Dalla mitologica smartworker alla montessoriana: mamme da lockdown

Nel terribile momento che stiamo vivendo, i bambini per un po’ sono stati assenti dal dibattito pubblico (e quando ci sono rientrati, sono stati oggetto di surreali discussioni social che mi astengo, per carità di patria, dal commentare). Ad ogni modo, i bimbi e le bimbe si sono assestati su una nuova quotidianità, e con loro anche noi smarriti genitori. Dall’inizio della quarantena è ormai trascorso abbastanza tempo da poter tracciare, a grandi linee, alcuni macrogruppi genitoriali di appartenenza, non mutualmente esclusivi.

A) La mamma montessoriana: è colei che, appena compreso che la aspettava un periodo relativamente lungo di reclusione in casa coi figli, ha dato sfogo a tutte le conoscenze che aveva appreso sul famoso metodo. Ora la sua casa è disseminata di learning tower, si è disfatta di buona parte dei mobili per “liberare lo spazio” e ormai i suoi figli sono così autonomi che si stanno cercando un nuovo alloggio.

B) La mamma smartworker: vera e propria figura mitologica, è quella le cui abilità multitasking hanno dovuto sfiorare il soprannaturale. Inviterei chiunque abbia salutato con entusiasmo la possibilità di lavorare da casa (è la modernità! la parità dei sessi! la vera conciliazione lavoro-famiglia!) a farsi un profondo esame di coscienza. E a provare a lavorare con bambini sotto i cinque anni che ti strillano nelle orecchie: generalmente, dopo aver inviato una nota confidenziale all’intera mailing list dell’ufficio, o a un cliente i filmini delle vacanze, l’entusiasmo cala.

C) La mamma didattica: felice di potersi sostituire alle insegnanti, la cui scarsa competenza aveva sempre deplorato, si è gettata anima e corpo nella missione di istruire i propri figli. È il flagello dei gruppi whatsapp della classe: d’altronde per lei una pandemia non è un valido motivo per restare indietro col programma. Si vocifera che il famoso appello alla riapertura anticipata delle attività produttive rivolta al governo dal presidente di Assolombarda, sia in realtà stato suggerito dai figli delle mamme didattiche, in un commovente e disperato tentativo di liberarsene per qualche ora al giorno.

D) la mamma anarchica: categoria cui temiamo di appartenere, è quella di coloro che dopo qualche modesto tentativo di impostare attività educative per i propri figli, accolto peraltro con scarsissimo entusiasmo, hanno alzato le mani e ora passano le giornate tra cartoni animati, lecca lecca e rutto libero (nota autobiografica: l’altro giorno la cassiera del supermercato, davanti alle mie sei pizze surgelate, ha commentato: “finalmente qualcuna che non impasta col lievito madre!”. Non sapevo se sentirmi imbarazzata o fieramente sovversiva).

Ovviamente, il tema dei bambini chiusi in casa ormai da due mesi, è molto serio. Personalmente, non ho competenze né suggerimenti da dare, altrimenti sarei in una delle task force che proliferano ultimamente (voglio dire: ce ne sono tante, ce ne sarà certo qualcuna che faccia al caso mio, no?). So solo che il tema non può e non deve finire in fondo alla to-do-list del governo.

E so pure che stiamo facendo tutti, o quasi, del nostro meglio. Direi che possiamo darci una pacca di incoraggiamento sulla spalla. E, soprattutto, diamola ai nostri bambini.

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