Donne canadesi, tra Alice Munro e spirito del coyote

Che il Canada fosse un Paese cui tutto il genere umano deve e dovrà profonda gratitudine lo sapevamo in effetti anche senza il premio Nobel Alice Munro, visto che canadese è Leonard Cohen (oltre a Mordecai Richler di cui Adelphi ha peraltro appena portato in libreria un romanzo del 1980, Joshua allora e oggi), ma certo questo premio è piaciuto a tanti, anzi forse a tutti. Perché a tutti piacciono i racconti di Alice Munro, benché non siano semplici, non siano ammiccanti, non siano avvincenti. Le storie della Munro sembrano piuttosto abbozzate, sembrano enormi “Fill in the blanks” dove al lettore tocca fare un bel po’ di lavoro, prima e dopo, perché dei personaggi femminili vengono raccontati in frangenti apparentemente casuali delle loro vite che non necessariamente si risolvono nell’arco del racconto stesso. Raffinata, sottile, ma tagliente come una lama, Alice Munro è quanto di più universale si possa immaginare nel raccontare le donne, nonostante ambientazioni a noi così distanti come sono quelle canadesi. Ambientazioni invece comuni, almeno in parte, a un’altra scrittrice canadese che questo premio alla Munro mi ha fatto tornare voglia di rileggere. Un romanzo che avevo amato alla follia, consigliatomi all’epoca addirittura da Eraldo Baldini, e che per certi versi è l’esatto opposto dei racconti della Munro in quanto racconta di personaggi ed eventi che hanno di per sé qualcosa di straordinario e magico. Qui aleggia lo spirito del coyote, perché siamo in terra di indiani, le ragazzine possono essere sbranate, i padri possono diventare violenti senza apparenti motivi, gli orsi attaccano le famiglie che trascorrono la notte nelle praterie pascolando pecore. Il tutto basandosi su ricette, appunti e ritagli della madre durante il periodo della seconda guerra mondiale. Un libro che risale ormai al lontano 1996, pubblicato nel 2000 da quella collana in quegli anni gloriosissima che fu Strade Blu di Mondadori, a cui in Italia non è seguita altra edizione o traduzione. Un libro che qualcuno ha definito addirittura sperimentale, ma che in realtà trae la propria forza dal racconto in quanto tale, dai personaggi, dalla trama, dall’ambientazione. Insomma, dagli ingredienti che possono fare di un romanzo un buon romanzo più o meno da Moll Flanders in poi. Così, per chi avesse voglia di Canada, dopo la Munro.
Gail Anderson-Dargatz, traduzione di Annamaria Bivasco e Valentina Guani, Mondadori. Alice Munore è pubblicata da Einaudi e tradotta dalla geniale Susanna Basso.

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