Chi critica piazza Kennedy forse non sa divertirsi Seguici su Telegram e resta aggiornato Caro Dottore, quante polemiche per piazza Kennedy, a mio avviso anche eccessive. Secondo lei c’è anche un risvolto psicologico oltre che estetico, funzionale, politico, in tutto questo? Federica Cara Federica, rispondo con alcuni aneddoti. Il primo: qualche settimana ero a pranzo con un gruppo di amici. Tra le altre persone c’era una signora separata con suo figlio, di circa dieci anni. Il bambino ha chiesto alla mamma di chiamare il babbo per fare qualcosa con lui. Arrivato, il padre anziché proporgli qualcosa, si è seduto e domandava lui al figlio cosa fare. Non aveva iniziative. Credo che al bambino sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Dopo un po’ si è rassegnato, è tornato vicino alla mamma. Secondo aneddoto. Stavolta un bambino con entrambi i genitori, in un parco pubblico a Ravenna. Il ragazzino correva su e giù, mostrava cosa aveva raccolto. Gli adulti, seduti su una panchina, accennavano a qualche interazione ma senza slancio. Ho sentito l’uomo dire rivolto alla donna “A Ravenna non c’è mai niente da fare”. Terzo episodio. Un amico mi ha fatto ridere raccontandomi l’odissea su Whatsapp per organizzare una cena: “Abbiamo fatto una chat di gruppo per decidere il posto. Non immagini quanti messaggi per mettere d’accordo sei, sette persone. Che poi era uno, il disturbatore. Alla fine abbiamo fatto come voleva lui per finirla”. Cosa hanno in comune queste storie? Che spesso le persone, gli uomini in particolare, si ritrovano a corto di iniziative, non hanno inventiva, e la mancanza di idee proprie è percepita dal soggetto in modo più o meno cosciente e non si piace, ma anziché fare autocritica critica gli altri. Rispetto a piazza Kennedy non entro troppo nel merito rispetto a valutazioni architettoniche ed urbanistiche, ma mi sento comunque di dire che non mi sembra affatto brutto l’intervento realizzato. Mi concentro invece sulle tante polemiche mosse, quando, ad esempio, i bagni sembrava fossero diventati il primo problema della città. Credo che il motivo più che nell’oggetto urbanistico sia da individuare in un meccanismo che in psicanalisi si chiama “spostamento”. È il meccanismo mediante il quale l’energia pulsionale viene trasferita da una rappresentazione all’altra: sentimenti inaccettabili vengono spostati e vanno ad investire un oggetto sostitutivo. Le persone che ho descritto negli aneddoti non accettano la loro mancanza di intraprendenza, data probabilmente da latenti insicurezze personali, ed allora nel primo caso il padre lascia il cerino in mano al figlio. Nel caso della coppia al parco la loro difficoltà di fronte all’entusiasmo del bambino, faceva loro dire che la città non offre molto. Il tipo della chat, chissà cosa aveva, magari si sentiva inadeguato, era agitato per quella cena e dava la colpa al posto ed all’orario. Insomma chi critica tanto i posti forse ha problemi personali ad esprimere entusiasmo ed a godersi le cose. Non serve chissà che cosa per stare bene. Chiudo pensando a Fiorello, lui per fare il suo programma non ha bisogno di chissà che. Gli basta il bar sotto casa dal quale trasmette. Total38 38 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo