Fontana, e quel dialogo da premio con il terrorista

Per chi in questi giorni volesse insistere sui paralleli più o meno pertinenti tra i fatti di Parigi e le Brigate Rosse, può essere particolarmente utile riprendere o scoprire uno dei libri di cui si è più parlato in Italia nel 2014, ossia Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana, vincitore del prestigioso Premio Campiello. L’uomo felice del titolo è infatti un magistrato che indaga sul terrorismo negli anni di piombo e il romanzo è, di fatto, il ritratto di quest’uomo senza ombre, limpido come l’acqua, mosso da una fede sincera e da un impegno professionale autentico che lo induce magari a trascurare la famiglia e la moglie in vacanza, famiglia che però, neanche a dirlo, ama profondamente e sinceramente. L’uomo, dai pochi amici ma buoni, che rifiuta l’idea di entrare in politica con la Dc locale ma che comunque nella Dc ha il suo riferimento politico, raccoglie in qualche modo l’eredità del padre morto partigiano. Insomma, il ritratto perfetto dell’eroe “normale”, un modello di civismo che peraltro si interroga sul senso del proprio mestiere, che è in grado di essere vicino emotivamente ai familiari delle vittime e di contrastare i superiori quel tanto che basta per poter rendere più efficiente il proprio lavoro. Un uomo che i terroristi, come ci dice il titolo, alla fine uccideranno. Se la trama ha davvero poca suspense e la normalità così normale (il rapporto con la famiglia è a tratti quasi esasperante nella sua banalità e prevedibilità) dell’uomo appare a volte addirittura eccessiva nell’insistenza di una vita fatta dalle piccole cose che circondano invece un impegno totalizzante, sono invece interessanti  le riflessioni più teoriche, i dialoghi in cui Giacomo Colnaghi cerca il confronto con le opinioni dei colleghi, esprime dubbi, è ossessionato dal volere capire cosa muova l’animo del terrorista, cosa possa aver condotto un altro essere umano proveniente da un ambiente simile al suo e probabilmente da idee di fondo di giustizia sociali neppure inconciliabili, ad armarsi e uccidere. Una ricerca fatta da un autore giovane, nato negli anni in cui il romanzo è ambientato (Fontana è del 1981) e che ha il suo apice nel dialogo con il brigatista, una volta catturato. Ecco, quel dialogo lì vale il libro e forse anche il Campiello da solo.
Giorgio Fontana, Morte di un uomo felice, Sellerio 2014

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