Paolo Nori e Raffaello Baldini

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Uno dei grandi poeti del ‘900 italiano scriveva in dialetto romagnolo. Questa sua caratteristica è forse quella che oggi lo penalizza di più nel ricordo nel resto d’Italia, dove il dialetto non solo non lo capiscono, ma non capiscono nemmeno perché si dovrebbero scrivere poesie in dialetto. Perché sono ignoranti. Sto parlando del santarcangiolese Raffaello Baldini, che quest’anno avrebbe 101 anni, e di cui ricorre il ventennale della scomparsa. In questo anniversario, un po’ sommesso, è uscito un libro che parla di lui scritto dall’emiliano Paolo Nori e che si intitola Chiudo la porta e urlo (Mondadori).

Il libro di Nori ha una forma strana, non è proprio un romanzo, non è certo una biografia, ma ha un’andatura singhiozzante e ipnotica in cui il Nori intreccia elementi della sua vita con spunti di riflessione emersi dall’opera di Raffaello Baldini. Nori ricalca in alcune parti la cadenza di quella poesia così immediata e diretta da “non sembrare nemmeno poesia”, come disse una volta una signora a Ivano Marescotti al termine di un recital di poesie di Baldini. “Poesie che non sembrano poesie”, una definizione che piacque molto a Baldini. Se da noi i versi di Lello sono molto conosciuti proprio grazie a Marescotti, non si può dire altrettanto nel resto d’Italia. Paolo Nori stesso mi ha raccontato che dopo un incontro sul suo romanzo a Pisa una ragazza gli ha chiesto se questo Baldini se lo fosse inventato lui. E invece Baldini esiste, eccome! Le sue opere poetiche e teatrali sono pubblicate da Einaudi, nella più prestigiosa delle collane, e qualche anno fa Daniele Benati ed Ermanno Cavazzoni ne hanno curato anche una Piccola antologia in lingua italiana edita da Quodlibet. A Ravenna abbiamo la banchina del porto canale della Darsena dedicata a Baldini.

Dopo aver raccontato Dostoevskij e Anna Achmatova, Nori ha scelto di confrontarsi con “Lello”, “per me era naturale che fosse così” spiega. “Una cosa mi piace di Tolstoj, di Dostoevskij, di Anna Achmatova, di Raffaello Baldini, della letteratura, è il fatto che mi fanno vedere le cose che sono in casa mia, che mi circondano, come se le vedessi per la prima volta”. Fa strano pensare come tre dei grandi poeti italiani vivessero a Santarcangelo negli stessi anni. Si conoscevano bene e frequentavano lo stesso bar, in piazza delle Erbe. Erano Raffaello Baldini, Tonino Guerra e Nino Pedretti. E viene da chiedersi che vino servissero a questo bar, per aver alimentato le idee di questi tre soggetti! Nelle poesie di Baldini c’è quel senso di smarrimento che ci aiuta a sentirci meno soli, c’è quella insensatezza della vita. E allora mi è venuta in mente quella poesia che si chiama Bottega in cui c’è un uomo che vende tutto quello che ha in negozio e decide di lasciarlo vuoto. E la gente che entra gli dice, “che senso ha tenere una bottega vuota? Chi vuoi che ci venga?”, e lui risponde qualcosa del tipo “e che ne so, siete voi che siete entrati”.

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