I rifugiati dovrebbero giocare a calcio insieme agli italiani

La notizia (pubblicata da Ravennaedintorni.it e ripresa un po’ in tutta Italia) è questa: dopo una mega rissa il Comune ha deciso di ritirare dal campionato amatoriale la squadra di calcio composta da richiedenti asilo del progetto Sprar, che per la prima volta partecipava a un torneo ufficiale.

«La nostra squadra – hanno scritto i referenti del progetto alla Uisp motivando la decisione – non ha dimostrato una maturità sufficiente per affrontare le situazioni di forte stress verificatesi in campo, tenendo comportamenti non adeguati e contrari allo spirito del Campionato Uisp». Una decisione sicuramente apprezzabile e per nulla scontata (probabilmente senza precedenti) ma che come prevedibile è servita soprattutto per essere strumentalizzata dalla politica, che in effetti non ha molto altro da fare in questo periodo che in Italia non c’è neppure un Governo.

E così la Lega e il centrodestra hanno sbraitato contro il Comune e il tentativo di integrazione fallito (parlando di altre «abitudini consolidate» dei rifugiati, chiedendosi «come può il comune gestire centinaia di richiedenti asilo se non è in grado di farlo con 11 che giocano a calcio», o altre cazzate del genere) e allo stesso modo, come prevedibile, a sinistra si è levato qualche timido tentativo di giustificazione, cercando di paragonare quanto accaduto con quello che accadrebbe in realtà tutte le domeniche o quasi sui campi da calcio (altra cazzata, stando a tutte le testimonianze raccolte e alle stesse ammissioni di allenatore e responsabile dello Sprar).

In realtà è evidente che l’idea del calcio era giusta, che tanti stranieri si integrano più facilmente anche da queste parti grazie allo sport, e anche (come si è capito) che probabilmente in questo caso tutto è finito per colpa di una persona o di pochi esagitati. Ma è anche vero che questi ragazzi hanno «una certa irruenza», per usare le parole del responsabile (e mi pare pure ovvio, viste le loro storie) e che ci sono stati di certo in passato anche insulti razzisti (figuriamoci), quindi fare una squadra di soli rifugiati – ve lo dice Moldenke – di fatto può avere effetti opposti all’integrazione, aumentando anzi la ghettizzazione e favorendo le generalizzazioni in caso di comportamenti sbagliati.

Che dire, in un mondo normale ci sarebbe un progetto che porta un paio di richiedenti asilo a giocare in ogni squadra composta prevalentamente da residenti di un campionato amatoriale che, in quanto amatoriale, appunto, non dovrebbe avere l’assillo del risultato. Peccato non esista, un mondo normale.

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