Io sono lo straniero: un’orchestrazione che travolge il lettore

Il nord est italiano è stato ricco, ha saputo trasformarsi da zona depressa in locomotiva dell’economia italiana, segnando la differenza rispetto al resto del paese per molti anni. Naturalmente, come sempre accade, quella ricchezza improvvisa, anzi quella vera e propria l’opulenza, non risolse le contraddizioni che attraversavano la gente di quelle terre (forse di tutte le terre), anzi in alcuni casi le acuì. E il razzismo divenne una delle cifre principali della vita di ogni giorno; non a caso la Lega Nord arrivò a raccogliere il 30 per cento dei consensi.
Il nuovo romanzo di Giuliano Pasini, Io sono lo straniero (Mondadori), si muove in questo contesto, regalando un altro episodio della vita del commissario Roberto Serra. Leggerlo è un piacere e, se Venti corpi nella neve aveva davvero convinto, qui si resta travolti dall’orchestrazione della vicenda, apparentemente iperbolica, che chiude ogni sottotraccia con precisione; affascinanti dalla qualità della scrittura; commossi grazie alla capacità dell’autore di raccontare i sentimenti. E ci si sente orgogliosi (in questi giorni aiuta più che mai) di aver toccato con mano come si possano difendere i diritti civili di tutti anche (soprattutto?) con la letteratura. Le donne, infine, sono assolute protagoniste della vicenda e a loro sono dedicate le pagine più intense.
Un po’ di trama non guasta: il commissario Serra  è capitato a Termine, vicino a Treviso; traccheggia dirigendo l’ufficio stranieri della questura, fa il cuoco “dilettante” in un’osteria immersa nei vigneti di Prosecco. Mentre cerca di tenere sotto controllo la sua “danza”, deve affrontare l’abbandono della fidanzata Alice, che ama con tutto se stesso. Così, la quiete già incrinata da questa ferita, viene distrutta dalla scomparsa di una ragazza; in realtà le giovani donne che sembrano essersi dissolte nel nulla sono quattro, invisibili a tutti perché immigrate clandestine. Quando poi la lenza di un pescatore di frodo fa uscire dalle acque scure di un lago il corpo senza vita di un neonato, la quiete e l’opulenza del nord est si frantuma in mille schegge d’orrore. Roberto Serra affronta i propri mostri e le proprie paure quasi con disperazione, con la stessa forza con cui corre in salita, fino allo sfinimento. E Giuliano Pasini regge il ritmo di quell’ansimare con assoluta partecipazione e bravura, fino alla soluzione di ogni intrigo (e l’aggettivo va inteso nel nodo più ampio possibile).
Ah, l’idea di punteggiare i passaggi della trama con i tempi di crescita e maturazione dell’uva funziona benissimo e dà una chiave di lettura in più.

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