Sono tornato in campagna a fare lo psicologo Seguici su Telegram e resta aggiornato La quarantena, a cui ci ha costretti il Coronavirus, ha cambiato le abitudini di tutti. Personalmente sono tornato ad abitare, durante questa fase nella mia città d’origine: Cotignola. Ho preferito godere della campagna e della natura, rispetto al centro di Ravenna. La quotidianità, è fatta di tante cose, compreso l’andare a fare la spesa. Proprio in fila al supermercato mi è venuta l’idea di rendermi disponibile gratuitamente per i miei concittadini, ma non solo, con un servizio di consulenza psicologica. Davanti all’alimentari del paese, le persone intorno a me, sparpagliate a debita distanza tra loro, aspettavano il loro turno in silenzio, con lo sguardo teso e preoccupato. I pochi che si parlavano lo facevano con voce bassa. Dato che noi romagnoli siamo individui di relazione, mi sembrava di assistere ad una scena innaturale. In diversi mi hanno telefonato, manifestando spesso storie silenti. Vorrei qui condividere un breve rendiconto di quest’esperienza. Mi concentrerò sulla tipologia degli “operatori”: ovvero coloro che sono stati chiamati a lavorare in prima linea da questa emergenza. Nella fatti specie addetti al supermercato, operatori sanitari e personale delle forze dell’ordine. Tra i sanitari, oltre al personale infermieristico mi hanno chiesto un confronto diversi medici, perlopiù di base. Non è così consueto, che i medici di famiglia si rivolgano allo psicologo, o allo psicoterapeuta. Significa che si sono sentiti davvero in una situazione eccezionale. «Siamo in mezzo ad una dolore inumano», ha detto una dottoressa. A sottolineare l’eccezionalità, la situazione innaturale e fuori dalla propria rutine. Gli infermieri sono una risorsa preziosissima. Quelli che mi hanno chiesto un consulto lavorano all’ospedale di Lugo di Romagna, convertito in ospedale Covid, dove all’inizio le indicazioni che i dirigenti davano al personale infermieristico erano anch’esse in divenire, non sempre chiare e precise. Questo ha penalizzato il senso di sicurezza emotiva degli operatori. «Mi sono sentita sballottata – mi ha detto una di loro – non eravamo abituati a doverci bardare, a doverci proteggere. Prima i ruoli erano definiti. Noi eravamo i sanitari che si occupavano dei malati. Adesso anche noi ci ammaliamo della malattia che ha il paziente. Alcuni miei colleghi sono stati intubati. Non c’è più quel confine sanitario e mentale per svolgere il lavoro ad una giusta distanza». Alcuni sono stati investiti anche da uno scombussolamento organizzativo, oltre che emotivo. Per esempio il reparto dove questa infermiera lavorava è stato chiuso. Anche questo contribuisce al senso di ansia e smarrimento. Mi ha fatto molto piacere ascoltare anche persone in divisa. A San Potito, una frazione nel lughese, qualche tempo fa sono apparsi cartelli con la scritta “Polizia municipale come le SS”. Si tratta di un episodio estremo, ma sono anche diversi i cittadini che percepiscono in modo autoritario le forze dell’ordine. Gli operatori di polizia, i carabinieri, le forze dell’ordine in genere, patiscono questa diffidenza nei loro confronti. Spesso sono persone che si sono trasferite dalle proprie città d’origine. Una scelta non semplice e scontata che ha impattato sui propri affetti e sulle proprie relazioni. Si trovano in città nuove, è normale che avrebbero umanamente voglia di sentirsi accolti. Invece, anziché percepire una dimensione inclusiva ricevono spesso sguardi diffidenti. Si sentono additati come arroganti, quando invece offrono un servizio alla comunità. Non va poi dimenticato che normalmente il “nemico” di un poliziotto è un delinquente, la minaccia è rappresentata da un arma concreta. Adesso il nemico è invisibile, è un virus. Una novità a cui si sono dovuti adattare. Mi sono fatto anche un idea sul perché ci sia stata questa tendenza a percepire gli organi di polizia in modo repressivo ed autoritario. L’isolamento a cui ci ha obbligato la quarantena, l’essere costretti a restare in casa da soli con i propri pensieri, ha favorito l’aspetto persecutorio. La sensazione di essere vittime e vessati dagli altri è una manifestazione piuttosto comune data dal disagio emotivo. Vale sia per le patologie più gravi, come i deliri, ma anche per quelle più lievi. Un esempio è la sensazione di sentirsi prevaricati da un vicino di casa, oppure l’ansia data dal timore di essere criticati o derisi. Ora, se a questa attitudine ci aggiungiamo lo stress da isolamento e il rischio di prendere la multa, quando. soprattutto durante la fase uno, si usciva raramente, per poco di più che prendere una boccata d’aria, si capisce perché alcune persone abbiano identificato le forze dell’ordine in figure persecutorie. Comunque un sentito grazie a tutti loro: dagli addetti ai supermercati, ai sanitari alle forze dell’ordine. Total0 0 0 0 Seguici su Telegram e resta aggiornato leggi gli altri post di: Lo sguardo dello psicologo