Quando Freud e Jung passarono per Ravenna, che segnò il loro subconscio

Sigmund Freud

Sigmund Freud

di Matteo Cavezzali

Ravenna ha avuto un ruolo per il subconscio. Entrambi i padri della psicanalisi vennero in città, non rimasero colpiti solo dalla bellezza del luogo, ma nel loro subconscio qualcosa rimase. Vediamo perché.

Sigmund Freud venne in città nel 1869 e ne rimase deluso. Immaginava il luogo in cui era seppellito il grande Teodorico come una città ancora nobile, ma la trovò molto diversa. Ne parlò nelle sue lettere come di un «buco miserando», piena di poveri e vagabondi, che vivevano anche abbarbicati tra i resti del palazzo dell’imperatore Teodorico. Apprezzò solamente tre cose: i mosaici, i fichi raccolti accanto al mausoleo di Teodorico e soprattutto il vino: «stiamo splendidamente, credo che a questo contribuisca molto il vino», scriverà alla moglie Martha, dopo essersi ripreso dalla prima delusione.
Ma Ravenna tornerà a visitare Freud nei suoi sogni. Nel suo L’interpretazione dei sogni, infatti, scriverà di aver visto nel sonno «una città che non ho mai visto da sveglio» dopo un po’, procedendo passo dopo passo in questo luogo surreale il professore riconoscerà quel luogo in cui in realtà è già stato: «Scopro il paesaggio del sogno nei suoi elementi, i fiori bianchi indicano la città di Ravenna, che io conosco e che almeno per un breve periodo ha strappato a Roma il privilegio di essere capitale d’Italia. Negli acquitrini di Ravenna, avevamo colto nell’acqua nera le più belle ninfee… ci era costata molta fatica coglierli nell’acqua».
Volendo quindi psicanalizzare Freud si può intuire nel suo racconto che Ravenna è diventata nel suo subconscio un simbolo ambivalente: da una parte la decadenza fisica (la povertà miseranda delle condizioni della città a fine Ottocento) e quella simbolica (la città in cui è tramontata la storia dell’impero), dall’altro però è anche segno di rinascita (le ninfee bianche che spuntano dall’acqua nera, che possono però essere raccolte solo dopo un grande sforzo).

Carl Gustav Jung

Carl Gustav Jung

Il secondo padre della psicanalisi che visitò Ravenna fu Carl Gustav Jung che in questa città visse una esperienza paranormale, che non si potrebbe spiegare se non grazie al subconscio.
Jung infatti visitò Ravenna nel 1914 assieme a una sua assistente. Quando tornò i due scrissero assieme un saggio partendo dall’analisi di un mosaico che avevano osservato nel battistero Neoniano, era l’immagine di Pietro che affoga. Analizzarono quella figura come un archetipo, una sorta di principio.
Quando però tornarono a Ravenna esattamente venti anni dopo fecero un’agghiacciante scoperta: quel mosaico non era mai esistito. Avevano scritto pagine e pagine su una cosa inesistente. Come era stato possibile che entrambi avessero visto qualcosa che non c’era? Si erano forse fatti suggestionare da qualcosa?
Nelle sue memorie Ricordi, sogni, riflessioni Jung racconta: «Ho conservato un chiarissimo ricordo del mosaico di Pietro che affoga, e ancora oggi posso vederne ogni dettaglio. Appena lasciato il battistero mi recai subito da Alinari per comprare fotografie dei mosaici, ma non ne potei trovare. Quando ero di nuovo in patria, chiesi a un mio conoscente che andava a Ravenna di procurarmi le riproduzioni. Naturalmente non poté trovarle, perché poté constatare che i mosaici che io avevo descritto non esistevano!».
Anche in questo caso c’è un segno di inizio e di fine. Jung vede Pietro, il padre fondatore della Chiesa, morire affogato, scomparire per sempre nell’elemento vitale che circonda la città, ovvero l’acqua. Spesso Jung parlerà dell’acqua come simbolo di vita, fin dalla rottura delle acque prima del parto. Inizio e fine coincidono nuovamente. Eppure niente di questo è avvenuto davvero, Pietro non è mai affogato perché è morto crocefisso a testa in giù per mano dei romani, e nessuno lo ha mai ritratto in un mosaico, ma tutto questo è avvenuto solo nella parte nascosta della mente dello psicanalista.

Ravenna è quindi un archetipo da cui nemmeno i padri della psicologia hanno saputo difendersi. E a voi, Ravenna, è mai apparsa in sogno?

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