di fogli, e li ha consegnati a uno scrittore che ogni tanto si era fermato a parlare con lui, così Sellerio è giunta in contatto con questo originalissimo manoscritto. Scritta in un italiano sgangherato e improbabile, la storia di Janek è incredibile. Vive nel nostro stesso paese, ma ha un’esistenza invisibile, fatta di incontri fortuiti, è una montagna russa di emozioni. Una vita estrema, senza compromessi. Fatta di alcolismo, freddo, risse, ospedali e ancora botte. L’autore non nasconde aspetti vili della sua esistenza, di cui chiunque si vergognerebbe a parlare anche solo con un amico, scrivendo un memoir con una spiazzante sincerità.

Muro

Con il secondo invece ci spostiamo in Palestina. Anche in questo caso è l’autore in prima persona a raccontarci la sua storia, ma se Janek non ha mai avuto un tetto sulla sua testa, Nasser invece è all’opposto chiuso perennemente tra quattro pareti. Nasser Abu Srour è un prigioniero politico, detenuto in un carcere israeliano dal 1993, pena l’ergastolo. Il reato? Non gli è mai stato contestato. È dentro senza che nessuno gli abbia detto il motivo. Anche in questo caso la pubblicazione segue una strada strana, infatti ai carcerati non è consentito comunicare con l’esterno. Le pagine scritte a mano sono uscite in via clandestina dalla cella. Dieci alla volta. Impiegando oltre due anni. Nel suo libro Il racconto di un muro (Feltrinelli) ci parla della sua vita, che l’autore narra all’unico testimone che potesse ascoltarla: il muro della sua cella. «Io sono nato nel campo profughi di una cittadina che chiamano ancora “Città della pace”, benché, in realtà, della pace abbia conosciuto solo l’assenza. Andandosene, infatti, il profeta dell’amore si è portato via anche tutte le sue buone novelle permettendo, così, che la città sprofondasse in una foresta di lance in resta». Nelle pagine emer- gono tutte le contraddizioni che hanno portato al conflitto odierno a Gaza, ma ci sono anche riflessioni sul senso della vita, su Kierkegaard e Freud, e anche su Marx. Il libro si chiude con una citazione del persiano Ali Shariati: «L’essere umano riceve la propria esistenza per nascita e la propria essenza per scelta». Srour ha saputo ritrovare la sua essenza proprio in queste pagine, intense ed evocative.

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