Psicoanalisi al bar, col pescatore tunisino in cerca di se stesso Seguici su Telegram e resta aggiornato Tanti anni fa feci un’esperienza da stagista per un’organizzazione teatrale che programmava la stagione di prosa. Evidentemente il mio gusto a scavare canali culturali, a mettere a contatto mondi inizialmente lontani, c’era già allora. Proposi di occuparmi della promozione della stagione entrante nelle scuole. Era la prima volta, era un’esperienza inedita per i professori, i teatranti e soprattutto per gli studenti. Andammo nei licei, negli istituti tecnici, ma il ricordo più felice che ho è legato a una scuola professionale di agraria. Nonostante avessero quindici, sedici anni, quasi tutti quei ragazzi, il pomeriggio lavoravano fino alla sera tardi nei poderi di famiglia e nelle loro stalle. La mattina andavano a scuola, quando non c’era da lavorare a casa. Alla presentazione del cartellone mi sedetti tra gli studenti. In cattedra il direttore artistico cercava di suscitare il loro interesse, con fatica. Quasi tutti scherzavano tra loro. Tranne quello a fianco a me. Una sorta di “omone”, nonostante fosse un ragazzino sarà stato alto uno e novanta e largo come un armadio. Portava una camicia di flanella a quadri, lo ricordo ancora. In silenzio ascoltava. Quando il ragazzo davanti a lui si alzò in piedi per “fare casino”, lui gli appoggiò la mano sulla spalla, una mano gigantesca. Oltre alla spalla gli abbracciava il collo. Con voce forte e ferma gli disse: «Métat in’ sdé, c’a voi sintì! (Mettiti a sedere, che voglio ascoltare)». Il ragazzotto davanti si sedette all’istante, e non fiatò più; come il resto della classe. Non so quanti di quei ragazzi si siano avvicinati al teatro, ma mi piace immaginare che “l’Omone” si sia abbonato alla stagione teatrale. Eravamo riusciti a fargli scoprire qualcosa di interessante che non conosceva. Qualcosa di inizialmente lontano dalla sua cultura e dalle sue abitudini. Avevo scavato un canale culturale. Lo stesso è successo l’altro giorno in un bar di pescatori. Parecchi di loro sono tunisini. Sanno che lavoro faccio, ma non sa nno esattamente in cosa consista, comunque pare gli interessi. Quantomeno gli è chiaro che la mia è una professione di aiuto. «Io non riesco a trovare un affitto migliore, tu che fai lo psicologo come mi puoi aiutare?» mi ha detto uno. Non l’ho interrotto. Non gli ho risposto che l’interlocutore giusto sarebbe stato un agente immobiliare, o l’assessorato alle politiche abitative del Comune, se esiste. L’ho lasciato parlare. Ha continuato: «Se le cose dipendono da me, va bene. Io non mi scoraggio. Non mi batte nessuno. Vado come un treno. Mi sono comprato anche una quota di una barca, ma gli altri (gli italiani, ndr) mi danno contro, ci danno contro. Sempre contro. Allora sto in casa e non voglio parlare con nessuno». Implicitamente evocava effettivamente concetti psicologi. Parlava di empowerment, ovvero la conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, di resilienza, accennava alla capacità di adattamento, alla percezione dell’altro, tra realtà e forse tratti leggermente persecutori. Mi sono sentito di dirgli: «Trovare un affitto non è facile, ma se andassi da una persona che fa il mio mestiere forse potreste capire se gli altri ti danno contro effettivamente così tanto. So che il Comune, la Regione ha iniziative di aiuto per i pescatori. Per te compreso. Forse l’esserti trasferito dal tuo Paese, il dover lavorare in un contesto dove la cultura è tanto differente, distante da quella delle tue origini ti affatica molto. Forse per reagire alla fatica a volte lotti come un leone, altre volte ti chiudi a riccio, tanto da vedere tutti come nemici. Ma non lo so, la mia è solo un’ipotesi. Comunque, il mio lavoro consiste nel promuovere, con le persone che vengono da me, riflessioni di questo tipo». Mi guarda, mi scruta proprio. Un suo amico arriva dal bar con due birre in mano e gli parla in arabo. È una frase disimpegnata, lo intuisco dal tono, ma non ho la minima idea di cosa gli stia dicendo. Più chiara invece mi è stata la sua replica: «Adesso no, arrivo dopo. Questo qui (io, ndr) fa pensare. Sembrano pugnette, invece fa ragionare». Testuale. Anche questo è un inizio, un canale culturale scavato felicemente. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo