La Maratona di Ravenna, un’impresa di gambe e di testa Seguici su Telegram e resta aggiornato Qualche anno fa comprai una bicicletta da corsa per rimettermi in forma. Non ero abituato a pedalare. Dopo aver preso confidenza con il sellino, iniziai a fare qualche uscita. Il mio massimo risultato fu un faticoso giro di una quarantina di chilometri. Quaranta chilometri in bicicletta, non a piedi. La scorsa settimana si è svolta la “Maratona di Ravenna – Città d’Arte”. Tredicimila persone in totale, di cui più di duemila partecipanti alla maratona vera e propria, quella di quarantadue chilometri e centonovantacinque metri. Mi ha sempre incuriosito cosa stimoli questi atleti, e soprattutto come essi gestiscano una simile impresa fisica e mentale. L’altra sera ho rivisto l’amico Rudy Gatta che ha corso la maratona. Gli ho chiesto in merito. Oltre all’entusiasmo con cui mi ha raccontato, mi ha evidenziato parallelismi mutuabili alla vita di tutti i giorni. Tendenzialmente gli allenamenti preparatori alle maratone arrivano a trenta chilometri, non di più. Gli ulteriori dodici sono da gestire con la testa, più che con le gambe. La corsa lunga è anche metafora di quelle esperienze per cui non si è mai davvero pronti. Dove non basta allenarsi e pianificare tutto, ma è pure necessario possedere anche un assetto interno, di tipo mentale, che permetta di gestire le emozioni travolgenti. Dopo il trentesimo chilometro si passa, con grande rapidità, da momenti di euforia, ad altri di segno opposto, tanto pieni di sfiducia e di fatica, che senza un equilibrio mentale ci si arrenderebbe. Ci si fermerebbe per non più proseguire. È la consapevolezza di sé che permette di superare questa crisi ed andare avanti stringendo i denti. Ed è la stessa consapevolezza che trattiene dal seguire l’euforia ed aumentare il passo, per poi doversi fermare esausti pochi metri dopo. Mentre ascoltavo questi discorsi mi sono corse alla mente tante corrispondenze non solo sportive. La preparazione e la gestione dell’imprevisto e dei suoi richiami ammaliatori, nel bene e nel male, sono quindi due caratteristiche fondamentali. Suggestioni pericolose come quelle delle sirene di Ulisse, che lo costrinsero a legarsi all’albero della nave. L’Eroe avrebbe voluto slegarsi, ma Perimede e Euriloco, lo strinsero all’albero ancora più forte. La mitologia di Perimede ed Euriloco ci insegna cosa intendiamo oggi per resilienza. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo