Ancora una donna uccisa, ma è femminicidio? Seguici su Telegram e resta aggiornato Nel caso della giovane Giulia, martoriata pochi giorni fa, probabilmente non lo è. Lo è stato nel caso della povera Saman Abbas, strangolata dallo zio pachistano con il consenso dei genitori, perché li aveva disonorati. Si era opposta alla loro violenta cultura patriarcale. Perché un omicidio si possa considerare un femminicidio, se non si vuole strumentalizzare politicamente questa parola, è necessario che vengano soddisfatte, quanto meno, due condizioni. La prima è che la donna sia uccisa per mano di un uomo, o comunque per una ragione legata al suo genere femminile. La seconda è che il delitto sia prodotto da una cultura maschilista e patriarcale. Ovvero improntata su una primitiva semplicità, dove il maschio capofamiglia è “padre padrone”. Ed esercita questa tirannia sia nei confronti della moglie, sia nei confronti dei figli. Non mi pare il caso della povera Giulia. Il padre del ragazzo che l’ha uccisa, nelle interviste, mi è parso tutt’altro che un uomo di cultura violenta. La mia opinione ovviamente risente dei limiti di quanto si può giudicare attraverso la televisione, ma non mi è sembrato proprio che possa aver insegnato, né legittimato indirettamente, a suo figlio, la violenza nei confronti del genere femminile. Questo genitore è sconvolto, affranto, destabilizzato, sbigottito per quanto successo alla ragazza per mano di suo figlio. Peraltro, di dinamiche patriarcali, da padre padrone, nelle famiglie attuali ne vedo poche. Vedo piuttosto genitori timidi, che hanno paura a sgridare i figli se prendono un brutto voto a scuola. Che non sanno imporsi in modo autorevole quando occorre. Sono spesso vinti da un misto di pigrizia e di scontata remissione. Volto pagina. Ricordate il film “Quo Vado” di Checco Zalone? Quello in cui per seguire il “posto fisso” lui si innamora di una ragazza del nord Europa e va a vivere con lei nella Norvegia continentale, insieme ai tre figli che la donna ha avuto da tre padri diversi e di tre nazionalità diverse. Checco inizia anche a lavare e stirare, diventa civilissimo. Ha perso tutte le “brutte abitudini da italiano”. Ebbene, in Norvegia, patria della cultura più paritaria ed evoluta, le donne assassinate sono, in proporzione, le quattro volte rispetto all’Italia. Quindi l’accento non è da mettere solo sulla cultura patriarcale, che per carità esiste ancora, ma è residua più che dominante. Va posto anche, e soprattutto, su altro. Su cosa? Sulla scarsa capacità delle persone a tollerare le frustrazioni. Sulla tendenza ad agire d’impeto senza mentalizzare. Siamo una società rapida e molto impulsiva. Dalle lettere in carta, siamo passati alle e-mail, dalle e-mail a Facebook, da Facebook a Instagram, da Instagram a Tik Tok. Un’escalation di rapidità visiva ed emozionale. Un’ultima considerazione. A dispetto di quanto appaia, il numero annuale delle donne uccise non è cambiato molto negli ultimi dieci anni. È pressappoco rimasto lo stesso. Per completezza va anche ricordato che negli ultimi anni c’è stato un importante incremento delle risorse stanziate da parte dello Stato italiano per arginare il fenomeno. Possiamo quindi dire che il numero delle vittime rimane sì stabile, ma nonostante ci sia una maggiore attenzione. Quindi le cose sono peggiorate, oppure le iniziative introdotte non sono servite a molto. Bisogna riconoscere che le motivazioni che spingono uomini comuni a diventare beceri assassini, vanno ricercate negli interstizi mentali dei singoli soggetti. Nelle contemporanee connotazioni antropologiche. Nei movimenti sociali invisibili, oppure estremamente visibili, come quelli dati da una cultura visiva ed emozionale sempre più rapida. Si perde tempo a ricondurre, semplificando, gli omicidi delle donne solo alla cultura maschilista. La nostra, più che una società patriarcale, è una società debole. Veloce, ma debole. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo