Dalla Mecnavi, una storia del lavoro in Italia

Avevo compiuto quindici anni da pochi giorni, il 13 marzo 1987. E quel giorno me lo ricordo bene nel volto scuro di mio padre, che lavorava nella centrale di Porto Corsini e al porto era molto vicino. E me lo ricordo soprattutto per il discorso che la prof di latino e greco ci fece il giorno seguente: “Anche se voi sarete la futura classe dirigente di questa città, è giusto che partecipiate ai funerali di questi operai morti in questo terribile incidente”. Classe dirigente? Ma di cosa stava parlando? Io facevo il liceo perché mi piaceva italiano, e non volevo fare la parrucchiera, come mia madre, perché sapevo che non ne sarei stata capace. E così, per me, la Mecnavi fu un momento di passaggio. Quella tragedia mi ha dato la brutale consapevolezza che esistevano lavori che potevano uccidere. E anche che siccome facevo il liceo nessuno si aspettava che questo sarebbe successo a me. Con una visione classista della società ottocentesca. E questo mi parve in qualche modo ingiusto, orribile, inaccettabile. E non l’ho mai dimenticato. Non sono mai riuscita a pensare alla mia città come “un’isola felice di avanzata civiltà”, come tanti per anni me l’hanno raccontata. La mia era anche la città della Mecnavi. Il mio è un piccolo ricordo insignificante, ma è indelebile. E così, fui contenta di sapere che Angelo Ferracuti stava scrivendo un libro su quella tragedia. Ma confesso che non ho mai osato sperare, in questi mesi in cui Angelo mi è capitato di sentirlo, che il libro sarebbe stato così bello. E così necessario. Angelo racconta in prima persona il suo lavoro sul campo e questo (per chi poi si appassiona di giornalismo) è un racconto che di per sé ha il valore della scoperta, della ricerca, dell’ostinazione. Ma racconta anche come andarono quelle cose quel giorno, in modo quasi maniacale, vagamente ossessivo, come nessuno era mai riuscito a fare prima. Racconta attraverso la Mecnavi un mondo del lavoro che stava cambiando e che avrebbe dovuto vedere in quell’incidente qualcosa di più di una fatalità. Racconta chi capì le vere e profonde cause, che sono così drammaticamente attuali: la mancanza di lavoro, l’esternalizzazione, la de-sindacalizzazione. E poi racconta le vite di chi quel giorno perse un figlio, o un padre. Mescola l’oggi e l’allora, il personale e il documentale, il sentimentale e il politico con un’agilità stilistica impressionante, ma senza mai scadere nell’autocompiacimento, nella tentazione letteraria pura. Tutto il libro vibra dello spinta a voler rendere in qualche modo giustizia a quei tredici uomini morti come topi. In un mondo del lavoro che oggi sembra popolato soprattutto da tantissimi criceti. Un libro imprescindibile, e non solo per noi ravennati.

Angelo Ferracuti, Il costo della vita, storia di una tragedia operaia, pp. 212, Einaudi

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